Cosimo Accoto, filosofo di formazione e attualmente research affiliate al Mit di Boston
«Non possiamo lasciare solo nelle mani dei tecnici e degli specialisti il destino della specie umana e del pianeta», parola di Cosimo Accoto, filosofo di formazione e attualmente research affiliate al Mit di Boston, con alle spalle tra i più perspicui tentativi italiani di accendere uno sguardo filosofico sulla rivoluzione digitale in corso, Il mondo dato e Il mondo ex machina, entrambi per Egea, e il recentissimo Mani, menti, mercati uscito nella raccolta collettanea Il primato delle tecnologie curata da Carlo Bordoni (Mimesis, pagine 226, euro 18).
Le tecnologie sono neutrali?
Sono il condensato storico delle relazioni economiche e sociali che le diverse civiltà costruiscono. In realtà, tutti gli artefatti, strumenti o macchine, intelligenti o meno, “ci pensano”. La forma del martello parla molto di noi, della mano che lo impugnerà, delle nostre capacità o incapacità fisiche, dell’ambiente che costruiremo usandolo... In questo senso, gli oggetti ci pensano perché nascono sempre con un’idea dell’umano che li userà e del sociale che li ospiterà e che loro stessi contribuiranno a forgiare. Considerarli neutrali o utilizzare la dicotomia mezzo–fine equivale a peccare di ingenuità. E anche il dominio deterministico delle nuove tecniche va problematizzato. Usi e direzioni non sono mai lineari. Dobbiamo dosare il coraggio del nuovo con la cautela sull’ignoto.
Oggi si parla spesso di automazione...
Autòmaton in greco antico significa che si muove da solo, che ha in sé la spinta all’azione, che non dipende da altri per agire. In economia parliamo di automazione riferendoci a processi e macchine in grado di svolgere attività produttive sostituendo l’umano e sempre più in autonomia. La nostra civiltà sta estendendo l’“automabilità” in forme nuove e in molte dimensioni del nostro essere. Sempre più sono e saranno le macchine a tenere in “vita” il nostro mondo, dalla logistica alla finanza, dalla medicina alla manifattura. Questo richiama le incubatrici artificiali che si prendono cura di neonati precoci o in difficoltà, cioè delle placente surrogate. “Ectogenesi” si chiama in medicina il processo che permette alla vita di crescere in un ambiente tecnologico. Un po’ come accade alle nostre vite supportate da macchine, si spera per il meglio delle nostre esistenze.
Quali sono le caratteristiche dell’automazione?
A differenza delle precedenti, l’automazione contemporanea non riguarda solo le mani, cioè la forza fi- sica incarnata dalle macchine, ma anche le menti, vale a dire le capacità cognitive e di apprendimento degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, e i mercati, penso agli scambi economici in rete su protocolli come la blockchain. La chiamo l’automazione delle 3M: mani, menti, mercati. Quella dei mercati è ancora poco visibile, ma pensiamo anche solo alla finanza automatizzata in cui gli scambi monetari sono effettuati da algoritmi. Intendiamoci, non è necessariamente un male questa nuova automatizzazione, ma va studiata, ragionata e guidata.
Viviamo una svolta epocale?
Attraversiamo un passaggio epocale con trasformazioni profonde dei fondamenti del reale. Il digitale e poi l’artificiale, il sintetico, il quantistico in arrivo costituiscono dei cambi ontologici e ontogenetici significativi. Pensi ai recenti xenobots, le micro “macchine viventi” progettate e fatte di cellule biologiche e non più di acciaio, chip e cavi. La “svolta” non sarà rapida né semplice. Il vecchio mondo tramonta, non senza resistenza, e quello nuovo cerca il suo presente, non senza arroganza. E noi nel mezzo. Non abbiamo ricette facili o sicure. Bisogna far crescere la consapevolezza culturale, sociale, politica ed etica.
Quale posto spetterà agli uomini?
Tendiamo all’antropocentrismo e questo ha prodotto qualche danno al pianeta in questi anni. Ora ci sentiamo nuovamente in pericolo, non per le altre specie, ma per le macchine. L’automazione non è necessariamente malevola. Dobbiamo però progettarla perché possa costruire un futuro di benefici sostenibili magari liberandoci da lavori noiosi e pericolosi e coltivando le dimensioni umane più proprie del nostro essere, creatività, empatia, socialità, cura, intelligenza... Ma occorre dismettere la cattiva antropocentricità.
Che ha messo il pianeta condizioni di sofferenza...
Serve un orizzonte “planeto–centrico” più rispettoso e inclusivo o, per dirla più religiosamente, serve uno sguardo “creato–centrico”.
E gli uomini?
Umanità e tecnicità non andrebbero pensate separate. La tecnologia è il modo dell’umano di stare al mondo. Da quando nelle caverne abbiamo scheggiato la pietra per ricavarne un utensile da taglio alla costruzione odierna di applicazioni e macchine. Non sono però la stessa cosa un utensile che estende la forza del nostro braccio e una macchina che lavora e cresce in autonomia. Per questo è importante tornare a ragionare filosoficamente e ontologicamente sul nuovo mondo automato. Soprattutto ora che le macchine fanno “esperienza” del mondo, creando dei nostri profili, tramite l’elaborazione delle nostre preferenze, e prendono decisioni per conto nostro o al posto nostro. Noi impareremo a prestare e negoziare fiducia con colleghi e assistenti robotici costruiti, speriamo, eticamente. Sarà una società più complessa. A noi il compito di farla più prospera, inclusiva, libera e sicura.