Il cantante Max Pezzali, 52 anni, originario di Pavia. 26 anni di carriera, prima con gli 883 e poi come solista.
Max Pezzali, ovvero la rivincita dell’uomo comune. E intendiamo fargli un complimento. Non è da tutti infatti, infilare 26 anni ininterrotti di successo, dai tempi degli 883 e del tormentone Hanno ucciso l’Uomo Ragno, vantando ben 19 album e 61 singoli divenuti colonna sonora quotidiana di molti italiani che si riconoscono nelle immagini di vita reale delle sue canzoni, scritte con uno stile semplice, ma diretto ed efficace. Passando dalle storie di ragazzi inadeguati alla ricerca di amori e amicizie eterne al suo “secondo tempo” nel 2008 con la nascita del figlio Hilo. Ed ora, possiamo dire, il cantante di Pavia affronta un bel terzo tempo poiché, oltre ad essersi risposa- to in gran segreto un mese fa, ha trovato una rinnovata popo-larità grazie al trionfale tour-karaoke a suon di super hit insieme Nek e Francesco Renga, senza contare la sua partecipazione fissa da Fabio Fazio in seconda serata con Che fuori che tempo che fa su Rai 1. Intanto in questi giorni Milano è tappezzata del suo volto, prestato alla campagna per donare il 5 per mille alla ricerca nel campo delle scienze biomediche sulle ma-lattie cardiovascolari promossa da Gsd Foundation, l’organizzazione no profit del Gruppo Ospedaliero San Donato.
Max Pezzali, è la prima volta che la vediamo testimonial di una campagna sociale in grande stile.
«Prima avevo aderito a iniziative più limitate. Questa è la più completa e articolata che ho sostenuto per l’importanza fondamentale della campagna stessa. Ho avuto modo di conoscere la fondazione Gsd e di verificare di persona il livello del loro impegno ricerca e prevenzione. Ed ho capito che, specialmente in questi anni in cui la tecnologia nella prevenzione e nella diagnostica hanno fatto passi da gigante, per riuscire a salvare tante vite umane è necessario un impegno economico gigantesco. C’è bisogno dell’aiuto di tutti per sensibilizzare a sostenere la ricerca sulle malattie cardiovascolari che sono la causa di morte più frequente nel mondo, con 17 milioni di decessi l’anno».
Lei ha quindi visitato personalmente i reparti?
«Certo, sono andato a vedere all’ospedale San Donato il processo di creazione dei modelli 3D del cuore dei pazienti in attesa di interventi complessi all’aorta o alle valvole, una tecnica che riduce la possibilità di errore prima dell’intervento. Ho visitato i reparti di cardiologia e cardiochirurgia, incontrando i degenti e anche delle splendide équipe mediche. In Italia occorrono poli di eccellenza che collaborino con la sanità pubblica, per mantenere alto il livello della sanità in Italia. Io conosco bene gli Stati Uniti: ci lamentiamo tanto del nostro Paese, ma la stessa terapia che da noi viene offerta col servizio sanitario nazionale, negli Usa non te la copre neanche l’assicurazione privata. La salute è un diritto di tutti».
Lei è stato scelto anche per la sua popolarità, rinnovata anche dalla partecipazione come opinionista fisso da Fazio. Inevitabile chiederle cosa ne pensa del suo spostamento su Rai 2.
«Fabio è una delle persone più intelligenti e capaci che abbia conosciuto, e per me è stato un privilegio stare al tavolo di un professionista come lui. Di cosa succederà del programma non so assolutamente nulla. So solo che parteciperò alla grande festa per l’ultima puntata prevista per il 2 giugno su Rai 1».
Non le piacerebbe avere uno show tutto suo in tv come altri suoi colleghi?
«Di uno show per me se ne parlava tempo fa, ma sono convinto di rimanere nel mio. Ovvero fare prevalentemente musica, scrivere le canzoni. È chiaro che la tv è un mezzo di comunicazione diffuso che arriva in tutte le case. Ma non riuscirei a condurre un programma generalista. Magari qualcosina sulle reti tematiche...».
Ora è terminato anche il tour con Nek e Renga che ha lanciato la moda delle “re-union” all’italiana.
«È stata una delle più belle esperienze umane e professionali che ho vissuto, ognuno ahimé ora riprende la propria strada. Io sto preparando un disco nuovo da far uscire nel 2020. Di musica ce n’è così tanta in giro che devi farne uscire di nuova solo quando sei convinto di fare qualcosa di bello».
Come mai il pubblico si riconosce così tanto nelle sue canzoni?
«Io riesco solo a scrivere testi basati sul mio quotidiano e sul quotidiano che mi circonda. Cose molto piccole, che però proprio per questo riescono ad essere condivise. Il piccolo nel quale vivo è spesso molto simile a quello di tanti altri, alla quotidianità delle persone».
E come lo vede il “quotidiano” degli italiani di oggi?
«La cosa che si nota di più è che tutto è cambiato molto più rapidamente di quanto fossimo in grado di gestire. Ci siamo trovati improvvisamente in un mondo diverso da quello per il quale ci siamo preparati. Gran parte delle reazioni individuali e collettive sono cambiate e non abbiamo strumenti per affrontarle, la tecnologia ha portato una rivoluzione nel mondo del lavoro troppo rapidamente e non eravamo stati preparati abbastanza. Ci era stato raccontato un mondo diverso. Ci ha destabilizzato tutti. Ognuno deve decidere se rifutare o accettare».
Le nuove generazioni sono più pronte secondo Pezzali che è anche padre?
«Io che ho 52 anni faccio parte dell’ultima generazione che è cresciuta col mito del posto fisso, del fatto che si doveva studiare per trovare un impiego sicuro in banca. Oggi invece le filiali chiudono a favore dell’“home banking”. Mio figlio che ha 10 anni ha già capito come funziona. Questi ragazzini ti danno l’idea di essere più preparati di noi. C’è un solco fra noi e loro: io mi sento a volte inadeguato, loro sono “multitasking”, sono cambiati antropologicamente. Ti rapporti a loro come a degli alieni ( ride. ndr). Anche se hanno le loro piccole e grandi fragilità: il grande coalizzatore con gli adulti sono i sentimenti».
La tecnologia ha portato anche una rivoluzione musicale?
«È un cambiamento tecnico. L’ascolto di musica oggi richiede tempi velocissimi. Oggi hai al massimo trenta secondi per fare ascoltare una canzone. I ragazzi, che sono bombardati di messaggi, si stufano subito. La storia psicologica che dura un minuto prima di arrivare al ritornello, non funziona più, devi arrivare immediatamente. Perciò chi è nativo di quest’epoca, fa musica partendo da questo presupposto, fa musica adatta a questo habitat. Tutte le fasi musicali sono figlie del proprio tempo. Sono convinto che si siano tante cose geniali nella musica italiana di oggi, anche nella tanto vituperata trap. A parte i contenuti spesso non condivisibili, ha alcune cose meravigliose dal punto di vista musicale. Come il ritorno all’essenza, il fatto di diminuire gli ingredienti per renderli più intellegibili. Un po’ come fece il punk a fine anni ’70: dopo anni di una musica iperprodotta, sono tornati con tre accordi alla potenza del rock’n roll degli anni ’50».