martedì 15 settembre 2015
Il virtuoso oboista Simone Toni parla dello straordinario strumento d’avorio dagli effetti ipnotizzanti con il quale ha realizzato il disco “The soul of Venice” in uscita a fine mese
COMMENTA E CONDIVIDI
Un angelo d’avorio, un oboista fantasma, una musica misteriosa così potente da sconvolgere chi l’ascolta. Potrebbero essere gli ingredienti per un romanzo di tra il giallo e il fantasy. E invece sono i capitoli di una storia vera: quella di Simone Toni, virtuoso dell’oboe (è stato giovanissimo titolare dello strumento nell’orchestra del Teatro alla Scala prima di una “conversione” alla musica antica) e maestro concertatore, che un giorno si innamora di un sogno impossibile tramutatosi in realtà.Ce lo racconta una mattina di tarda estate davanti all’illusione dell’abside bramantesca di San Satiro, a Milano. Un luogo che ha un ruolo particolare in questa storia, e Toni crede nello spirito dei luoghi, ma anche simbolo di una realtà che lampeggia davanti ai nostri occhi ma che le mani non riescono ad afferrare. Come il suono di un oboe d’avorio. «L’Europa è piena di strumenti d’avorio, costruiti fino alla metà del Settecento. Oboi, clarinetti, flauti dolci e traversieri. Molti dei quali riccamente decorati. Una teoria corrente nella musicologia vuole questi strumenti costruiti solo per bellezza e non per suonare. E poi se suonano, chissà come suonano forte. Con questa idea siamo cresciuti tutti». Guardare ma non toccare. Anche perché questi strumenti sono rinchiusi nelle teche di musei e collezioni private. Nessuno può nemmeno provare a soffiarci dentro. «Eppure ci sono stati costruttori che hanno fabbricato solo strumenti d’avorio. Se erano solo intagliatori, perché non fare crocifissi? Perché dedicare tutta la vita a oggetti che generano suono, se poi questi non emettono nota?».Gli oboi, in epoca barocca, erano di solito costruiti di bosso. E di bosso è l’oboe che suonava Toni, come tutti i suoi colleghi europei, modellato su uno dei quattro o cinque strumenti antichi di riferimento per tutti i costruttori del continente. «Ma io guardavo questi strumenti dotati di una bellezza ipnotica. E cresceva il desiderio di sentire questo suono che non c’è».Uno di questi lo contempla a Milano, nel museo del Castello Sforzesco. È di Giovanni Maria Anciuti. L’oboista fantasma. «Il suo cognome era troppo bello per essere vero, sospettavano i musicologi: Anciuti che costruisce strumenti ad ancia… C’era chi pensava fosse una figura mitologica. La teoria dominante era che fosse uno pseudonimo per non pagare le tasse…». Sarà stato anche un fantasma, ma gli strumenti esistono davvero, e sono dispersi nei musei di mezzo mondo. La loro fattura è straordinaria: Anciuti è considerato lo Stradivari dell’oboe. Ne fabbrica d’argento, di legno di palissandro e di melograno. Cinque sono d’avorio. «Quando vidi quello dello Sforzesco, ormai dieci anni fa, rimasi ipnotizzato: emana luce, anima, bellezza speciale e profonda».Toni nega e sorride, ma ha qualcosa del sensitivo. Perché lentamente e misteriosamente i pezzi cominciano a sistemarsi. «Un giorno del 2008 ero nello studio di Olivier Cottet, uno dei più grandi costruttori d’oboe attuali. Olivier apre un cassetto. E dentro c’è un oboe d’avorio. Era una copia, fatta da lui, dell’Anciuti della Cité de la musique di Parigi. Un giorno gli si era presentato un suo cliente con un Anciuti originale, dicendo che lo aveva acquistato. Olivier si accorse subito che era troppo simile a quello di Parigi e chiamò il direttore: risultò che lo strumento, non esposto, era stato rubato». L’oboe fu restituito ma Cottet, per consolarlo, ne aveva fatto una copia per il cliente. E quella faceva provare ai concertisti di passaggio. Ma nessuno ne cavava un suono. Neppure Toni, al momento: «L’impatto fu così forte. Era delicatissimo, difficilissimo da suonare. Un suono fragile, difficile da tenere sotto controllo. Ma si percepiva un’anima molto diversa. Ormai ero stato conquistato dal pensiero di riuscire a suonarlo. Non avevo altro per la testa. Dopo qualche mese ho detto a Olivier che era diventata un’ossessione. Uno strumento a cui dedicare la vita».Comprare l’avorio nuovo è illegale. Allora Toni si procura zanne di elefante d’antiquariato su eBay (allora si poteva) e viaggia di notte in treno a Parigi. Chiede a Cottet di realizzare una copia dell’Anciuti milanese: che ha la sagoma esagonale. Il primo strumento si spacca. Il secondo regge. «Io crollo in un universo parallelo. Entro in un mondo di cui non capisco praticamente nulla. Lo strumento suona talmente diverso da un oboe in legno che io devo reimparare da capo». Cosa ha in più un oboe d’avorio? «Tutto. Suona più piano. Suona più forte. Suona più agile. Suona più definito. Ogni colore di ogni singolo suono ha una personalità più forte. Le note possono essere un grido di dolore, altre possono diventare così scure e malinconiche da toccarti nel profondo. È veramente qualcosa che fa vibrare l’anima. Ma se non riesci a suonarlo emette grida di disprezzo. Il bosso è “stupido”. Gli oboi barocchi hanno un bel suono, ma è piatto. Ora non riesco più a suonare strumenti di legno. Mi sembra di soffocare». Toni usa più volte l’aggettivo “alchemico”: «Col tempo si è fatta in me la convinzione che l’avorio fosse un materiale alchemico. Un materiale capace di creare un suono spirituale, un materiale puro, bianco, e allo stesso animale, e quindi potenzialmente dotato di anima. La sua vibrazione è una porta che collega con l’infinito».L’esito lo si può ascoltare in una serie di dischi con l’integrale dei concerti per oboe di Antonio Vivaldi, incisi da Simone Toni col suo ensemble Silete Venti!, pubblicati a partire dal 2012 da Deutsche Harmonia Mundi (Sony). Toni, nella sua “follia” non si è fermato a uno strumento e li ha registrati con tre oboi diversi. Il primo (Last oboe concertos) è stato inciso con l’Anciuti di Milano. Il secondo (The European Journey, con i concerti pubblicati o trovati biblioteche o archivi di tutta Europa) con una copia di un oboe Scherer. Il terzo e ultimo disco (The Soul of Venice), con una copia dell’Anciuti di Londra, uscirà a fine mese, insieme a un volume pubblicato da Skira, intitolato come la collana Vivaldi e l’Angelo d’avorio, con i racconti scritti da Mario Marcarini per i booklet. Dischi con successo grande, e inatteso, in tutta Europa. «L’oboe vivaldiano ha trovato il suo maestro» ha scritto la rivista francese “Diapason”.È un Vivaldi espressionista. Letteralmente inaudito. Ma fu lo stesso Prete Rosso a commissionare per le sue putte della Pietà una partita di oboi d’avorio ad Anciuti. Si perché, alla fine, Anciuti è esistito davvero. Nel corso dell’avventura di Toni sono emersi i documenti. Era nato nel 1674 a Forni di Sopra, in Carnia (all’epoca parte della Serenissima), e morto a Milano nel 1744. Si era sposato con una milanese e abitava nella parrocchia di San Satiro. E lì intagliava i suoi angeli d’avorio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: