Le pagine di un taccuino dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk - Courtesy Orhan Pamuk
«Dai 7 ai 22 anni ho creduto che sarei stato un pittore. A 22 anni il pittore in me è morto e ho cominciato a scrivere romanzi». Molti dei suoi innumerevoli lettori sparsi nel mondo non saranno così dispiaciuti della svolta impressa da Orhan Pamuk alla sua vita. Eppure quel pittore in lui aspettava solo un momento per risorgere. Nel 2008, venticinque anni dopo la decisione di dedicarsi alla letteratura, mentre è negli Stati Uniti entra in un negozio «per uscirne con due sacchetti pieni di matite e pennelli. Poi ho cominciato a disegnare su piccoli taccuini, fra il piacere e il timore». I notebook su cui registra eventi della giornata, impressioni, idee e che porta sempre con sé, diventano così un palinsesto inestricabile, in cui le stesse parole si animano di colore. «Disegno e scrivo ogni giorno. Scrittura e pittura non confliggono: la carta le contiene entrambe. Spesso però torno a distanza sulle immagini. Quando pesco un taccuino dalla libreria e lo sfoglio, mi ritrovo a ritoccare e cambiare i disegni. Queste immagini, a differenza degli appunti scritti, non sono un giornale, un diario. Devo aggiungere, aggiungere, aggiungere. Quando dipingo sono felice, appagato: proprio come chi canta sotto la doccia».
Che Pamuk dipingesse non era un segreto per i famigliari e la cerchia degli amici. Ma ora questa sua passione ha acquisito una dimensione pubblica. Einaudi ne raccoglie una ricca antologia, selezionata dall’autore stesso, in Ricordi di montagne lontane (pagine 390, euro 34,00), mentre al Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, a Fontanellato (Parma), nella mostra “Orhan Pamuk. Parole e Immagini” sono esposti dal vero dodici taccuini (dei trenta completati finora) all’interno di un percorso multimediale nel mondo che alimenta l’immaginario visivo ed emotivo dello scrittore. Diari scritti con la consapevolezza del loro destino di essere letti da tutti. Se Tolstoj, Thoreau, Woolf, l’artista Joseph Cornell sono i suoi “grandi scrittori diaristi”, tutti pubblicati post mortem, «André Gide – spiega Pamuk – invece ha avuto l’idea di pubblicare i propri diari in vita. I miei si situano in una linea sperimentale, modernista, come quelli ad esempio di Peter Handke. Nel mio caso questa si identifica nella presenza dei dipinti, che non sono illustrazione del testo ma arte in purezza».
Le pagine di un taccuino dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk - Courtesy Orhan Pamuk
«Quando ero un bambino uno zio mi regalò pastelli e una grande quantità di carta pregiata. Amavo disegnare barche, come lo amo tuttora. Ma non sono un pittore, non posso essere riconosciuto come tale», spiega Pamuk tra le opere d’arte antica e i volumi di Bodoni della collezione di Ricci. «È anzi una sorta di prodotto collaterale della mia attività di artista. Ma sono affascinato dal mondo visuale. Nei corsi ai miei allievi, oltre a mostrare le relazione tra storia della pittura e scrittura, consigliavo di pensare per immagini prima di scrivere prosa o versi. E come scrittore penso che l’effetto dei miei romanzi arrivi dalla capacità di suscitare immagini nelle menti di chi legge».
Se la riflessione sull’immagine ha un ruolo da protagonista in uno dei suoi libri più fortunati, Il mio nome è rosso, diventa vertigine nel Museo dell’Innocenza, che in un palazzo di Istanbul presenta in tutta la loro densa materialità gli oggetti che animano l’omonimo romanzo: un lavoro che sborda ampiamente nelle pratiche installative dell’arte contemporanea. Mentre ancora Istanbul sfugge alle categorie di romanzo e saggio per definirsi nella natura ibrida di un fototesto autobiografico. Ricordi di montagne lontane presenta le pagine dei taccuini, con le traduzioni disposte graficamente come gli appunti originali. Procede in ordine tematico, per quanto i soggetti dipinti siano tutti riconducibili alla grande famiglia dei paesaggi, ma non cronologico: ragione per cui è possibile aprirlo qua e là e lasciarsi sorprendere. Ci sono pagine dove l’immagine regna sovrana e anche le parole la abitano come nella poesia visiva. Altrove le impressioni di viaggio si rispecchiano in testo e figure. Ci sono momenti di rara emozione, come la visita alla tomba di Tolstoj. In altre entriamo nel laboratorio dello scrittore, tanto nei romanzi in gestazione quanto nel gusto e la fatica dello scrivere. Su tutto regna il Bosforo, che si apre oltre la finestra dello studio di Pamuk – la stessa da cui nell’inverno 2011 ha scattato 8.500 fotografie, 500 delle quali sono confluite nel libro Balkon – e la cui esperienza è “ricostruita” in una bella sala multimediale nella mostra. Da qui ritrae la luce sul paesaggio, e barche, navi, battelli che incrociano nello stretto. Annota Pamuk sotto un’immagine del battello che parte per Kadiköy, l’antica Calcedonia: “Disegnare, in questo istante, mi sembra un modo per mescolare la mia esistenza alle cose del mondo. O illudermi di farlo. Disegnare su questo taccuino è far entrare la poesia del mondo nella mia vita quotidiana”.
Le pagine di un taccuino dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk - Courtesy Orhan Pamuk
Coloratissime o immerse nel grigio della nebbia, l’impronta delle immagini è espressionista. Ed è chiaro che l’occhio di Pamuk è visivamente coltissimo e diversi sono i suoi “maestri”: ma avrebbe poco senso una lettura critica di questi dipinti.«Come pittore – spiega – non sono consapevole di ciò che faccio. Se si facesse cerebrale il dipinto diventerebbe accademico. Se scrivere richiede tempo e concentrazione sul dettaglio per ottenere l’effetto totale, quando dipingo sono velocissimo. È la mano che fa il dipinto. Per un libro servono anni, per l’immagine un secondo. Nel paesaggio registro le mie emozioni». Per quanto sorelle, pittura e scrittura in lui occupano due spazi separati e complementari. Ed è difficile non pensare che con i colori in mano Pamuk riscopra un piacere bambino. Eppure in coda all’incontro, quando un giornalista gli chiede se tema qualcosa risponde serafico: «Sì, ho paura di morire». Spiazzante, al momento pare a tutti una battuta. Poi si sfogliano le pagine di Ricordi di montagne lontane e quella frase ritorna sempre più forte. Si riscorrono gli appunti: «Dipingere è come il sesso, è un desiderio del corpo». Per Pamuk, il malinconico cantore di Istanbul, l’arte è un momento di pura vita. Un momento dove la morte è lontana.