martedì 18 luglio 2023
Il Pontefice uscì dal Vaticano prima che il raid aereo del 19 luglio 1943 finisse. Un gesto senza precedenti, incurante del pericolo, che gli guadagnò definitivamente il titolo di "Defensor Civitatis"
Pio XII a San Lorenzo dopo il bombardamento

Pio XII a San Lorenzo dopo il bombardamento - Ansa

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Ottant’anni dal bombardamento degli alleati a Roma. Con Pio XII che uscì dal Vaticano per andare a San Lorenzo e abbracciare la folla piangente. Quel suo gesto diventato iconico, a braccia spalancate, tanto da essere immortalato anche in una statua ora posta sul piazzale del Cimitero Verano, epicentro dell’attacco aereo del 19 luglio 1943, è stato citato all’Angelus di domenica scorsa, 16 luglio, anche da papa Francesco: “Voglio ricordare che ottant’anni fa, il 19 luglio 1943, alcuni quartieri di Roma, specialmente San Lorenzo, furono bombardati, e il Papa, il Venerabile Pio XII, volle recarsi in mezzo al popolo sconvolto. Purtroppo anche oggi queste tragedie si ripetono. Com’è possibile? Abbiamo perso la memoria? Il Signore abbia pietà di noi e liberi la famiglia umana dal flagello della guerra. In particolare preghiamo per il caro popolo ucraino, che soffre tanto”.

Ecco, di fronte alla memoria di quel bombardamento (il primo su Roma “città aperta”, un secondo e fortunatamente ultimo sarebbe seguito meno di un mese più tardi) non è possibile non ricordare come ha fatto papa Francesco gli orrori bellici di oggi. Così come si ha la conferma che tutti i Pontefici dell’ultimo secolo e mezzo almeno si sono schierati senza se e senza ma contro la guerra.

Pio XII in questo fu profetico. Prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale ricordò che tutto può essere perduto con la guerra. Quel giorno di 80 anni fa vide i bombardieri arrivare dalle sue finestre in Vaticano. E avvertì immediatamente il pericolo. Per Roma, per la gente di cui era vescovo, per una città che nei primi tre anni bellici stata preservata dagli attacchi aerei. La sua decisione fu conseguente. Senza pensare ai rischi che correva, alla sua incolumità, al fatto di essere il Papa. Chiese e ottenne di andare là. E, a differenza di quanto talvolta si racconta, arrivò a San Lorenzo mentre ancora il bombardamento non era concluso.

«In quel giorno Pio XII si meritò davvero il titolo di Defensor Civitatis che gli sarebbe stato conferito in seguito». Ad affermarlo è lo storico Giulio Alfano, docente di Istituzioni di filosofia politica alla Pontificia Università Lateranense, che ha ricostruito anche grazie alla testimonianza diretta di due persone presenti, le tragiche ore di quel 19 luglio 1943, quando su San Lorenzo e sullo scalo ferroviario del Tiburtino caddero 4.000 bombe (circa 1.060 tonnellate di esplosivo) che provocarono 3.000 morti e 11.000 feriti.

Il primo testimone, racconta Alfano ad Avvenire era l’allora don Fiorenzo Angelini (futuro cardinale, morto nel 2014), che all’inizio del bombardamento si trovava nella parrocchia della Natività a Via Gallia, dove era viceparroco, e che gli raccontò di essere accorso immediatamente, vedendo il Papa arrivare intorno alle 14, quindi ben prima della fine dell’attacco che durò dalle 11 alle 14.30 con ondate successive. Il secondo è la stessa madre dello storico, la signora Maria Rigi, che quel giorno si trovava al Verano e che fu una delle poche sopravvissute del bombardamento. La scena che si presentò agli occhi della giovane donna è probabilmente la stessa che vide il Papa: «Cadaveri per terra, crateri di bombe, morte sangue e devastazione ovunque. Fuori e dentro il cimitero. Le bombe non risparmiarono neanche la tomba della famiglia Pacelli, che si trova tuttora poco distante dall’ingresso, vicino alla statua del Cristo. Mia madre – racconta lo studioso – era archeologa e si trovava lì in quell’afoso giorno d’estate per prendere alcuni schizzi delle tombe più antiche. Mi raccontò che poco prima dell’incursione aveva indicato a una signora che teneva per mano un bel bambino biondo la tomba del famoso Ettore Petrolini. Lei riuscì, grazie a un custode, a trovare rifugio nella parte sotterranea del Verano. Ma quella signora non fu così fortunata. Mamma la ritrovò per terra, insieme al povero bambino al quale una scheggia aveva mozzato di netto la testa. Poi fuori sul piazzale, vide un tram fermo con i passeggeri seduti al loro posto. Sembravano attenderne la partenza. In realtà erano crivellati di proiettili, perché gli aerei alleati mitragliarono anche, oltre a bombardare».

Orrori di sempre della guerra. Purtroppo tornati di tragica attualità con le immagini che giungono ogni giorno dalle città ucraine. La signora Maria, pur sconvolta, riuscì a guadagnare l’uscita dopo le 14.30 e si ritrovò nella folla che nel frattempo si era stretta intorno al Pontefice. «Lo vide a una cinquantina di metri – racconta il figlio – con la sua veste bianca che si sarebbe sporcata di sangue, pregare e benedire i vivi e i morti, accompagnato solo da due persone: il conte Enrico Pietro Galeazzi e l’allora monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI». Con loro due, infatti, Pio XII arrivò direttamente dal Vaticano a bordo di una Topolino guidata dal conte Galeazzi, che fu uno dei più stretti collaboratori laici del Papa. «Un percorso di 8-9 chilometri non facile – prosegue Alfano – anche perché le ondate dei bombardieri si susseguivano e, come già sottolineato, il bombardamento non era affatto concluso. La piccola auto in cui si spostava il Papa avrebbe dunque potuto essere colpita. Tra l’altro accadde a un altro personaggio famoso, accorso sul luogo dell’incursione in quelle stesse ore. L’auto del comandante dei carabinieri, generale Azolino Hazon, venne centrata da una bomba nella zona dell’attuale viale Regina Elena e l’alto ufficiale morì sul colpo».

«Pio XII sfidò tutto questo, uscendo senza scorta, una cosa impensabile per quei tempi (e anche per oggi) pur di essere vicino ai romani in quella tragedia – dice lo storico –. E l’immagine pubblicata in copertina dalla rivista francese Semaine Hebdomadaire illustré del 29 luglio 1943, lo documenta ampiamente. Quella foto mostra papa Pacelli attorniato dalla folla mentre sullo sfondo si intuisce la cancellata di San Lorenzo fuori le Mura parzialmente divelta per effetto delle bombe (la Basilica stessa ebbe il tetto sfondato dagli ordigni, ndr). Il suo – prosegue Alfano - fu veramente un atto liturgico, di preghiera, di invocazione della misericordia di Dio, affinché la guerra cessasse al più presto». Purtroppo, come sappiamo, per la fine delle ostilità ci sarebbe voluti ancora quasi due anni. E Pio XII si trovò, a distanza di meno di un mese, a rivivere le stesse tragiche scene durante il bombardamento del 13 agosto, questa volta nella zona di San Giovanni, del Casilino e del Tuscolano. «Quel giorno – ricorda Alfano – il Papa doveva celebrare una Messa in suffragio delle vittime del 19 luglio nella chiesa dei Santi Fabiano e Venanzio a piazza di Villa Fiorelli. Al termine avrebbe dovuto esserci anche una processione fino a San Giovanni. Ecco perché di questa seconda occasione abbiamo anche le immagini cinematografiche. Perché in questo caso la presenza del Papa era prevista e la coincidenza con il bombardamento fu casuale. Non bisogna confondere quelle immagini filmate con le pochissime foto del 19 luglio, che provano invece come nel primo caso l’arrivo del Pontefice fu davvero a sorpresa e a bombardamento ancora non del tutto cessato».

In entrambe le occasioni, e anche nei mesi che seguirono, la presenza paterna di Pio XII fu considerata dai romani un vero e proprio scudo protettivo. Ed egli stesso rimase così profondamente colpito dai bombardamenti da esprimere la volontà di essere sepolto a San Lorenzo al Verano. «L’intenzione non poté realizzarsi per le condizioni del sottosuolo – ricorda Alfano –, ma è un segno di ulteriore attaccamento alla città. Del resto, pochi sanno che Pio XII chiese e ottenne dagli alleati, come forma di parziale risarcimento la costituzione di un conto economico con il quale fu costituita la casa discografica Rca, per favorire l’emergere di giovani artisti. La direzione fu affidata a Ennio Melis, fratello di padre Raffaele, parroco di Sant’Elena al Casilino, morto nel bombardamento”.

Del resto, conclude lo storico, papa Pacelli sempre rifiutò di abbandonare Roma anche quando un folle piano ordito dallo stesso Hitler (la cosiddetta "operazione Rabat") lo espose direttamente al pericolo di essere rapito e portato a Monaco per costringerlo a firmare una enciclica filonazista. Papa Pacelli rifiutò decisamente la via di fuga offertagli da Galeazzi e che prevedeva il trasferimento nottetempo in abiti civili fino a San Felice Circeo dove il conte aveva una villa, per poi imbarcarsi alla volta della Corsica. «Il mio posto è a Roma – rispose sostanzialmente il Pontefice –. Come sempre». Come sotto le bombe. Come in quell’afoso tragico giorno di 80 anni fa.

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