martedì 8 ottobre 2024
Arriva giovedì nelle sale "La storia di Souleymane" che racconta speranze e angosce di un richiedente asilo in Francia. Nel ruolo del fattorino, un giovane della Guinea premiato a Cannes
L'attore esordiente Abou Sangare in una scena del film "La storia di Souleymane" di Boris Lojkine

L'attore esordiente Abou Sangare in una scena del film "La storia di Souleymane" di Boris Lojkine - -

COMMENTA E CONDIVIDI

In bicicletta tra le strade di Parigi alla scoperta di un mondo invisibile, fatto di quotidiane lotte per la sopravvivenza. Arriva nelle sale giovedì prossimo con Academy Two il nuovo film del francese Boris Lojkine, La storia di Souleymane, presentato nella sezione “Un certain regard” dell’ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto il Premio della Giuria e quello per l’interpretazione dell’esordiente non professionista Abou Sangare. Nel film il giovane attore guineiano è un fattorino che consegna cibo a domicilio con la sua bici. Richiedente asilo in Francia, Souleymane ha solo due giorni per preparare il colloquio e raccontare una storia che gli permetterà di rimanere a Parigi come rifugiato. Una storia di persecuzione politica e religiosa che ha diligentemente preparato per essere convincente. Ma il giorno dell’intervista accade qualcosa di imprevisto.

Il progetto del film è nato qualche anno fa e Lojkine ci ricorda che il suo primo film, Hope, era già una storia di migranti africani che si incontrano sulla strada per l’Europa. «Da molto tempo sono interessato a questo tema – dice – e i miei lavori precedenti sono tutti girati in luoghi lontani, per poter comprendere altre vite, Paesi, culture. Parigi ci fa pensare a gente benestante che, seduta a un caffè, parla di problemi sentimentali, ma questo non è il genere di film che voglio fare. C’è voluto del tempo per realizzare che avrei potuto osservare, invece, Parigi da un diverso punto di vista inquadrando non la mia città, ma quella di Souleymane. Durante il lockdown nelle strade vuote si vedevano solo fattorini ed è stato subito chiaro che quello sarebbe stato il soggetto del mio film. Così nel giugno del 2020 sono cominciate le prime ricerche. Ho fatto lunghe interviste a una quindicina di loro, che mi hanno raccontato moltissime storie sul business delle consegne a domicilio, sulla possibilità di affittare l’account di qualcun altro, sulla loro vita quotidiana».

Il film si svolge nelle 48 ore che precedono il cruciale colloquio del protagonista, una scelta narrativa che imprime alla storia un ritmo veloce, carico di suspence e tensione. «Il film doveva correre veloce come Souleymane sulla sua bicicletta».

Inoltrarsi tra le pieghe della vita quotidiana del giovane guineiano significa necessariamente interrogarsi anche sul percorso burocratico che i richiedenti asilo sono costretti ad affrontare. Un percorso che spesso costringe alla menzogna. Souleymane ha imparato a memoria una storia, ma qualcosa di ancora più orribile è accaduto nella sua vita. «Le storie di vita commoventi ispirano buoni film, ma non servono a ottenere lo status di rifugiato. La vera storia di Souleymane è molto toccante, nessuno arriva in Europa se non ha una buona ragione, ma il permesso di restare in un Paese non si basa sull’emotività. La domanda infatti è la seguente: cosa facciamo con chi non ottiene asilo, ma ha lasciato il proprio paese spinto dalla disperazione?»

La lunghissima sequenza del colloquio è il vero cuore del film, capace di lasciare lo spettatore a lungo con il fiato sospeso. «Una sequenza divisa in due parti che hanno richiesto un diverso tipo di lavorazione. Ho ascoltato le testimonianze di molto guineiani e mi è stato concesso il permesso di assistere ai veri colloqui insieme all’attrice che avrebbe interpretato la funzionaria. Ci sono voluti poi tre giorni per realizzare la sequenza: il primo per ciò che accade fuori dalla stanza; il secondo per la parte che riguarda il racconto meticolosamente preparato da Souleymane, molto scritto e provato dall’attore, che ha affrontato la sfida di recitare almeno venti pagine di dialoghi; il terzo per la parte in cui emerge un’altra storia. Questa volta non volevo che Abou Sangare recitasse a memoria le frasi che avevo scritto, mi importava solo che emergesse un’emozione vera. Ed è quello che è accaduto. Quando Souleymane comincia a parlare della madre, la storia del personaggio e quella dell’attore si sono mescolate e traumi del passato sono riaffiorati in maniera ancora molto dolorosa». Trovare l’interprete giusto non è stato facile: «Cercavo un giovane della Guinea, una delle due più importanti e recenti comunità in questo business insieme alla Costa d’Avorio. Grazie ad alcune associazioni ne ho incontrati diversi nel nord della Francia e Abou Sangare era uno di questi».

Il pensiero dello spettatore andrà facilmente ai due protagonisti senegalesi di Io capitano, Seudou Sarr e Mustapha Fall, ma per Sangare le cose non si sono messe altrettanto bene. «Abou è ancora in attesa dei suoi documenti. È arrivato in Francia nel 2017, non ha mai chiesto l’asilo, ma solo il riconoscimento di appartenenza a una minoranza. Ha studiato un po’, ha preso il diploma di meccanico, ma per lavorare in un garage ha bisogno di documenti. Quando l’ho incontrato stava provando a ottenerli per la prima volta, ma durante la fase di montaggio del film la risposta è stata negativa. A Cannes Abou ha vinto un premio, ma a causa delle elezioni amministrative si è bloccato tutto. Tre settimane fa l’amministrazione ha preso in carico il suo caso suggerendogli di presentare una nuova domanda. Questa sarà forse la volta buona, ma con questo governo di destra non ci giurerei. Sento i suoi documenti come una mia responsabilità personale ora, ha dato moltissimo al film e noi gli siamo debitori».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: