Maestro di San Francesco, particolare della croce di San Francesco al Prato (1272). Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
Nel 1236 frate Elia, il primo generale dell’ordine francescano, commissionò a Giunta Pisano una grande croce dipinta per la basilica superiore di Assisi. Andata distrutta nel XVII secolo, quella croce segna uno spartiacque nella storia dell’arte occidentale perché per la prima volta compare in terra latina l’iconografia del Christus patiens, ossia l’immagine di Gesù sofferente. Particolarmente diffusa presso la Chiesa greca, Elia doveva averne fatto esperienza decisiva durante il suo soggiorno in Terra Santa, tra il 1217 e il 1230. La nuova spiritualità fondata da Francesco, così attenta al valore fisico – trionfo nella kénosis dell’Incarnazione divina – della passione di Cristo trovava la sua immagine di riferimento nella secolare tradizione bizantina. Quell’arco disegnato dal corpo di Cristo sopra la croce, rimeditato e affinato poi da Cimabue, avrebbe costruito il ponte tra il Christus triumphans, fino ad allora imperante, e la verità del corpo – la testa reclinata e le spalle cadenti – ritratto da Giotto nella croce monumentale della (domenicana) chiesa di Santa Maria Novella a Firenze negli anni 90 del Duecento.
La forza drammatica della croce di Giunta, posta in opera nel 1240 nella chiesa madre del francescanesimo, avrebbe costituito presto, anche se tra comprensibili resistenze, il modello di riferimento per l’Italia centrale, grazie soprattutto al fervore edilizio dell’ordine minorita. Ma quella croce conteneva anche un’altra invenzione iconografica. Frate Elia aveva chiesto all’artista di essere dipinto ai piedi del Cristo morto, inginocchiato sul suppedaneo (la tabella traversale nella parte inferiore della croce). Da quell’immagine poco più di 30 anni dopo, nel 1272 un pittore straordinario e ancora anonimo, chiamato con il nome di Maestro di San Francesco, avrebbe inaugurato un nuovo filone di immagini: al posto di Elia (la cui presenza era giustificata in quanto committente) ai piedi di Cristo troviamo Francesco. La sua comparsa apre un nuovo mondo di sensi e di significati.
A "Francesco e la croce dipinta" è dedicata una mostra affascinante e densa pur nel ristretto numero di pezzi (nove, ma diversi di scala monumentale) a Perugia nella Galleria nazionale dell’Umbria, a cura del suo direttore Marco Pierini (la accompagna un catalogo Silvana, notevole per testi e repertorio iconografico). Le cinque tavole maggiori sono appese a spigoli che si estendono all’interno di una stanza buia, così da esaltare la spazialità e l’imponenza di queste strutture, in origine sospese nel vuoto sopra le iconostasi (come documenta Giotto in alcune celebri scene nella basilica di Assisi) o nel mezzo della navata principale, in asse con l’altare maggiore. La mostra muove proprio dalla croce gigantesca (quasi 5 metri di altezza) realizzata nel 1272 dal Maestro di San Francesco per la chiesa perugina di San Francesco al Prato, tra i vertici della pittura italiana del Duecento per forza dell’immagine, l’eleganza dei dettagli, la cura da orafo. Qui vediamo Francesco in ginocchio sulla cornice del suppedaneo indicare i piedi di Cristo forati da due “soli” di sangue, da cui zampillano come da una fonte le gocce che poi colano – le gocce scivolano elegantissime e astratte come in un pannello “Jugendstil” – lungo la croce blu oltremare e si accumulano in pozze sul fondo. Il santo di Assisi, l’alter Christus, ha qui la funzione di tramite, di suggeritore. Ma sarà lo stesso Maestro di San Francesco pochi anni dopo nella croce processionale bifacciale già nell’ospedale della Misericordia di Perugia, databile al 1275-1280, a compiere un balzo decisivo. San Francesco, sempre minuto rispetto agli altri personaggi della storia sacra, scende dal suppedaneo e poggia le sue ginocchia direttamente sul Golgota, abbracciando i piedi di Cristo, mentre il sangue cola lungo le rocce per penetrare all’interno del teschio di Adamo, efficacissima immagine del compimento della storia della salvezza.Il passaggio iconografico è significativo sotto due aspetti: da una parte Francesco non si limita a indicare ma ci mostra empaticamente che Cristo non è semplicemente da adorare bensì è un corpo, uno sposo da amare; dall’altra il poverello di Assisi salendo sul Calvario diventa un attore e testimone della storia sacra, dichiarando allo stesso tempo la “contemporaneità” del sacrificio di Gesù.
Lo spunto del Maestro di San Francesco è così ricco da trovare il suo compimento nella più tarda delle croci esposte, quella realizzata dal Maestro della Croce di Trevi nel 1315 circa. Qui il santo acquista una scala, una dimensione altrove inedita che fortifica l’immagine di una contemplazione condotta attraverso il mistero della fratellanza tra il corpo dell’uomo e il corpo di Cristo. Grande poco meno di Maria e di Giovanni, Francesco abbraccia con tutto se stesso il legno, si allunga verso i piedi di Gesù, li bacia. Il santo sembra persino berne il sangue che, colando, si unisce a quello che sgorga dalle sue stigmate e scivola lungo il saio, raggiunge la roccia del Golgota, penetra all’interno dove si trova il teschio di Adamo e ne riempie la bocca e le orbite.
Nel “mezzo” ci sono molte altre possibilità. Il Maestro espressionista di Santa Chiara, nella croce di Montefalco (1295-1300) fa sporgere Francesco dalla cornice come sopra una cascata e gli fa baciare il chiodo (qui i piedi sono sovrapposti, nell’iconografia inaugurata da Giotto), mentre in alcuni casi troviamo santa Chiara al posto di Francesco. Si danno anche varianti “a coppia”, con due figure oranti. Se nella croce processionale bifacciale del Maestro della croce di Gubbio troviamo Francesco e Antonio, nella grande croce del Maestro di Cesi (1295 circa) ecco ai piedi di un ormai arcaico Christus triumphans, Francesco e Domenico nell’insolito ma significativo affratellamento dei due fondatori dei nuovi ordini mendicanti.
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
Francesco e la croce dipinta
Fino al 29 gennaio 2017