sabato 24 gennaio 2009
Il regista del capolavoro «L’albero degli zoccoli» racconta «Terra madre», il suo documentario, unica opera italiana presente al Festival di Berlino: «È nato tre anni fa a Torino con Slow Food».
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La nuova vita artistica di Ermanno Ol­mi ricomincia da quel luogo che, in fondo, non ha mai abbandonato. Dalla Terra madre, titolo del suo ultimo documentario e unica opera italiana ( fi­nora) presente al Festival di Berlino (5- 15 febbraio). Evento speciale alla kermesse tedesca che segna anche il passaggio de­finitivo del regista bergamasco «al cine­ma di verità» . Dopo il successo de I Cen­tochiodi lo aveva promesso: « Mi dedi­cherò solo ai documentari » . È la passio­ne originaria con cui ha detto di voler fi­nire la carriera. E così è: già dal titolo, che più «alla Olmi» non si può, Terra madre vuole rimarcare la modernità di quello sguardo classico che il mondo scoprì con il suo capolavoro, L’albero degli zoccoli, quando per tutti divenne il cantore della vi­ta contadina. «Voglio fis­sare attraverso le teleca­mere la felicità della Terra – ha spiegato Olmi – fil­mare questo atto di amo­re tra la Terra e le persone con cui lei è in confiden­za e, tramite questo ma­gnifico mezzo che è la pel­licola, rendere chiaro a tutti il senso di Terra Madre» . L’idea, in­fatti, nasce tre anni fa a Torino, durante l’omonimo incontro internazionale tra le comunità del cibo, organizzato dalla Slow Food di Carlo Petrini. Lì sono comincia­te le riprese, continuate durante il mee­ting di Terra Madre nell’ottobre 2008. «Ho visto i contadini come li ricordavo nelle nostre campagne, durante la mia infan­zia» , spiega detto Olmi, che ha ultimato di girare anche sull’altopiano della sua Asiago: «I volti dei contadini si somiglia­no in ogni angolo del mondo. Sono volti su cui restano le stesse tracce di vita, co­sì come i paesaggi con i campi arati e i pa­scoli. Oggi quel mondo dei contadini è assediato dalle grandi imprese il cui sco­po è il profitto. Anche il contadino vuole guadagnare, ma il suo attaccamento alla terra è un atto d’amore e di rispetto ver­so la Natura, mentre i potentati econo­mici imponendo un’agricoltura forzata stanno distruggendo la biodiversità» . Partire dal cibo per raccontare il destino di tutti noi: «L’economia del mondo che deve tornare a essere ecologia e la sa­pienza contadina che riconquista la sua attualità» . Ma l’instancabile Olmi non si ferma qui. Di passaggio a Milano ha pre­sentato Apocalypsis cum figuris, il docu­mentario del 1979 che testimonia l’ulti­ma messa in scena dell’omonimo spet­tacolo di Jerzy Grotowski, il grande regi­sta teatrale polacco morto dieci anni fa esatti. Digitalizzato dal Teatro dell’Arte in collaborazione con la Rai, il docu­mentario contiene materiale mai visto prima, come le discussioni tra Olmi e Grotowski su come realizzare le riprese di un’opera complessa, che mette insie­me la tradizione popolare e quella bibli­ca. «Un momento di vita che si fa teatro» secondo Olmi, che al tempo dovette con­vincere Grotowski dell’opportunità di "congelare" quell’evento teatrale, che non si sarebbe più ripetuto, in una testi­monianza filmata. «Era un uomo forte del rigore della sua idea di teatro, con u­na certa diffidenza per il cinema e ancor di più per la televisione. Anche io sono convinto che il teatro in tv sia una cosa triste da vedere. Ma in quel caso lo ras­sicurai che non mi sarei sovrapposto, perché volevo solo fare in modo di la­sciare un indizio del suo teatro. Grotow­ski accettò ma, quando cominciammo le riprese in studio, non ce la fece a regge­re quell’intrusione delle telecamere e andò via» .
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