Miss Volley, alias Francesca Piccinini da Massa, non smette di stupire. Ha appena vinto, a 38 anni, il quinto scudetto della sua, infinita, carriera sportiva ma parla di pallavolo come fosse un gioco, non una professione. Eppure ha conquistato anche 6 Coppe Campioni con i club, un Mondiale, un Europeo e una Coppa del Mondo con la nazionale. «I trofei? Sono tutti uguali: l’ultimo vale come il primo. Non ne scelgo uno in particolare». La sua classe e la sua esperienza sono state decisive per la vittoria del primo storico campionato dell’Agil Volley Novara. Un club fondato nel 1983 da suor Giovanna Saporiti, dell’ordine delle Sorelle Ministre della Carità di San Vincenzo De’ Paoli. Il nome nasce dall’acronimo delle parole amicizia, gioia, impegno e lealtà e la seconda calza a pennello per descrivere il momento. Cosa ha detto suor “Giò” – tutti la chiamano così –, divenuta campione d’Italia? «Che avevano fatto un lungo cammino per arrivarci e che avevano, quasi, perso la speranza» risponde capitan Piccinini. È stata infranta una maledizione che durava dal 2002, dalla finale persa con Bergamo e proseguita l’anno dopo con Perugia; nel 2004 ancora contro Bergamo (guidata sempre dalla Piccinini); nel 2009 contro Pesaro e due anni fa di fronte a Casalmaggiore, fino alla serie vincente contro Modena.
Ha portato lo spirito vincente a Novara?
«Si può dire così. La società era tanto che ci provava e ha costruito, passando attraverso le delusioni, la squadra per lo scudetto. A partire dai dirigenti all’allenatore per arrivare a noi giocatrici sì è costruito il gruppo per vincere. Sono stata il valore aggiunto. Felice di aver mantenuto la promessa fatta la scorsa estate: portare il tricolore».
Al suo fianco giocano ragazze che all’esordio in A-1 (nel 1993 a 14 anni) non erano neanche nate: Sara Bonifacio e Carlotta Cambi (classe 1996) o Giorgia Zannoni (1998)...
«Con loro mi trovo bene. Siamo due generazioni diverse ma in campo diventiamo una. Per loro sono un punto di riferimento come al mio esordio lo erano le più grandi di me. Le differenze le vedo fuori dal palazzetto perché abbiamo vite private differenti. E loro senza i social non ci sanno stare».
E lei?
«Amo Instagram per le fotografie. Con Facebook e Twitter non sono molto in confidenza. Certo sono importanti, ma le relazioni sociali dirette molto di più».
E il sociale quanto conta?
«Bisogna aiutare gli altri. Noi sportivi siamo degli esempi per i bambini e i ragazzi e dobbiamo essere sempre in prima fila. Ho prestato la mia immagine alla raccolta fondi dell’Airc colla- borando con il professor Umberto Veronesi e adesso per le campagne contro la sclerosi multipla».
È uscita di casa a 14 anni. La pallavolo le ha rubato l’adolescenza?
«Non posso negarlo. Mentre le mie coetanee si divertivano io mi allenavo e alla sera andavo a letto presto. Ma per la pallavolo rifarei tutto senza cambiare nulla del mio passato».
Le cito due numeri: 12 e 13. Che cosa le viene in mente?
«Bergamo! La mia maglia con il 12 sulla schiena ritirata dalla società dopo 13 anni di militanza. Una grande e lunga emozione che non dimenticherò mai».
La pallavolo, come la pallacanestro, si sente inferiore al calcio visto il movimento economico e d’interesse che quest’ultimo assorbe?
«Non provo nessuna invidia per i calciatori. E tocca a noi atleti di queste discipline farci valere. E a voi giornalisti darci il giusto spazio. Non solo in occasione dell’Olimpiade quando ogni sport è considerato come è giusto che sia».
La sua famiglia, quanto è stata importante?
«È la fonte della mia forza. I miei genitori, Almarella e Roberto, mi hanno sempre sostenuto, mia sorella Chiara e mia nipote Zoe di 8 anni sono le mie prime tifose. Mio padre ha completato sei libroni dove tiene gelosamente tutti i ritagli che mi riguardano e ha persino calcolato che la prima partita contro Modena nei playoff era la mia seicentesima in serie A».
E una famiglia tutta sua?
«Ci penso. So che sarà nel mio futuro. Accadrà, ne sono convinta. E m’immagino fuori dal campo a fare la mamma, sempre in movimento. Poi, chissà, magari andrò in tv a fare qualche programma».
Essere considerata prima per la bellezza e poi per la bravura le dà fastidio?
«Non mi ha mai pesato. Passo poco tempo davanti allo specchio. Poi la bellezza è merito dei miei genitori, la bravura merito mio».
La sua biografia uscita nel 2005 e intitolata la Melagranaè introvabile. Su internet girano appelli di tifose che la cercano. Perché poi quel titolo?
«Purtroppo è un libro che non si trova più in commercio, dovrei aggiornarlo... Mi piace il frutto, mi identifico nella melagrana perché non puoi mangiarla al volo come una mela. Devi sederti a tavola con calma a sbucciarla e puoi trovare chicchi più dolci e aspri. Mi assomiglia».
Nel cassetto ha ancora l’idea di terminare il liceo artistico?
«Non è detto che non riesca a concluderlo. In fondo ci sono persone che si laureano in tarda età. Fino a qualche anno fa dipingevo, mi rilassava, e il mio riferimento era la pop art dai colori sgargianti. Adoro Andy Warhol».
Lei e Maurizia Cacciatori. Siete state amiche o rivali come vi dipingevano?
«Siamo state compagne a Bergamo e in Nazionale e c’è una grande amicizia tuttora».
Programmi a breve termine?
«Vado in vacanza con alcune amiche. Ho bisogno di staccare non tanto fisicamente ma mentalmente. Poi riprenderò a correre e a fare un po’ di palestra con i pesi».
E si riparte da Novara in Champions?
«Il contratto è scaduto, ma penso di sì. Mi sono trovata bene e loro con me: il rapporto è ottimo. Di sicuro continuerò a giocare a pallavolo».