Il ds del Lecce Pantaleo Corvino, 73 anni, da cinquanta protagonista assoluto nel mondo del calcio - ANSA
Parla Corvino, il ds di più lungo corso della Serie A, artefice delle fortune dei giallorossi salentini che oggi, da imbattuti, sfidano la Juventus Panta rei, (“tutto scorre”) insegna la filosofia di Eraclito. Pantaleo, invece, è il nome di Corvino, il filosofo del calcio dietro una scrivania, ma sempre vista campo. Un Cincinnato salentino, classe 1950, che da mezzo secolo a questa parte lavora per valorizzare il calcio nazionale. Un autentico self-made man del settore “direttori sportivi”. Che il calcio sarebbe stata la sua vera Repubblica l’ha capito la notte magica del Mundial di Spagna 1982: «L’immagine alla tv del Presidente Pertini che si alza dalla poltrona del Bernabeu al terzo gol di Altobelli alla Germania mi fa venire ancora la pelle d’oca… Dov’ero? A casa mia, a Vernole, e da sette anni facevo già il direttore sportivo della squadra del mio paese». Comincia da lì la favola di Corvino, dalla squadra locale che porta dalla Terza alla Prima categoria. Poi allo Scorrano in Promozione e nell’89 debutta tra i professionisti, in C, come ds del Casarano. Il miracoloso Casarano di Orlandoni in porta e dei due bomber Francioso e Miccoli, per intenderci. «Fabrizio Miccoli è stato il primo campione che ho preso da bambino. Oggi giocherebbe in pianta stabile in questa Nazionale di Spalletti: Fabrizio è sicuramente il talento italiano più forte che ho avuto il piacere di crescere ». Il primo di una lunga serie, perché poi il panta rei calcistico ha condotto Pantaleo a Lecce in cui porta Bojinov, Vucinic, Chevanton, Pellè... Nei tredicici anni di Firenze lancia campioni del mondo come Toni e Gilardino. «Ma anche fuoriclasse come Frey, Jovetic, Mutu. E poi quando sono tornato a Firenze la seconda volta ho cresciuto Vlahovic, Chiesa... ». Ci vorrebbe un intero album Panini per elencare tutte le scoperte, le riscoperte i lanci e rilanci di questo rabdomante del pallone che riconosce il talento lontano chilometri, ma con l’umiltà dei grandi ammette: «Se trovi il campione scopri l’acqua calda, quello lo vedono tutti. Intravedere prima degli altri, quella è la vera arte». Filosofia dell’attuale ds del Lecce rivelazione di questo avvio di campionato che oggi arriva a Torino per sfidare la Juventus da terzo in classifica e imbattuto: 3 vittorie e due pareggi.
La mano di Corvino c’è e si vede, ed è quella di uno degli ultimi esemplari di ds storici e vincenti della Serie A.
Fino allo scorso anno c’era anche Ariedo Braida (ds della Cremonese) che ha vinto tutto con il Miche lan. Walter Sabatini al momento è senza squadra, ma gli auguro di rientrare presto. Insomma sì, ora ci sto solo io con Marotte Galliani. Ma io sono l’ultimo dei mohicani - sorride -.
Cinquant’anni di calcio in prima linea, cosa c’è che non va nel sistema odierno?
Si fa prima a dire quello che va ancora bene. E allora propongo di inserire come Patrimonio dell’Unesco i tifosi, gli arbitri, molti allenatori e qualche direttore sportivo. Mettiamoci pure qualche giornalista che sa ancora raccontare questo calcio con un po’ di obiettività e se ci scappa anche un pizzico di poesia meglio ancora.
Non ha inserito i presidenti nella sua personale lista da Patrimonio Unesco...
Vero, ma la ragione è che per tutte quelle categorie elencate ci sono corsi e richiedono almeno uno studio preventivo per farne parte. Una volta i presidenti erano imprenditori seri e capaci che dopo aver acquistato il club allestivano intorno a sé un management adeguato come se stessero curando l’azienda di famiglia. Oggi invece sono entrati in gioco le multinazionali, comandano i fondi di investimento. Le app virtuali e le intelligenze artificiali hanno la meglio sull’elemento umano. Non va bene. E allora forse è tempo di istituire dei corsi a Coverciano per molti presidenti...
E con quei procuratori, grande minaccia del calcio moderno, come la mettiamo?
Quello dei procuratori è un falso problema, come la storia dei troppi stranieri nelle rose delle nostre squadre. Il pallino in mano ce l’hanno sempre le proprietà, perciò se vuoi pagare un giocatore o procuratore con il prezzo giusto, che sia straniero o italiano, puoi ancora farlo. Vox populi degli stadi dice che uno come Corvino sa trattare eccome: ha portato ovunque risultati sul campo e anche in termini economici. Ed è anche uno di cuore, dicono ancora: è tornato a Lecce, da dove è cominciata l’avventura in Serie A. Sono tornato perché dopo 15 anni, 13 a Firenze e due a Bologna, mi ha voluto il presidente Saverio Sticchi Damiani. Quando l’ho lasciato, il Lecce era in A e l’ho ritrovato in B. La Primavera quando sono salito a Firenze era campione d’Italia e pure quella l’ho ripresa dalla B. In tre anni siamo tornati in A con la prima squadra e la Primavera ha vinto lo scudetto. Oggi la rosa di mister D’Aversa è la più giovane del campionato, con 7 ragazzi arrivati dalla Primavera.
E i conti del Lecce, dicono sempre i bene informati, sono a postissimo.
Il nostro monte ingaggi è di 17 milioni di euro lordi, il più basso di tutti. Abbiamo dovuto autofinanziarci per far questo, comprare a poco e vendere a tanto. Vedi Hjulmand: l’ho preso a 170 mila euro (dall’Admira) e l’ho rivenduto per 20 milioni (allo Sporting Lisbona). Al Lecce siamo più figli delle idee che del portafoglio, anche perché qui non ci sono né fondi, né sceicchi. Anche gli sceicchi sauditi sarebbero la rovina del calcio attuale. Altro falso problema. Per ora gli arabi portano risorse economi- e non estirpano il patrimonio dei nostri giovani. Se in futuro invece di accontentarsi di ingaggiare vecchi campioni a fine carriera prenderanno i migliori millennials italiani, allora ci sarà da preoccuparsi, ma per adesso il pericolo non c’è.
Il pericolo più grande per un ds è lavorare non in sintonia con il tecnico. A Lecce portò Zeman e a Firenze con Cesare Prandelli forse è stata la sua apoteosi professionale...
Il primo anno di A a Lecce presi Zeman che veniva da sette retrocessioni ed era appena sceso a gennaio in B con l’Avellino. Facemmo bene. Poi sono andato alla Fiorentina e con Prandelli abbiamo ottenuto quattro qualificazioni in Champions. Un lavoro eccezionale che ha portato Cesare a diventare ct della Nazionale vicecampione d’Europa del 2012. Ma l’allenatore che più hoamato è Sinisa Mihajlovic. Lo chiamai alla Fiorentina per aprire un altro ciclo, differente e in autofinanziamento. Il primo anno andò benissimo, al secondo, il suo licenziamento coincise con il mio primo esonero dopo 32 anni di calcio. Ma quella scelta di prenderlo la rifarei, perché Sinisa era un grande allenatore, ma soprattutto un uomo meravigliosamente raro, un amico che non dimenticherò mai.
Dalla finanza pallonara siamo passati al calcio di poesia e all’economia degli affetti.
Guardi che per me il calcio è prima di tutto un fatto di cuore. Grazie a questo mestiere ho girato il mondo arrivando fino a Capo Horn, solo il tempo di una partita per visionare un talento che mi hanno segnalato. Se continuo a fare il direttore sportivo è perché questo è il mio secondo amore. Il primo? Mia moglie Rina e i nostri figli: stiamo insieme da 57 anni e ne sono innamorato come il primo giorno.
Qualche rimpianto?
Nessuno... Sì, forse uno soltanto: aver fatto arrabbiare mio padre quando rinunciai alla carriera in Aeronautica per dedicarmi al calcio. Papà ha visto solo i miei inizi da ds, poi è morto... Peccato che non abbia potuto gioire con me dei successi che ho ottenuto, specie quelli alla Fiorentina di cui era un grande tifoso. Però sento che mi è sempre vicino e mi aiuta ancora a raggiungere altri traguardi. Il prossimo obiettivo? Mi auguro di scrivere ancora tante pagine belle e di non morire a casa, ma in pista e correndo ancora forte, come i cavalli di razza.