Il cantautore, scrittore e regista Paolo Pietrangeli Premio Tenco 2021
«Tenco non l’ho mai conosciuto. I nostri erano mondi diversi che all’epoca non si incontravano. Ma ricevere questo premio mi pare una cosa molto bella». In effetti se nel 1967 Luigi Tenco affidava le istanze sociali alla poesia di Ciao amore, ciao , nel 1968 Paolo Pietrangeli era un giovane sulle barricate con durissime canzoni di protesta che divennero inni politici dei movimenti studenteschi di sinistra come Valle Giulia sui primi scontri violenti fra studenti e polizia e Contessa sulla lotta di classe nelle fabbriche. Un’epoca non priva di contraddizioni, che sembra ormai lontana, anche se la realtà di oggi ci mostra una disparità sociale a livello globale sempre più inaccettabile. Sarà per questo che il comitato organizzatore ha assegnato il Premio Tenco 2021 a Pietrangeli, classe 1945, che verrà premiato, insieme a nomi come Enrico Ruggeri, Fiorella Mannoia e Mogol nella kermesse che si è aperta ieri sera per concludersi domani. Figlio del regista Antonio Pietrangeli, Paolo è figura poliedrica: cantautore, componente dal 1966 del Nuovo Canzoniere Italiano con Giovanna Marini con cui registrò una memorabile versione di Bella ciao, assistente alla regia di Bolognini e Fellini, regista cinematografico, diventa poi, con un cambio di rotta, regista televisivo di programmi popolari e di successo della tv commerciale ( da Maurizio Costanzo ad Amici e dal 2000 C’è posta per te di Maria De Filippi) e romanziere.
Pietrangeli, quanto è cambiata la musica d’autore dagli anni 60 ad oggi?
La parabola della canzone d’autore va di pari passo con la parabola della società. Io scrivo dei racconti in musica o senza musica, in tutti i modi possibili, con il cinema, la televisione, i libri. Non mi sento un cantante, ma un intellettuale che per tanti anni si è occupato di musica popolare, che ha cercato di capire i meccanismi del racconto, che ha sbagliato tutto perché ha preso le parti di una parte clamorosamente sconfitta.
Cosa resta oggi di quegli inni politici così duri e spiazzanti, dove si incitava a scendere in piazza con falce e martello per affossare il sistema?
C’è ancora qualcuno che si azzarda a cantare i miei vecchi canti. Da metà degli anni 70 c’è stato un cambio. Mentre prima l’industria discografica se ne infischiava delle canzone d’autore, a un certo punto la scoprirono con alcuni giovani autori bravissimi, De Gregori, Guccini. Questa piano piano è stata la fine commer- ciale della nostra storia. Io quando scrivevo le canzoni, come Contessa sulle lotte operaie, dovevo aspettare quattro o cinque anni prima di fare il disco. Adesso fai il disco prima della canzone.
L’esperienza del Canzoniere italiano però fu importante per il recupero della musica popolare italiana.
Il Canzoniere Italiano è stato un gran momento, era un posto mitico, ricordo ancora la passione nel rilanciare Bella ciao. Pensavamo di potere cambiare le cose del mondo, eravamo presuntuosi....
Dopo le proteste del ’ 68, quel clima infuocato è sfociato però nella stagione del terrore negli anni 70.
C’è stato un equivoco fondamentale, gli anni del ’ 68 per noi rappresentavano l’alba di un mondo che avrebbe dovuto cambiare. Era invece il tramonto di un mondo che si è chiuso con una lastra pesantissima sopra.
Lei è cresciuto in un ambiente culturale speciale, sia a casa di suo padre Antonio Pietrangeli sia sul set.
«Ho avuto degli incontri straordinari, frequentavano casa nostra Age, Furio Scarpelli, Pier Paolo Pasolini, Ennio Flaiano, Ettore Scola. Gli anni della mia giovinezza mi hanno fatto capire l’importanza del racconto, della lettura prima di tutto. Ero costretto a leggere, quando ero molto piccolo, da mio padre che voleva da ogni settimana il riassunto scritto di quello che avevo letto, romanzi tipo Moby Dick tanto per intenderci. Ho letto tanti di quei libri.
Cosa le rimane nel cuore di suo padre?
Mio padre era un tipo molto poco incline al sentimentalismo. Ma ricordo due episodi fondamentali. Da ragazzino subii un piccolo intervento e alla vista del sangue svenni nel bagno e fu mio padre che evitò che sbattessi la testa. Il mattino dopo lo vidi che era ancora lì e che mi guardava. Invece da grande ebbi una grande litigata con lui che voleva che diventassi avvocato. Ma io dopo aver frequentato 4 anni di Legge, senza dirgli nulla, mi ero iscritto a Filosofia. Quando nel ’ 66 venne assassinato lo studente socialista Paolo Rossi, da cui nacque tutta la protesta universitaria, ci fu una grande manifestazione. Mi accorsi che accanto a me c’era mio padre. Ne fui orgoglioso.
Il passaggio come regista all’allora Finivest, la tv commerciale di Berlusconi, non le è sembrato contraddittorio coi suoi principi?
Il passaggio alla tv è stato complicato. Ma se uno fa un certo tipo di lavoro, deve lavorare dove gliene offrono. Io cerco di lavorare nel miglior modo possibile. Maurizio Costanzo Show è stato anche importante per il suo impegno sociale. Amici mi piacque all’inizio, perché era una vera e propria scuola di talenti, diversa da adesso con l’avvento delle grandi compagnie discografiche che prendono cantanti già con esperienza. Quando lo feci presente, non mi chiamarono più. Adesso sono regista di C’è posta per te. Mostra un’Italia completamente diversa da quella che uno crede, con delle sacche di arretratezza che non si pensa possano esistere, faide familiari, rapporti di coppia fermi all’Ottocento. Per questo ho cominciato a scrivere libri, per raccontare questa umanità così varia.
Oggi la società a che punto è?
Penso sempre che ci sia sempre la possibilità che qualcosa cambi, non si può continuare in questo modo becero. Quando ero ragazzo l’idea di razzismo sembrava passata, ci sentivamo parte del mondo. Oggi è insopportabile questo odio, vedere che vogliono fare le mura per i migranti, ma come può essere? Eppure come è facile che uno facendo leva sulla paura abbia consensi elettorali. Il fascismo si manifesta in tanti modi, palese e nascosto, ma la matrice è sempre quella.