Poliedrico, sfaccettato, multiforme. Inafferrabile con le parole, destinate a coglierne solo frammenti, incapaci di ingabbiarlo in una definizione univoca. È il secolo delle antinomie, il Novecento. E perfino questa enunciazione non è che un rimando alle sue molteplici chiavi interpretative. Ci si può concentrare sulle guerre feroci – con un bilancio al ribasso di cento milioni di morti – che l’hanno dilaniato, sui totalitarismi e i troppi genocidi. O, per contro, si può sottolineare come, nel corso del suo svolgimento, si siano create le condizioni materiali e ideali per inedite potenzialità di benessere e libertà. Come sintetizzare una simile complessità senza mutilarla? Aiutandosi con la macchina da presa è la proposta contenuta nel saggio
Insegnare il Novecento. Chiavi di lettura e casi studio con percorsi di storia e cinema di Carlo Felice Casula, appena pubblicato dall’Editoriale Anicia (pagine 336, pagine 22,00). Il cinema, con la sua potenza evocativa, è uno strumento imprescindibile per narrare questo momento così intenso della storia umana. «È l’occhio sul e del Novecento: finestra su ciò che è accaduto ma anche specchio delle sue tensioni. Un film consente una sorta di “doppio tuffo nel passato”: lo spettatore si immerge nella storia raccontata ma anche in quella di quanti – perché è una colossale opera collettiva – la raccontano, nella prospettiva culturale loro e del loro tempo. Lo straordinario
Bronte. Cronaca di un massacro di Florestano Vancini narra certo il Risorgimento. Ma anche il post Sessantotto, periodo in cui è stato realizzato, e potrebbe essere incluso in un ciclo di proiezioni sulla “contestazione”, a fianco di
Fragole e sangue». Partendo da questa convinzione, Casula, storico dell’Università di Roma Tre, propone un percorso per immagini – in movimento – per trasmettere la memoria del secolo appena trascorso. Un atto «necessario e doveroso per avere conoscenza e coscienza del tempo presente e anche per poter acquisire una matura e consapevole educazione alla cittadinanza planetaria, democratica e solidale», scrive.
Professore, quasi cent’anni fa David Wark Griffith, uno dei padri fondatori del cinema, aveva vaticinato la sostituzione dei libri di storia con i film. Questo non si è avverato. I giovanissimi, però, conoscono molti fatti del passato più perché li hanno visti al cinema o alla tv che per averli studiati. «È segno della potenza descrittivo-evocativa del cinema, in grado di toccare anche la parte emotiva dell’essere umano. Attraverso il film la conoscenza della storia avviene in modo quasi naturale: il pubblico interiorizza i fatti ma anche le varie interpretazioni di questi in modo inconsapevole e, per questo, più efficace».
È meglio il film di un documentario per raccontare la storia? «La distinzione è più terminologica che sostanziale. Il film è sempre un documento per comprendere il periodo storico in cui è stato girato. E il documentario non è mai indipendente da quest’ultimo. Entrambi hanno una natura duplice: sono oggetto di indagine storica – in quanto prodotto di un’epoca e delle sue contraddizioni – e soggetto di trasmissione di conoscenza storica».
Perché il cinema è così rilevante per narrare proprio il Novecento? «Per la complessità di questo secolo. Breve, secondo la fortunata definizione di Eric Hobsbawn, che lo fa iniziare nel primo dopoguerra e terminare con il crollo del Muro di Berlino. Eppure straordinariamente intenso. Prendiamo uno fra i più stridenti paradossi novecenteschi, quello fra guerra e pace. Il secolo appena trascorso ha assistito a due conflitti mondiali oltre a una pluralità di guerre diverse per tipo e gradi di ferocia. Eppure, al contempo, ha visto affermarsi l’idea di pace, non più utopia ma sensibilità diffusa, fondamento costituzionale e progetto concreto di un’organizzazione internazionale: prima la Società delle Nazioni, poi l’Onu. Lo stesso vale per l’antinomia tra libertà – sostanziata nel progressivo riconoscimento dei diritti umani, inclusi quelli sociali – e oppressione, fino all’estremo del totalitarismo».
Se dovesse raccontare queste antinomie attraverso il cinema, quali film sceglierebbe? «Posto che un solo film non può racchiudere il Novecento in tutta la sua complessità, vi sono alcuni titoli in grado di penetrare le pieghe del secolo con particolare profondità. Penso a
Tempi moderni di Charlie Chaplin e
Metropolis di Fritz Lang. Alcune pellicole, inoltre, sono straordinarie “lezioni di storia” su alcuni grandi fatti che hanno segnato il secolo. Come
La grande illusione di Jean Renoir, sulla Prima guerra mondiale, o
Il trionfo della volontà di Leni Riefenstahl sul nazismo. Come raccontare in modo più efficace la Rivoluzione d’ottobre in Russia di Ejzenštejn in
Ottobre? O rendere l’incubo di un’apocalisse nucleare meglio di Stanley Kubrick in
Il dottor Stranamore? Ci sono, poi, dei film che, pur concentrandosi su un tema specifico, sono cartine di tornasole delle grandi inquietudini novecentesche. Ad esempio,
Bread and Roses di Ken Loach, in cui il racconto del sogno-incubo americano dell’indocumentada Maya affronta anche la questione della precarietà del lavoro, della migrazione, della lotta per la propria dignità e i propri diritti. Tutti nodi centrali degli ultimi decenni del secolo. Guardando fuori dagli Usa o dall’Europa, bisogna ricordare
Le biciclette di Pechino di Wang Xiaoshuai,
Invictus di Clint Eastwood,
Vai e vivrai di Radu Mihaileanu,
City of God di Fernando Meirelles. Il filo rosso che unisce questi titoli è l’aprire una finestra sui nuovi protagonisti della contemporaneità, dalla Cina al Brasile, mostrandoci la complessità della storia in cui siamo immersi. Nello straordinario
Train de vie, sempre di Mihaileanu, infine, la Shoah viene presentata in chiave poeticosurreale. Il gruppo di ebrei in fuga dalla Romania e capaci di inscenare una finta deportazione è, però, una metafora straordinaria degli incubi che hanno marchiato il Novecento. Ma anche delle speranze di questo secolo e del nuovo millennio».