L’idea è provare a immaginare di avere tra le mani un libro di Verne, Asimov, Ballard o Dick, e leggere di un possibile futuro distante cinquanta, cento anni, dal momento in cui si sta leggendo, ma una volta terminata la lettura, sul risvolto di copertina c’è il nome di Mark O’Connell, giornalista irlandese, 39 anni, collaboratore di Slate, Guardian e New Yorker, formazione umanistica e un figlio nato da poco. Cambia la prospettiva, quindi. Non fantascienza ma inchiesta giornalistica, ma soprattutto cresce la consapevolezza che il futuro di cui si parla nel libro è già arrivato. È un futuro che O’Connell scopre al termine di una ricerca di anni tra impianti di crioconservazione, cyborg, robot, biohacker e intelligenze artificiali, che lo portano a scrivere Essere una macchina (Adelphi, pagine 260, euro 19,00), una sorta di trattato sul transumanesimo, movimento basato sulla premessa che la specie umana, nella sua forma attuale, non rappresenti la fine del nostro sviluppo.
«La fantascienza – spiega O’Connell – può essere incredibilmente efficace in termini di previsione del futuro. Sono costantemente stupito da quanto JG Ballard fosse preveggente, per esempio, e da scrittori come Philip K. Dick e William Gibson. Ma parte di questo è dovuto al fatto che gli scrittori di fantascienza non solo predicono il futuro, ma in un certo senso lo creano, creando ad esempio determinate possibilità immaginative per la tecnologia. Mentre scrivevo il libro, ero costantemente colpito da quante idee transumaniste provenissero direttamente da scrittori di fantascienza come Arthur C. Clarke e Isaac Asimov. La finzione è in molti modi il fondamento della realtà, che è qualcosa a cui sono sempre più interessato nel mio lavoro». A questo aspetto, poi, O’Connell ne aggiunge un altro, fondamentale per meglio comprendere l’importanza di questa sua prima fatica letteraria: «Come scrittore sono interessato a esplorare la confusione, lo sconcerto, l’assurdità. Mi interessa lo sforzo di dare un senso a un mondo pazzo, ma non nello spettacolo di qualcuno che lo spieghi dall’alto. Nel mio libro torno continuamente alla mia vita, in particolare a mio figlio, e cerco di pensare alle idee complesse con cui ho a che fare, nel solo modo in cui posso, che è metabolizzarle attraverso la mia vita, la mia particolare esperienza di essere vivo in un corpo umano, tra gli altri esseri umani».
È così che è nato questo libro?
Mi sono interessato al transumanesimo per anni prima di scrivere un libro sul movimento. Quello che è successo in realtà è che sono diventato genitore, e parte dell’esperienza della prima genitorialità era una preoccupazione per la fragilità e la mortalità della condizione umana. Ho iniziato a pensare molto al transumanesimo, un movimento che offriva una via d’uscita a quella condizione. Quindi il libro è iniziato con un certo tipo di comprensione per la critica del movimento alla condizione umana. Il viaggio mi ha portato in molti posti che ho trovato inquietanti e strani, ma è iniziato in quel luogo di identificazione.
Cos’è il transumanesimo? E quali sono gli obiettivi del movimento?
Il transumanesimo è un movimento sociale che si basa sull’idea che potremmo e dovremmo usare la tecnologia per allontanare i confini della condizione umana. L’obiettivo, in definitiva, è quello di trascendere interamente la nostra biologia, diventando immortali attraverso la fusione di noi stessi e delle macchine. Se i transumanisti hanno ragione sul futuro, la nostra specie si evolverà in qualcosa di completamente diverso da ciò che siamo attualmente. Loro credono che ci fonderemo con l’intelligenza artificiale e sconfiggeremo la mortalità, trascendendo la nostra condizione animale.
Nel libro lei dice di non considerarsi un transumanista. Perché?
Non sono un transumanista perché le implicazioni che il movimento ha alla base mi disturbano. L’idea che lasceremo indietro la nostra umanità per diventare ibridi macchina-umani mi disturba molto. Mi interessa, tuttavia, principalmente per pensare ai modi in cui siamo già meccanizzati, dagli imperativi di una cultura capitalista, all’effetto pervasivo della tecnologia sulle nostre vite.
Che direzione ha preso la tecnologia da un punto di vista etico? Penso, ad esempio, alla disparità di cui parla nel libro tra coloro che saranno in grado di accedere ai prossimi sviluppi e coloro che non ne saranno in grado.
Questo per me è l’aspetto più inquietante del transumanesimo: l’idea che un piccolo numero di persone già privilegiate userà la propria ricchezza per diventare ancora più privilegiata, per diventare una specie umana più evoluta. È uno scenario da incubo distopico. Ma, soprattutto, non è che un’intensificazione del modo in cui le cose sono già.
Parlando di relazione tra limitazioni del corpo umano e tecnologia, un altro tema è quello della disabilità. Cosa ne pensa?
Non sono un esperto, ma la mia visione è che dovremmo cercare di rendere le nostre società il più vivibili possibile per le persone con ogni sorta di abilità e disabilità.
Anche la religione è un tema sempre più toccato dalla tecnologia. Lei ha dedicato un intero capitolo alla fede. In che direzione sta andando la relazione tra religione e tecnologia?
Non predico il futuro. Sono molto interessato al futuro, ma principalmente come a un modo per comprendere le speranze e le ansie del presente. Quindi sono riluttante a suggerire di avere qualche idea di dove il mondo stia andando, ma penso che sia certamente possibile che lo sviluppo dell’Ia di livello sovrumano possa avere un significato religioso.
In che modo questi cambiamenti tecnologici influenzeranno il lavoro, la politica, le arti?
Non lo so. Spero che troveremo un modo per garantire che l’intelligenza artificiale non funzioni semplicemente come mezzo per concentrare ulteriore ricchezza e potere in un numero sempre minore di persone. Comunque non è un problema che possiamo lasciare da risolvere ai tecnologi della Silicon Valley, questo è certo.
Che cosa significa, in definitiva, Essere una machina?
Il titolo deriva da una citazione di Andy Warhol, che disse di voler essere una macchina, ma che lo intendeva in un modo molto diverso da come la pensano i transumanisti. Suppongo che sia riuscito a essere molto simile alla macchina nella sua arte. Il titolo riguarda tanto i modi in cui gli umani sono definiti dalla relazione con le macchine, quanto il desiderio transumanista di diventare una macchina. Essere una macchina è, in un certo senso, una possibilità sempre presente, che è il cuore dell’essere umano. Penso sia quello il significato del titolo, ma penso anche che alla stessa domanda fatta la prossima settimana, risponderei in maniera diversa. Il che significa che devo essere ancora umano.