domenica 27 ottobre 2019
Accanto alla solennità cristiana e alla tradizione paganeggiante del Nord Europa, nel nostro Centro-Sud ancora si scandiscono i ritmi dell’agricoltura
Giovani si preparano alla festa di Halloween (Archivio Ansa)

Giovani si preparano alla festa di Halloween (Archivio Ansa)

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Da anni in questo periodo leggiamo note di segno opposto – con rivendicazione a due contesti culturali, tradizionali e religiosi completamente diversi – sull’ultimo giorno di ottobre e in particolare sulla notte che segna il passaggio a Ognissanti. Bisogna fare quasi uno sforzo per non chiamare questa notte, come la chiamano tutti, Halloween. Partita dal Nord Europa, forse dalla celtica festa di Samhain, Halloween ha colonizzato il mondo, sulla scia di film, libri ed eventi da cui è derivata anche una commercializzazione di prodotti e gadget seconda solo a quella di Natale e mirata al più ambito target di consumatori, i bambini: perché Halloween, coi suoi cappelli a punta, i vestitini tutti neri e i baffetti disegnati sopra le boccucce sorridenti, è soprattutto una festa di bambini, tramutatisi in sciami di spiritelli dell’oscurità alla ricerca di dolcetti, specialmente nel mondo anglosassone (col simpatico ricatto, rivolto a chi apre loro la porta, di «dolcetto o scherzetto?»).

Dimensioni tenere, come si vede, ma lontane dall’augusta tradizione cattolica della giornata che dal vespro del 31 ottobre celebra tutti i santi, forse istituita 1.400 anni fa da papa Bonifacio IV, in occasione della consacrazione, a Maria e a tutti i Santi, del Pantheon di Roma; chiesa che poi per secoli avrebbe sovrapposto il cristianissimo nome di Santa Maria Rotonda a quello, pagano, di tempio dedicato a tutti gli dei.

A voler proprio sottilizzare, una compatibilità ci sarebbe tra i nomi delle due feste, perché Halloween non è che la contrazione dell’antica All Hallows’ Eve, “Notte di tutti i Santi Spiriti”, ma sul fatto che demonietti e santi abbiano poco a che spartire non c’è dubbio. In coincidenza c’è però anche una terza meno conosciuta festa, la quale non ha a che fare né con gli uni né con gli altri, bensì con la terra. Nasce da una millenaria tradizione, tuttora sentita e praticata, come propria del ciclo dell’anno agrario nell’Italia peninsulare; si chiama Capo del tempo. Non si riferisce veramente a un solo giorno bensì a una dozzina di giorni, ma inizia la notte del 31 ottobre e finisce l’11 novembre, a san Martino. Da dove nasceva? Innanzitutto dalla semina, quale capo, o inizio, delle nuove lavorazioni della terra; poi dalla vinificazione completata (Carducci, nella poesia San Martino, quella della «nebbia agli irti colli» ne fa parola scrivendo: «Nel ribollir de’ tini / va l’aspro odor dei vini / l’animo a rallegrar»); e ancora, forse principalmente, nasceva dal rinnovo dei contratti agrari che avveniva annualmente in questi giorni a seguito della riscossione, da parte della proprietà, dei fitti provenienti dai raccolti estivi/autunnali, in base ai quali i fittavoli venivano nuovamente ingaggiati, garantendo loro la riconcessione, per un altro anno, della terra da lavorare.

Non una, ma cento usanze celebravano e celebrano tuttora in Abruzzo, nel Lazio, in Campania e in altre parti soprattutto del Meridione, la santità della terra, a Cap’tiempe, a Capo del tempo. Processioni, cerimonie semipagane che si concludevano davanti all’altare di qualche chiesa, ma soprattutto banchetti. Cap’tiempe è il tempo dei banchetti. I vivi mangiavano i prodotti del raccolto autunnale, primo dei quali la zucca che - svuotata della polpa, e forata per farne occhi, naso e bocca, veniva fissata in cima a una picca e, col lume interno di una candela, portata in giro per le buie vie del paese, oppure esposta sui davanzali; c’era poco Halloween, come si vede, in tutto ciò, e molta cultura della terra.

E i morti? Anche i morti festeggiavano e festeggiano. Si avviano infatti a fine ottobre a ritornare sulla terra, dove viene allestito per loro un apposito banchetto. Durante la notte del 31 entreranno nelle case, invisibili, e si siederanno sorridenti, a ringraziare chi non si è scordato di loro e dall’aldilà li ha invitati a questa cena speciale. Alla luce dei lumini accesi banchetteranno, mentre tutti in casa dormono, senza fare il minimo rumore, in modo che nessuno si alzi dal letto e arrivi a interrompere l’incantesimo; per poi dileguarsi prima che faccia giorno.

E al mattino, il primo in casa che si sveglierà, dopo essersi fatto il segno della croce entrando in cucina, controllerà quali sedie sono state spostate e quant’acqua hanno bevuto i morti, dalla conca di rame lasciata in mezzo alla tavola. Poi spegnerà le ultime fiammelle dei lumini. Non servono più. Dalle finestre sta entrando infatti, con la sua luce, il nuovo giorno, il nuovo Capo del tempo.


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