mercoledì 1 ottobre 2014
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Il conte che racconta... «a Dio piacendo»Jean Bruno Wladimir François-de-Paule Le Fèvre, conte d’Ormesson, saggista e scrittore, entrò all’Académie Française il 18 ottobre 1973, accolto da Thierry Maulnier. Fu il più giovane a essere eletto tra gli accademici francesi e il suo primato regge tuttora. Essendo figlio di André d’Ormesson, ambasciatore di Francia, nel periodo della giovinezza visse vari anni in Baviera, in Romania e in Brasile. Fino alla vendita del maniero, le sue vacanze si svolgono nel castello di Saint-Fargeau, che fa da sfondo al suo romanzo «A Dio piacendo». Nel 1950 diventa segretario del Consiglio internazionale della filosofia e delle scienze umane dell’Unesco, e poi, nel 1992, anche presidente. Nel 1970, diventa direttore del quotidiano “Le Figaro”. Lascia l’incarico il 10 gennaio 1975 per dissensi con l’editore dell’epoca Robert Hersant. L’intervista che pubblichiamo è tratta dal sito della rivista di Comunione e Liberazione «Tracce» (www.tracce.it).All'assurdo preferisco il misteroÈ convinto che a Dio, se esiste (come recita il titolo di un suo libro ndr), sarebbe bene gridargli: «Non cambiare niente!». Nei libri di Jean D’Ormesson, tra le star letterarie di Francia, si fondono saggio, romanzo e – come dice lui – «farsa metafisica». Le domande su Dio e la meraviglia di fronte alla vita sono ripetute in ogni modo, spesso sfacciato e divertito. A volte, grato, arreso. Di certo a calamitarlo è il pensiero di essere al centro del più incredibile dei romanzi: «La storia di questo nostro mondo. Innumerevoli volte avrebbe potuto sparire per sempre», e invece, «siamo qui». Su una terrazza, in riva al lago di Losanna. Jean d’O (come lo chiamano in Francia) si entusiasma del sole che lo bacia seduto al tavolino. La luce è molto forte, ma si leva gli occhiali neri per guardarti negli occhi. Ha 89 anni. A 48 è entrato fra gli Immortali dell’Académie française, già per anni direttore di "Le Figaro", presidente dell’Unesco, ambasciatore all’Onu. È a Losanna per presentare il suo ultimo libro: Comme un chant d’espérance. Mentre in Italia è da poco uscito il penultimo (Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto): un immaginifico e triplice romanzo sulla sua famiglia, la storia del mondo e Marie, l’amore della vita, che perde e poi ritrova. Un libro pieno di stupore per l’infanzia vissuta a Plessis-lez-Vaudreuil, quando «Dio si incaricava di tutto e ci aveva in simpatia»; pieno di amara sorpresa per come l’uomo è diventato «sempre più potente e sempre più smarrito», e di instancabile fiducia perché «le maledizioni non tardano a trasformarsi in benedizioni». Un libro che si apre con suo nonno e si chiude con le stelle. Da dove le viene questa meraviglia di cui parla sempre? «È che provo ammirazione di fronte agli uomini, di fronte alle cose. Mi piacciono. Sono sempre pronto ad applaudire. Forse è il mio temperamento... Mi ricordo molto bene che a sei, sette anni, ero lì a giocare, e all’improvviso mi fermavo e dicevo: ma cosa sto facendo qui? Perché sono qui? Era un sentimento che avevo molto forte. E che ho, ancora, molto forte. Anche noi adesso, a questo tavolo, cosa ci facciamo? Mi sorprende il mistero di questa vita. Forse, semplicemente, non sono mai uscito dall’adolescenza (ride). Comunque, non conosco altro motore della letteratura e della vita se non la curiosità e l’insoddisfazione, il desiderio. Perché scrive?«Non ho mai creduto che sarei diventato uno scrittore. Ci sono autori che hanno scritto romanzi e grandi classici a quindici, vent’anni. Io a venticinque non avevo la minima idea di mettermi a scrivere. Non perché non conoscessi la letteratura, la conoscevo bene, ho fatto una scuola Normale. È che non vedevo nessuna utilità nell’aggiungere qualcosa a Flaubert, per intenderci. Poi, a trent’anni, ho scritto il primo libro. Solo per piacere a una ragazza. Piano piano, ho continuato. Gli ultimi tre libri sono dedicati al problema di Dio e dell’avventura straordinaria che è l’universo. Forse anche perché un uomo della mia generazione ha visto il mondo cambiare in cinquant’anni come non è cambiato in mille». In più occasioni ha detto di considerare la crisi di oggi come una crisi di spiritualità e ha definito il nostro tempo «un Medioevo senza cattedrali».«L’epoca in cui viviamo è molto rude e difficile. Il secolo scorso è stato segnato da due cose opposte: le due Guerre Mondiali e il progresso della scienza. Ma, oggi, questi progressi fanno paura: la clonazione, innanzitutto. Non è escluso che in futuro i bambini non nascano più dall’amore tra un uomo e una donna! Che la sessualità scompaia. Questi cambiamenti causano la crisi del mondo moderno e dico che viviamo un Medioevo senza cattedrali perché mancano profondità, altezza. L’uomo è sempre più potente e sempre più smarrito». Qual è la strada per recuperarle?«Io credo che i giovani di oggi non sopportino esattamente ciò che non sopportavo io da giovane: che i vecchi diano lezioni. Ed io non voglio né posso dare lezioni. Non sono fra quelli che dicono: "Prima era meglio". L’anno scorso mi sono ammalato e il medico mi ha detto che c’era una possibilità su cinque di uscirne vivo. Eccomi qui. Trent’anni fa, sarei morto. Allo stesso tempo, è certo che viviamo in un mondo duro, e il peggio è ancora possibile. Ma resta sempre una speranza». Quale?«Che ci sia qualcosa sopra di noi». Si definisce un credente «ravagé par le doute», tormentato dal dubbio. Ma al di là delle definizioni, cosa vuol dire nella sua vita che «la domanda su Dio è la sola domanda e mi abita da sempre»?«Sono stato educato nella religione cattolica e spero di morire in seno alla Chiesa cattolica, ma non sono mai stato un ragazzo pio. Tutto ciò che posso fare è sperare che esista». In tutto il libro, c’è questo refrain: «Se Dio esiste». Ma le ultime pagine sono una preghiera, in cui a Dio dà del «tu»: «Ah, se esisti....». E immagina di trovarsi un giorno davanti al Creatore e di ringraziarlo perché gli deve tutto, nella speranza che Lui, chinandosi, le dica: «Ti perdono».«Il matematico Bertrand Russell, ateo, di fronte alla domanda di un giornalista ("se quando muore, Dio c’è?"), ha risposto: "Non ho prove sufficienti". Non è una buona risposta. Mi ha colpito sentire quello che invece ha detto una suora di fronte alla domanda inversa: "E se alla fine scoprisse che Dio non esiste?". Ha risposto: "Peggio per Lui, io Lo amo comunque". Ecco, io spero che Dio ci sia, ma in ogni caso ho amato molto questa vita e mi sono sempre chiesto chi ringraziare. Nei miei libri c’è la risposta».Vivere «come se Dio ci fosse», come ha consigliato Benedetto XVI ai non credenti, cambia la sua vita? «Se non c’è niente oltre a questo mondo, non ha nessun senso quello che riceviamo, è tutto assurdo. Se c’è Dio, le cose prendono senso. Tutto, di colpo, prende senso. Ma, anche se non ci fosse, la speranza di Lui mi ha fatto vivere sopra me stesso, sopra la mia bassezza». «Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto» è anche un romanzo d’amore, del suo amore con Marie. «Un amore che porta con sé la storia dell’universo. Perché amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme il mondo». Ma chi è Marie?«Questa è una domanda molto importante. Il personaggio di Marie appare in tutti i miei libri, ma su di lei non posso aggiungere nulla a quel che ho scritto. Vede, ci sono due modi di non parlare della propria vita: o tacere o parlare molto, ma senza dire l’essenziale». Perché è così importante per lei Marie?«Credo che abbiamo un solo modo di comunicare con Dio: passare attraverso gli uomini. Ci sono dei figli di Dio che ci sono più cari degli altri: Marie è il figlio di Dio che mi è più caro. Lei è in qualche modo inseparabile dal mio legame con Dio, è come un’incarnazione». Marie, alla fine del libro, dopo aver ascoltato tutta la storia dell’universo, le dice: «Quello che volevo sapere continuo a non saperlo. La vita con te è stata meravigliosa. Siamo stati felici insieme. Ma poi ecco: questa vita è un fallimento. Non ha senso. È assurda. Ci siamo incontrati, ci siamo amati e saremo separati per sempre e spariremo nel niente. Sono già morta poiché morirò».«Io non ho risposta per lei. So solo che abbiamo il diritto di sperare che ci sia qualcuno che si ricorda di noi per sempre. Se Dio c’è, è la memoria dell’universo, di tutto ciò che è stato e di tutti gli uomini. Delle farfalle dei fiori degli scorpioni. È possibile che non resti nulla di Bach, Mozart, Tiziano, san Giovanni, noi? Io scelgo il mistero piuttosto che l’assurdo». Qual è la cosa più bella della sua vita? «Una delle cose che ho amato di più è la luce. Ho adorato nuotare nel mar Mediterraneo, sotto il sole, sciare e scendere dalla Maurienne verso l’Italia, lasciare Parigi nel mese di aprile, andare fino a Portofino per vedere il sole alzarsi e arrivare per pranzo a Roma, in piazza Navona. La bellezza è un mistero incredibile». Nel libro la definisce «una promessa di felicità». «Lo riprendo da Stendhal. La bellezza, la verità, la giustizia... esistono veramente. Non le possediamo mai, non le raggiungiamo mai, ma esistono. Molti hanno creduto che il comunismo avrebbe dato la giustizia e ha dato Stalin. Allora si potrebbe pensare che la giustizia, il bene e la verità non ci siano. Invece bisogna seguirli, continuare a cercarli. Vede, io ho amato il piacere, ma può essere molto basso. C’è la felicità che è borghese, calma, annoiante. Poi, c’è la cosa più magnifica! La gioia. È quello che ci eleva. La nostalgia di un altrove. Non so dirlo diversamente: noi siamo nostalgia di un altrove. Non è possibile dire chi siamo meglio di così». Ha sempre detto di non credere alla possibilità della rivelazione.(Fa un cenno con la mano, come a dire: non proprio... E sorride).«I miei genitori erano cattolici liberali, di sinistra, e mi hanno insegnato solo due cose: bisogna lavorare e bisogna pensare agli altri. Un giorno, quand’ero bambino, mentre studiavo il catechismo, mio padre ha detto: “Oh, tutto questo... Non è molto sicuro”. Bisogna stare attenti a quello che si dice ai bambini. Io credo che la forza del cristianesimo stia proprio in ciò che è più incomprensibile: l’Incarnazione. Dio che si fa uomo! Gesù è veramente figlio di Dio? Sarebbe magnifico. Penso ad altre divinità che si facevano umane, come Zeus, o a cose simili in altre religioni... Ma solo nel cristianesimo Dio si fa uomo per amore». Perché vorrebbe morire in seno alla Chiesa cattolica?«Ho assistito a dei funerali civili e li ho trovati molto tristi. Vorrei che quel giorno qualcuno suonasse Mozart e Bach e che i miei amici, dopo di me, festeggiassero. Perché può essere - può essere - che niente è perduto».
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