martedì 3 settembre 2024
Il sorprendente “Anywhere anytime” dell’iraniano Tangshir raccontando la vicenda di un rider africano che subisce un furto esplora anche il mondo dell’accoglienza a Torino
Ibrahima Sambou in “Anywhere anytime”

Ibrahima Sambou in “Anywhere anytime” - -

COMMENTA E CONDIVIDI

Ci sono storie vere e tormentate che sembrano dei film e facce che bucano lo schermo con occhi scuri pieni di speranza. Sono quelle di ragazzi come Seydou Sarr, diventato una star internazionale come protagonista del film di Garrone candidato all’Oscar Io capitano o come Ibrahima Sambou, protagonista del sorprendente Anywhere anytime di Milad Tangshir, una sorta di nuovo Ladri di biciclette ambientato a Torino. Sono questi giovanissimi attori africani a riportare un sguardo sincero, innocente e vitale alla Mostra del Cinema di Venezia. Sarà nelle sale l’11 settembre Anywhere anytime, il bel film italiano della SIC – Settimana Internazionale della Critica, diretto da un immigrato iraniano, Milad Tangshir, che fra pochi giorni sarà anche al Festival di Toronto. Issa è un giovane immigrato irregolare che a Torino cerca di sopravvivere come può. Licenziato dal suo vecchio datore di lavoro, grazie a un amico inizia a fare il rider. Ma l’equilibrio appena conquistato crolla quando, durante una consegna, gli viene rubata la bicicletta appena comprata. Issa intraprende così un’odissea disperata per le strade della città, per ritrovare la sua bici. «Il film esplora il senso di paura e l'ansia costante di chi, come il protagonista del film, vive ai margini, nelle crepe della società: una vita invisibile, una delle tante che ogni giorno incrociamo su un marciapiede o all'angolo di una strada. Una condizione di estrema vulnerabi-lità, in cui anche una semplice bicicletta può fare la differenza tra sopravvivere o non farcela» dice ad Avvenire il regista Tangshir, fuggito nel 2011 dall’Iran, dove aveva una band rock, e fan del grande cinema italiano. «Dal 2018 mi sono interessato di quel fenomeno allora relativamente nuovo dei rider, per gli italiani l’ultima spiaggia e per gli immigrati la prima – aggiunge –. Per un anno sono andato in giro con un giovane rider senegalese a fare le consegne e mi ha colpito come la bici ancora quasi 80 anni dopo il film di De Sica sia così importante, con una nuova fascia vulnerabile rispetto ad allora. Non potevo permettermi di fare un remake di un capolavoro inarrivabile, ma volevo usare un pezzo importante della cultura italiana per fare riflettere gli italiani di oggi». Il neorealismo di oggi si muove nel sottobosco delle varie comunità di immigrati, nel mercato del Baloon, nei centri di accoglienza del Sermig e della Croce Rossa, nelle mense francescane del convento di Sant’Antonio da Padova e della parrocchia di San Gaetano da Thiene di Torino, dove sono state effettuate le riprese, che hanno collaborato come l’Associazione Paìs Torino, l’Associazione Centro come noi, l’Istituto Sacra Familia. «Ho collaborato per due anni con tante associazioni, case accoglienza, dormitori in tutto il Piemonte. È stata una esperienza bellissima vedere tantissime persone che lavorano in ombra per il bene degli altri» aggiunge il regista che grazie alle loro segnalazioni ha trovato Ibrahim, interprete naturale, che ha 26 anni e fa il cuoco in uno dei più famosi ristoranti di Torino. «Avevo 16 anni quando sono partito dal Senegal e sono arrivato col barcone a Lampedusa – ci racconta –. Ero stanco di vedere la povertà di mia mamma, così sono partito senza dirle niente. Ho attraversato tutta a rotta dei migranti passando per la Libia, dove ho visto tutte le cose che sapete. Lei non ha saputo niente di me per due mesi». Mandato in una casa accoglienza a Vercelli, Ibrahim è poi andato a Torino dove dell’associazione Paìs ha trovato una “mamma italiana” che lo ha aiutato. «L’anno prossimo saranno passati 10 anni e farò la richiesta per diventare cittadino italiano. Un sogno? Diventare un grande attore» sorride. Sogna invece sempre di diventare un grande calciatore Seydou Sarr, protagonista di Io Capitano di Garrone che torna al Lido a un anno dal Premio Mastroianni ricevuto come giovane attore rivelazione. Ora è qui come protagonista di un documentario autobiografico sul calcio e contro il razzismo, Seydou – Il sogno non ha colore diretto da Simone Aleandri e che andrà in onda domani sera alle 23.20 su Rai 3 e su Rai Play. E diventa testimonial della campagna “Keep Racism Out” contro il razzismo nel calcio, partita lo scorso 30 agosto. I sogni del giovane Seydou diventano l’occasione per parlare di temi come il valore della diversità e la capacità dello sport e del cinema di unire le persone. Così Seydou attraversa l’Italia arrivando nelle città e nei centri sportivi dei club di Serie A e si confronta con campioni come Danilo, Dybala, Messias e Okoye e con Francesco Totti e Ciro Ferrara. Compie un viaggio per conoscere le loro storie, per raccogliere esempi, ma anche per riflettere sul razzismo. «A un anno dall’inizio del viaggio intrapreso con Io Capitano – ha detto Seydou Sarr – sono cresciuto e ho scoperto e imparato tante cose che non sapevo. Matteo per me è come un padre e ora vivo a casa di sua madre che è diventata una mamma per me. Il calcio è sempre stato il mio sogno. Essere un capitano significa avere grande responsabi-lità, essere un buon esempio, come una madre lo è per la sua famiglia; e l’esempio che vuole dare questo documentario è quello di essere un punto di partenza nella lotta al razzismo, tenere alta l’attenzione perché si continui a parlarne».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: