I festeggiamenti dei giocatori del Parma per la promozione in Serie A - Parma Calcio 1913
«Godetevela» ha detto l’allenatore Fabio Pecchia ai tifosi del Parma, che il primo maggio con un pareggio a Bari ha ottenuto per la quarta volta la promozione in Serie A, alla terzultima partita di un campionato di Serie B dominato dall’inizio alla fine (il Parma è stato primo in classifica per 35 delle 36 giornate giocate fin qui). «Godetevela» ha detto Pecchia, e chi ha seguito le vicende della squadra emiliana nelle ultime stagioni capisce perfettamente il messaggio.
La fine di un periodo complicato
Questa promozione chiude uno dei periodi sportivamente più complicati della storia del Parma. Da qualche anno i suoi tifosi (compreso chi scrive) erano diventati pessimisti: c’era sempre nell'aria la sensazione che sarebbe finita male, anche quando le cose sembravano mettersi bene. Non era quello a cui il Parma ci aveva abituati: da quando è arrivato in Serie A la prima volta, nel 1990, per il club crociato è stato normale superare le aspettative.
Da neopromossa nel ‘90 il Parma ha chiuso il campionato al quinto posto. L’anno dopo ha vinto la Coppa Italia, quello dopo ancora la Coppa delle Coppe, quindi la Supercoppa Europa, dopodiché la Coppa Uefa. Al Parma è bastato un decennio abbondante ad altissimi livelli per diventare la quarta squadra italiana con più trofei internazionali, subito dopo Milan, Inter e Juventus. Anche in seguito ai due fallimenti, prima ai tempi di Parmalat, poi in coda agli anni della gestione del bresciano Tommaso Ghirardi, il Parma ha sempre retto ed è ripartito, a volte con risultati impensabili. Come la risalita dalla D alla A con quattro promozioni in quattro anni, qualcosa che nessuno in Italia aveva mai fatto prima.
È stato il campionato di Serie A del 2020-21, il terzo dopo la risalita dai dilettanti, a rendere pessimisti i tifosi del Parma. Un torneo iniziato con una campagna acquisti sontuosa (oltre cento milioni di euro spesi in nuovi acquisti) e finito malissimo: ultimi, con soli 20 punti e una incredibile serie di occasioni buttate via. Partita dopo partita tra le legittime aspirazioni dei tifosi e la realtà del campo si è aperto un divario enorme.
È successo di nuovo l’anno dopo: retrocesso in Serie B, il Parma ha arruolato due campioni come Gigi Buffon e Franco Vazquez. La risalita sembrava una formalità. Invece la squadra non è arrivata nemmeno ottava, l’ultimo posto per accedere ai playoff per giocarsi la promozione. L’anno dopo ai playoff ci è arrivata e sembrava diretta verso la Serie A: nella semifinale dell’andata a Cagliari vinceva per 2 a 0 dopo nemmeno mezz’ora. La rimonta della squadra sarda, con tre gol negli ultimi venticinque minuti, e una palla che ha colpito la parte bassa della traversa per rimbalzare sulla linea della porta del Cagliari nella partita di ritorno (bastava un uno a zero per passare il turno...) hanno confermato che quella brutta sensazione non era irragionevole. Sì, anche quando sembrava fosse la volta buona, alla fine non lo era.
Il presidente del parma, Kyle Krause, portato in trionfo - Parma Calcio 1913
Il progetto di Krause
Per questo il ritorno del Parma in Serie A stavolta è diverso: ha la forza liberatoria dell’uscita da quello che sembrava un momentaccio ma invece non finiva più. È la vittoria che va «goduta» come può fare solo chi ha trovato la gioia dopo troppe delusioni o chi ha conquistato la vetta dopo una scalata molto più lunga e faticosa del previsto. E che ora si può guardare attorno con ragionevole ottimismo.
L’ultima volta che il Parma aveva passato in Serie B tre anni di seguito era stato alla fine degli anni ‘80, proprio prima della promozione che aprì quei dodici anni incredibili che portarono i dodici trofei oggi ospitati nel Museo del Tardini e fece innamorare i tifosi di campioni come Zola, Asprilla, Crespo, Buffon, Thuram o Cannavaro. Oggi però è una storia diversa. Non sono più gli anni degli acquisti esagerati e delle ambizioni sconfinate (anche al di là dei confini della legalità) di Calisto Tanzi, ma quelli dell’imprenditore americano Kyle Krause, che arriva dallo Iowa ma ha origini palermitane ed è innamorato dell’Italia.
Krause, 61 anni, ha fatto fortuna con Kum&Go, una catena di minimarket legati alle stazioni di servizio negli Stati Uniti. L’anno scorso l’ha ceduta e oggi il Parma Calcio è una delle attività principali del Krause Group, che controlla anche due grandi ranch negli Stati Uniti, le squadre di calcio dei Des Moines Menace e Pro Iowa ma soprattutto in Italia è proprietario di due storiche cantine piemontesi (Vietti ed Enrico Serafino) e ha avviato un resort a cinque stelle nelle Langhe.
È un altro proprietario americano di club italiani, ma ha un approccio molto diverso da quello dei fondi di investimento che cercano profitti veloci nel business del calcio. Krause Group si definisce un’impresa famigliare la cui missione è «migliorare il modo in cui le persone vivono il mondo coltivando una famiglia di marchi e creando allo stesso tempo opportunità per fare del bene». Nelle poche interviste concesse, il presidente del Parma ha detto di ritenersi un «imprenditore sociale» che guida aziende «legate al territorio, ecosostenibili, rispettose e amate dalla comunità» e fa investimenti a lungo termine pensando anche ai figli e ai nipoti (nel Parma è coinvolto soprattutto il figlio Oliver).
Le risorse non gli mancano: tra acquisto del club e coperture delle perdite ha investito 357 milioni di euro nel club emiliano in questi quattro anni. Il progetto per il nuovo Stadio Tardini, una ricostruzione da zero per costruire nel centro della città un impianto moderno che contribuisca ai ricavi della squadra, sembra vicino all’approvazione finale. Ha anche lanciato la squadra femminile, che punta a salire anch'essa in Serie A.
Investire sui giovani (e farli giocare)
A livello sportivo il progetto è chiaro: investire sui giovani e sul settore giovanile. Gli scout del Parma, guidati dal direttore sportivo Mauro Pederzoli, hanno il compito di trovare giocatori giovani di qualità «che possano garantire alla società un futuro sportivo ed economicamente sostenibile», come ha spiegato lo stesso Krause alla Gazzetta dello Sport.
Una strategia che ha i suoi rischi (soprattutto nell’equilibrio psicologico di una squadra fatta di giovani pieni di talento ma non di esperienza) ma che quest’anno ha dimostrato di potere essere vincente. Il Parma ha conquistato la promozione con la terza rosa più giovane della categoria (24,8 anni l’età media), fatta tutta di giocatori di proprietà che iniziano ad avere diverse decine di partite giocate tra i professionisti.
Alcuni stanno catturando l’interesse di grandi club europei. Su tutti il centrocampista catalano Adrián Bernabé, 22enne che si è formato nelle giovanili di Barcellona e Manchester City, o la punta Ange-Yoan Bonny (20enne scovato tre anni fa nella quinta serie francese), ma anche l’ala 23enne polacca Adrian Benedyczak, già nel giro della nazionale, il centrocampista svizzero Simon Sohm (23 anni) o il centrale difensivo Alessandro Circati, che a 20 anni ha già esordito con l’Australia (è figlio di un calciatore fidentino emigrato a Perth). A questi si aggiungono giocatori più maturi, come i romeni Dennis Man e Valentin Mihăilă (rispettivamente 25 e 24 anni) già stabilmente nella loro nazionale, e qualche "esperto", come Christian Ansaldi, l’esterno ex Inter e Torino che a 37 anni assieme al capitano Enrico Del Prato (terzino 24enne scuola Atalanta) è uno dei leader dello spogliatoio.
Fabio Pecchia, allenatore del Parma - Parma Calcio 1913
Giocatori "tutti dentro"
La squadra arriva in A con una squadra dagli equilibri e dagli schemi ormai consolidati nei due anni della gestione di Pecchia, che ha conquistato la sua terza promozione dopo quelle con il Verona e la Cremonese. Pecchia due anni fa ha scelto di lasciare Cremona, dove aveva appena centrato l’obiettivo della A, per unirsi al progetto del Parma di Krause. Allievo di Rafa Benítez, sempre fedele al suo 4-2-3-1 e al gioco d’attacco, ha imposto nelle parole e nei fatti l’idea che i giocatori sono “tutti dentro”. Raramente l’allenatore del Parma ha schierato la stessa formazione per due volte di fila.
In ogni conferenza stampa ha ribadito che non ci sono i titolari e sostituti, ma gioca il Parma, e chi entra a partita in corso non ha meno possibilità di contribuire al successo della squadra rispetto a chi è partito dall’inizio. Se la squadra si è imposta sulle altre dall’inizio alla fine in campionato non è stato solo per la qualità e l’ampiezza della rosa, oggettivamente la migliore della Serie B, ma anche per la capacità di fare gruppo che è emersa con evidenza in questa stagione, con una solidità psicologica che ha consentito al Parma di vincere tante partite con gol segnati negli ultimi minuti di gioco. Una rosa giovane, un gruppo forte, una proprietà solida: sembra esserci tutto per fare una buona figura anche nella massima serie.
«Il Parma è tornato. La natura sta guarendo» ha scritto su Twitter il giornalista americano James Horncastle, che segue la Serie A per The Athletic, il giornale sportivo del New York Times. «ParmAgain» è il motto scelto dal club per celebrare questa vittoria. Per i tifosi del Parma l’ultima assenza dalla massima serie è stata sofferta e sicuramente troppo lunga. Per quello che i gialloblu hanno combinato nel grande calcio da quel 1990 in avanti non c’è bisogno essere di parte per pensare che anche alla Serie A il Parma sia mancato molto.