La prima immagine conosciuta di un cannone, dal “Manoscritto di Milemete” del 1326
Quando si parla di armi da fuoco spesso ci si dimentica che il fuoco in guerra è stato usato fin dai tempi antichi e in maniera sofisticata. Così, nel parlare di polvere da sparo si tirano in ballo luoghi comuni come quelli che ne attribuiscono l’invenzione ai cinesi o agli arabi. Eppure Marco Polo viaggiò a lungo in Oriente e in Cina fra il 1271 e il 1295 senza però menzionare, nel suo famoso resoconto di viaggio, l’uso di polvere da sparo. Questa doveva essere sconosciuta in Cina, tanto che Polo e un suo collaboratore insegnarono al Kan la costruzione dei 'mangani': potenti armi da assedio simili a catapulte, che servirono al sovrano tartaro per espugnare la città di Sian-Sang-Fu, da cinque anni sotto assedio. Sappiamo invece che già all’inizio del Trecento, in alcuni assedi avvenuti in Italia, sono state usate con efficacia delle bombarde. E sappiamo anche che nelle Cronache forlivesi del 1281 «il conte Guido chiamò una squadra di fanti e targoni e una squadra grande di balestrieri e scoppettieri...».
Vi erano quindi all’epoca soldati specializzati nell’uso di primitive armi a polvere da sparo. Gli storici ci dicono che il marchese Rinaldo D’Este utilizzò «schioppetti e spingarde» contro la città di Argenta. Così, dai suoi scritti, sappiamo che nel 1240 il filosofo francescano Ruggero Bacone faceva esperimenti 'esplosivi' miscelando zolfo, salnitro e polvere di carbone. Date e fatti che ci riportano alla poco edificante paternità europea della polvere da sparo, con in più la quasi certa possibilità che a inventare i primi strumenti in grado di sfruttarne le doti propellenti siano stati gli italiani, in particolare i fabbri e i meccanici bresciani della Val Trompia. Questa è la tesi di Letterio Musciarelli, docente di matematica, storico delle armi da fuoco, che ha dedicato a questo argomento decenni di studio e di ricerca in archivi e biblioteche pubblici e privati di mezzo mondo. Un lavoro dal quale, dopo varie pubblicazioni, è nato questo divulgativo ma documentato libro per Odoya: Storia delle armi da fuoco dalle origini al Novecento (pagine 220, euro 16) dalla cui si traggono informazioni curiose, ma soprattutto istruttive anche riguardo ai tanti dubbi morali che fin dalle origini hanno attraversato le coscienze di inventori, ecclesiastici e fabbricanti.
Lo stesso Ruggero Bacone si avvede dei possibili usi omicidi della miscela esplosiva da lui sperimentata e sceglie di tramandarne la formula per anagrammi, così giustificandosi: «È una follia affidare un segreto a uno scritto, tranne che sia incomprensibile all’ignorante e appena appena comprensibile all’uomo istruito e saggio». Bacone ebbe l’idea per le sue ricerche da uno scritto del XII secolo di un tale M. Graecus, in cui si proponevano ricette a base degli stessi ingredienti, miscelati però in proporzioni tali da non renderli esplosivi, ma solo capaci di produrre fiammate. Allo stesso scritto aveva attinto, in altro contesto, un altro ecclesiastico, Alberto il Grande, vescovo di Ratisbona, morto nel 1280, che in De mirabilibus mundi scrive della polvere da sparo. Dicevamo della questione morale. Già il Concilio Laterano II nel 1139 vietava l’uso della balestra nei conflitti fra cristiani. In seguito la Chiesa dichiara le armi da fuoco «troppo omicide e spiacenti a Dio». Per un certo periodo vengono considerate un disonore nel combattimento cavalleresco.
Persino nell’Orlando Furioso, scritto nel 1516, ma ambientato in epoca in cui non esistono armi da fuoco, Ariosto trova il modo di criticarne l’uso. Anche il diritto internazionale si premura a un certo punto di vietare l’uso di armi che arrechino sofferenze inutili o sproporzionate. A inizio Novecento vengono vietati i proiettili avvelenati e i gas, di cui però nella Grande Guerra e nelle guerre coloniali si farà un uso atroce. Così, la prima bomba atomica venne duramente criticata, ma qualche anno dopo si giustificò ampiamente la costituzioni di arsenali atomici. Dicevamo dell’uso del fuoco in guerra. Tucidide racconta che nell’assedio di Delio nel 424 a.C. la parte in legno delle mura della città venne arsa con un rudimentale lanciafiamme costituito da un lungo tronco cavo attraverso il quale con dei mantici veniva proiettato il 'fuoco greco': una miscela utilizzata fino a tutto il medioevo e oltre, costituita in vario modo da resine vegetali, pece, petrolio, olio, catrame, zolfo.
Leone di Bisanzio nel IV secolo a.C. parla di uno speciale fuoco greco fatto di zolfo e calce viva, che veniva lanciato nelle battaglie navali perché si infiammava a contatto con l’acqua. Nel 230 a.C. Archimede ideò l’arcitronito, una sorta di cannone che sparava pietre sfruttando la forza del vapore prodotto da acqua calda portata repentinamente a ebollizione. Le prime 'bombe a mano' vennero ideate dagli abitanti di Durazzo per difendersi dai normanni nell’assedio del 1106: erano sezioni di canna riempite di un particolare 'fuoco greco' che una volta accese venivano proiettate e «volavano nell’aria per proprio moto» infiammando i vestiti degli assalitori.