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Il 21 novembre 1943 a Pietransieri, piccolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, militari tedeschi, di stanza sulla linea Gustav lì attestata, trucidarono 128 abitanti del luogo. Erano solo donne (60) bambini (34) e vecchi (34); il più anziano aveva 83 anni, il più piccolo 3 mesi. Fu la prima delle grandi stragi di civili compiuta dai tedeschi in Italia dopo l’armistizio, considerato un tradimento, ed è una delle meno conosciute, non solo perché la documentazione, raccolta dopo la fine della guerra, rimase nel famigerato “armadio della vergogna” di palazzo Cesi a Roma per decenni, ma perché solo negli anni ’90 si è cominciato a indagarla in modo sistematico, con approccio comparativo tra fonti italiane e tedesche. Ancora oggi, tuttavia, resta in parte avvolta nel mistero.
I dati certi sono che le vittime di Pietransieri vivevano tutte della frazione dei Lìmmari, a 1.400 metri di quota – presso la località sciistica oggi più nota dell’Appennino, Roccaraso – e non avevano obbedito all’ordine di sfollare, dato da Kesselring, e di scendere a Sulmona, mille metri più a valle, con pena di morte in caso d’inottemperanza. In gran parte analfabeti, gli abitanti della frazione non avevano capito l’ordine o, più probabilmente, erano stati indotti a rimanere dalla necessità di salvare il bestiame, unica fonte di sopravvivenza in una zona secolarmente votata all’allevamento; a poca distanza erano già segnalati in arrivo gli angloamericani, bastava aspettare un po’ e non far requisire gli animali dai tedeschi; per questo gli uomini li avevano nascosti negli alpeggi più alti, in mezzo ai boschi. Il non esser sfollati causò dunque la strage.
All’alba della domenica 21 novembre 1943, un gruppo di tedeschi – composto da 4, o per altri da 7 paracadutisti, appartenenti a un einsatzkommando, un comando speciale, normalmente di provata fede nazista – già attivo in zona da giorni con violenze, salì ai Lìmmari, entrando di casale in casale e falciando a mitragliate chiunque fosse trovato dentro. Famiglie di donne, vecchi e bambini a volte vennero ammazzati intorno al tavolo dove stavano facendo colazione e alcuni li ritrovarono con le facce rovesciate nelle ciotole di latte, caffè d’orzo, pane nero e sangue; questo, quando le case non venivano fatte saltare dopo le uccisioni, perché in tal caso dei cadaveri si ritrovò poco. Questo per le uccisioni sparse nelle singole case. Ma altri, il gruppo più numeroso, vennero rastrellati e scortati lungo il greto di un torrente sino a una radura, dove i tedeschi si piazzarono con le mitragliatrici e da diverse angolazioni aprirono il fuoco; caddero l’uno addosso all’altro in una manciata di secondi. Sopravvisse di quel gruppo solo una bambina di 7 anni, oggi quasi novantenne, Virginia Macerelli, la quale si salvò perché cadde sotto al corpo della madre che teneva in braccio la sorellina minore. Un fratellino, a cui una pallottola aveva portato via un occhio e la tempia, riuscì a strisciare fino a lei, chiedendo della mamma, per poi morirle accanto. Un altro bambino si trascinò in un pagliaio, dove morì per le ferite, venendo ritrovato giorni dopo. Virginia, gravemente ferita alle gambe, non si dissanguò, ma rimase per un giorno e mezzo accanto ai cadaveri della madre, delle sorelle e dei fratelli. Poi ai Lìmmari salirono due donne – due ladre, le prime a vedere l’orrore – le quali, sapendo cuciti dentro i vestiti alcuni oggettini d’oro, palparono e strapparono ai morti gli abiti tutti intrisi di sangue, fino a trovare ciò che cercavano; da Virginia si fecero dire dove stavano cuciti quelli della mamma e la bambina li aiutò nella speranza di essere salvata, ma loro la lasciarono lì a morire, perché sennò avrebbe raccontato che avevano depredato i cadaveri. Una volta scese a valle però, le due, sicure di non essere scoperte (furono invece processate a condannate dal tribunale di Sulmona dopo la guerra), qualcosa raccontarono, così ai Lìmmari salì, folle di dolore, la nonna di Virginia e tra i cadaveri dei familiari recuperò e mise in salvo la nipote, curandole le gravi ferite alle gambe con acqua e sale.
Un punto rimasto irrisolto è chi abbia ordinato la strage; sembra sia stato un responsabile della Wehrmacht di basso grado, timoroso di sfigurare coi superiori per non essere riuscito a completare lo sfollamento della zona. Recenti studi paiono così aver scagionato un nome che suscitava scalpore, quello di Werner von Schulenburg, presente in Italia e comandante di un’area più vasta che comprendeva anche Pietransieri. Il conte Schulenburg era infatti un antinazista di famiglia nobile (pochi mesi dopo coinvolto nel fallito attentato a Hitler del luglio’ 44, a seguito del quale gli vennero per vendetta uccisi i famigliari), noto anche quale intimo amico di Luciana Frassati e di suo fratello, il beato Pier Giorgio Frassati; ma se non da lui, dalla sua cerchia deve essere partito l’ordine di dar corso all’eccidio; né manca chi, ancor oggi, lo ritiene coinvolto di persona. Così dal buio di Pietransieri si levano nomi di beati e di assassini, di eroi antinazisti e di fanatici hitleriani. Quanto ai singoli componenti del kommando, non vennero mai individuati.
E qui l’atroce racconto arriva a un pietoso finale, sulla sorte dei cadaveri. Informati della strage, i parenti infatti non poterono recuperare i corpi perché, se i tedeschi li avessero sorpresi, avrebbero fatto fare anche a loro la stessa fine; perciò i cadaveri vennero lasciati dov’erano, ma a seppellirli in qualche modo pensò la neve che, abbondantissima, prese a cadere proprio quella notte, accumulandosi e nascondendoli per tutto il gelido inverno ’43-’44, fino al disgelo di primavera.
Nel 1967 Pietransieri è stata insignita di una medaglia d’oro. Nel 2017 il tribunale abruzzese di Sulmona, nella cui circoscrizione ricade il borgo, ha condannato la Germania a un risarcimento, ma nel 2023, a conferma che bisogna mettere una pietra in ogni senso tombale sopra tutti quei morti, la nostra Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima ogni richiesta di risarcimento alla Germania, perché verrebbe condannata a pagare troppo; già esiste un Fondo Ristori per i crimini nazisti, chi ha avuto, ha avuto; per chi non ha avuto, è giusto considerare prescritto il diritto.
In questo 80° anniversario non sia retorico scrivere che, nella storia dell’uomo, è sempre Pietransieri. Da un mese e mezzo siamo tornati a sentire storie di armi che aprono il fuoco contro inermi, di neonati e bambini uccisi decapitandoli, o di altri uccisi negli ospedali o negli edifici bombardati. E per tutte queste azioni, si invoca un legge non rispettata. Pare strano, ma gli umani hanno sempre bisogno di invocare una giusta causa, o una reazione definita giusta, per far strage di innocenti. A tal fine è stato anche inventato il più blasfemo dei verbi: giustiziare, che fonde giustizia e uccisione. Venne usato anche per un crocifisso e nell’epigrafe inchiodata sopra la sua testa, recante il titulus legale (cioè il capo d’imputazione e condanna, diremmo oggi), era tecnicamente vergato: “Yehoshua il Nazareno proclamatosi re”: senza che avesse mai, peraltro, reclamato un regno di questo mondo. Alla domanda se da duemila anni per gli innocenti di tutta la terra la sorte si compia sempre sul Golgota o sui monti di Pietransieri, bisogna rispondere: sì.