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Perché quando sentiamo musica non riusciamo a stare fermi? È una domanda tutt’altro che banale, alla quale ha dedicato anni di ricerca Virginia Penhune, tra le massime esperte al mondo di cervello e musica. Con suo marito, il neuroscienziato Robert Zatorrem, ha fondato alla Mc Gill University di Montreal il BRAMS, un laboratorio specializzato nello studiare l’effetto della musica sul cervello. Virginia Penhune venerdì 19 novembre, insieme ad altre sei ricercatrici tra le più note e accreditate nel panorama mondiale delle neuroscienze, partecipa presso l’Auditorium del Museo MAXXI all’incontro “La Grande Bellezza. Possono le neuroscienze spiegare l’arte?”, tappa romana di "Emotions", iniziativa itinerante dedicata al tema delle emozioni analizzate da sole scienziate, organizzata da BrainCircleItalia e EBRI e ideata da Viviana Kasam.
I bambini, appena sono capaci di stare eretti, si mettono a “ballare” istintivamente appena sentono una musica ritmata. Questa esperienza, (che ci fa sorridere) cosa rivela dei meccanismi di un cervello ancora molto plastico e in fase di sviluppo?
«Ci dice che ci sono meccanismi cerebrali che collegano suono e movimento il cui si sviluppo avviene molto presto nella vita. Questi meccanismi sono probabilmente parte delle reti cerebrali importanti anche per lo sviluppo del linguaggio. Sappiamo inoltre che lo sviluppo del linguaggio è molto rapido nella prima infanzia, e lo stesso vale per lo sviluppo delle abilità musicali».
Lei ha studiato l’impatto del precoce apprendimento musicale sul comportamento e sulla struttura cerebrale. Quali sono gli elementi più interessanti che ha scoperto?
«I nostri risultati più interessanti mostrano come i musicisti che iniziano la pratica e lo studio prima dei sette anni generalmente si dimostrano migliori nel riprodurre ritmi e nel percepire melodie. Questi musicisti precocemente formati, inoltre, mostrano nelle regioni del cervello cambiamenti importanti per quanto riguarda i collegamenti tra suoni e azioni. La scoperta che preferisco, però, mostra che nei musicisti precocemente addestrati alcune regioni del cervello sono più grandi, altre invece sono più piccole. Questo ci dice che il modo in cui la formazione musicale influisce sul cervello è molto complesso».
Diversi tipi di musica cambiano il cervello in modo differente? E cervelli differenti reagiscono in modo diverso rispetto allo stesso tipo di musica?
«Suonare diversi tipi di strumenti musicali può avere effetti specifici sul cervello. I violinisti, ad esempio, hanno una maggiore rappresentazione cerebrale delle dita della mano sinistra perché imparano a muoverle rapidamente e in modo indipendente. Allo stesso modo, i pianisti mostrano un più rapido trasferimento di informazioni tra i due emisferi del cervello perché devono coordinare le azioni delle dita di entrambe le mani. Per quanto riguarda la seconda parte della sua domanda, certamente persone diverse - con cervelli diversi - risponderanno in modo diverso alla musica. La risposta delle persone a un particolare brano è influenzata dal tipo di musica che hanno ascoltato nel corso della loro vita, e se suonano o studiano musica. Ma probabilmente dipende anche dalla loro personalità: ad alcune persone piace una vasta gamma di stili musicali, mentre altre rispondono solo a uno o due generi particolari».
Fiabe e leggende raccontano di musiche stregate che obbligano le persone a ballare fino alla morte. Una musica potrebbe essere costruita per “costringerci” a muoverci?
«Assolutamente sì. La nostra ricerca mostra che anche quando le persone ascoltano passivamente la musica, le regioni del cervello che controllano il movimento sono attive. Inoltre, certi tipi di ritmi musicali - quelli con sincopi, come la tarantella italiana o la salsa latina - generano un piacevole desiderio di muoversi a tempo di musica. Il piacevole impulso di muoversi a tempo di musica è ciò che intendiamo quando parliamo di “groove” musicale. Possiamo vedere il groove in azione nelle discoteche, nei matrimoni e nei concerti: la musica può portare tutti sulla pista da ballo e farli muovere per tutta la notte. Non si può ballare fino alla morte, ma la sensazione del groove può farvi ballare “fino al mattino”».
In molte culture c’è una stretta relazione tra ritmo e stato di trance. È quanto avviene anche nei rave techno?
«La musica di molte culture usa ritmi groovy e sincopati per far venire voglia di muoversi o ballare insieme. Muoversi insieme a tempo di musica può far sentire le persone più vicine a chi le circonda. È stato persino dimostrato che rimbalzare a tempo con il ritmo musicale può rendere le persone più propense ad aiutare coloro con cui hanno ballato. Questo può essere dovuto al fatto che ci sintonizziamo su come gli altri stanno pensando e sentendo osservando da vicino il loro volto e i movimenti del corpo, e immaginando come ci sentiremmo noi se stessimo facendo movimenti simili. Quindi, muoversi insieme agli altri può renderci più empatici e pronti ad aiutare».
Quando si leggono studi di medicina applicati alla creazione artistica, ad esempio la correlazione tra stile e patologia in un artista, lo studioso tende a cogliere una sorta di inadeguatezza dell’approccio, che risulta riduttivo e meccanico rispetto alla complessità e alla stratificazione del processo artistico. C’è il rischio che accada anche attraverso le neuroscienze? Che cosa le neuroscienze non riusciranno mai a capire delle arti? O forse che cosa noi faremo sempre fatica ad accettare delle scoperte delle neuroscienze sul fronte delle arti...
«Penso che ci siano molti modi di comprendere le arti. La storia dell'arte o la musicologia forniscono una finestra sul perché certe opere sono state create in un particolare momento, e ci aiutano a interpretarne il significato. Le neuroscienze possono dirci come il cervello umano percepisce e risponde a un'opera d'arte. Sapere che la grande arte e l'emozione che produce sono il prodotto del nostro cervello non dovrebbe diminuire la nostra meraviglia e il nostro piacere. I contributi dei due ambiti sono complementari. Si può ricordare che uno dei più grandi artisti del mondo, Leonardo da Vinci, era sia uno scienziato che un artista. Ha usato la sua comprensione della percezione umana, i suoi studi sulla meccanica dell'acqua e le sue osservazioni sul modo in cui le persone esprimono fisicamente le emozioni per produrre opere di immensa bellezza che comunicano con le persone attraverso il tempo e la cultura».