È considerato il “padre” degli alpini anche se, nella sua lunga e gloriosa carriera militare, non ha mai indossato il cappello con la penna, caratteristico copricapo dei soldati di montagna. Nonostante questa “lacuna”, tra le penne nere è ancora vivo il culto del generale Giuseppe Perrucchetti, di cui gli alpini ricorderanno il centenario della morte sabato 9 aprile a Cassano D’Adda (Milano), cittadina che gli diede i natali il 13 luglio 1839. Di famiglia benestante, Perrucchetti era parente di Alessandro Manzoni, cugino della madre. Insofferente al dominio austriaco sulla Lombardia, nemmeno decenne, nel 1848, con altri compagni del collegio-ginnasio di Cassano, issò il Tricolore sul campanile della chiesa del paese quando ancora a Milano sventolava il vessillo imperiale. Nel 1859 si arruolò volontario nelle truppe del Regno di Sardegna, partecipando alla Seconda Guerra d’Indipendenza e intraprendendo così la carriera militare, che lo avrebbe portato ai più alti gradi dell’esercito. Proprio l’esperienza sul campo e gli studi di geografia militare, che insegnò per anni alla Scuola di guerra di Torino, gli fecero maturare la convinzione della necessità di dotare il Regio Esercito di «compagnie alpine autonome ed autosufficienti, capaci di difendere ognuna la propria vallata ». Progetto che illustrò in uno scritto del 1871 e che sviluppò su impulso dell’allora ministro della Guerra, Cesare Francesco Ricotti Magnani. Questo lavoro diventerà di fatto l’architrave del Decreto Reale del 15 ottobre 1872 che istituiva le “Compagnie distrettuali alpine”. Fin dagli esordi, le penne nere furono chiamate ad esercitarsi nell’arte di fare di necessità virtù. Nel senso che, come spesso avviene ancora oggi nel campo del volontariato, gli alpini sono maestri nel trarre molto dal poco. Di fatto, la nascita del corpo avvenne «un po’ di straforo», come scrisse lo stesso Perrucchetti nell’articolo “I nostri soldati alpini” pubblicato nel luglio del 1915 sul mensile “La lettura”. Le «economie fino all’osso» e i «pochi mezzi disponibili » costrinsero il generale ad aguzzare l’ingegno e a studiare «una proposta di ordinamento militare territoriale della zona alpina che, profittando di facoltà già sancite, potesse essere attuata senza ricorrere a nuove leggi». In questo modo, poterono essere attivati nuovi distretti «che fossero base di reclutamento e di ordinamento di truppe, assegnate alla difesa delle porte d’Italia». Vennero così formate le prime 15 compagnie che aumentarono a 36, ripartite in 10 battaglioni, nel 1878. Curiosamente, però, il battesimo del fuoco per gli alpini non avvenne in montagna ma ad Adua, in Etiopia, durante la battaglia del 1° marzo 1896. Da allora, i soldati con la penna si distinsero su molti fronti, giocando un ruolo decisivo durante la Prima guerra mondiale. Conflitto che il generale Perrucchetti, ormai anziano, visse soltanto in parte. Mentre si trovava nella sua casa di vacanze a Cuorgné, il 5 ottobre 1916, all’età di 77 anni, fu colpito da un aneurisma che gli risultò fatale e lo catapultò direttamente nell’Olimpo degli alpini. «Ebbe fede e vide lontano – lo ricordò il presidente dell’Associazione nazionale alpini, Angelo Manaresi –. Prima ancora che nel granito, gli alpini hanno elevato nel loro cuore un monumento di riconoscenza e di amore per chi li creò». Una stima e un affetto che, un secolo dopo la scomparsa di Perrucchetti, durano ancora. Basta partecipare a una qualsiasi adunata nazionale, come quella in programma ad Asti dal 13 al 15 maggio prossimi, per toccare con mano quanto il ricordo del generale sia ancora presente su striscioni, magliette e felpe con la scritta “Dal 1872 a servizio dell’Italia”, che gli alpini, veci e bocia, indossano con orgoglio. Insieme al cappello con la penna.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Sabato Cassano d’Adda ricorda il generale nel centenario della morte L’esperienza sul campo e gli studi di geografia lo convinsero della necessità di dotare il Regio Esercito di «compagnie alpine» Il “battesimo del fuoco” avvenne nel 1896 Giuseppe Perrucchetti