martedì 31 marzo 2015
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«Bambine, diffidate del lupo»: è la morale di una delle fiabe più popolari, raccontate e amate, quella di Cappuccetto Rosso. Ne conosciamo due versioni: quella di Charles Perrault, del Seicento, in cui il lupo mangia la bambina; quella dei fratelli Grimm, ottocentesca, in cui alla fine un bravo cacciatore apre la pancia al lupo e ne fa uscire ancora vive nonna e nipote. In entrambi i casi, il senso della storia sarebbe legato all’avvicinarsi alla pubertà della bambina, che deve imparare a difendersi dalle insidie, specialmente sessuali, dell’età adulta. Il lupo, quindi, simboleggia il potenziale pericolo della seduzione maschile.  L’etnologa francese Yvonne Verdier, scomparsa nel 1989, ne aveva però approfondito le origini popolari, rintracciate in racconti orali diffusi in Francia e nel Tirolo italiano, indipendenti dalle versioni a stampa, che contengono dettagli completamente omessi sia da Perrault sia dai Grimm. Il libro che ne era nato è uscito postumo nel 2014 in Francia, col titolo di Le Petit Chaperon rouge dans la tradition orale; ora ne abbiamo la traduzione italiana (di Romeo Fabbri), con la prefazione dello psicologo sociale Augusto Palmonari: L’ago e la spilla. Le versioni dimenticate di Cappuccetto Rosso (Edizioni Dehoniane Bologna, pagine 112, euro 10).  Secondo Verdier, l’autentica morale della fiaba sarebbe un’altra: «Nonne, diffidate delle vostre nipoti!». Perché una tale differenza? Tutto va ricondotto alla società in cui nasce la storia: un mondo contadino arcaico, che si basa sui 'passaggi di consegne' dei ruoli femminili. L’immagine evocata dal titolo italiano, L’ago e la spilla, ce ne offre un primo assaggio: il lupo parlante incontrato nel bosco dalla bambina (che non ha mai un nome e in molti casi è un’adolescente), le chiede quale sentiero sceglierà per andare dalla nonna, se quello degli spilli o quello degli aghi. Nella società contadina, gli spilli simboleggiano la giovinezza, servono alle ragazze per agghindarsi, mentre gli aghi sono legati al lavoro domestico femminile dopo il matrimonio. Ma le differenze continuano. Raggiunta la nonna prima della nipote e divoratala in parte, ne offre in pasto la carne alla bimba, facendo di lei un’inconsapevole cannibale. Ancora: dopo essere andata a letto con il lupo travestito, la bambina capisce che non è la nonna, quindi con una scusa esce dalla casa e si salva. In alcune versioni, il lupo la insegue e la ragazzina è salvata da alcune lavandaie, che la fanno passare su un fiume stendendovi sopra un lenzuolo. Quando il lupo tenta di seguirla, lasciano andare il lenzuolo e il lupo annega. Tutte varianti che hanno un preciso valore simbolico: le lavandaie (parola in francese simile a 'levatrici') sono le «donne che aiutano a venire al mondo», abili nell’uso di lenzuola e fasce. La fuga dalla casa della nonna è come un’uscita dal grembo. Mangiare la sua carne, per di più dopo averla cucinata, significa assimilare il suo ruolo di donna adulta, per sostituirla ora che la sua funzione si è esaurita.  Ben lontana dall’essere un racconto per l’infanzia, quella di Cappuccetto Rosso è una storia di iniziazione femminile, che attinge a un serbatoio di simboli complesso e antichissimo. Una «storia di nonna», e non «di lupo ». Il ruolo preminente di quest’ultimo in Perrault e nei Grimm è in sintonia con una società che assume connotati sempre più maschili a partire dal XVII secolo. Una società in cui «si comincerebbe a negare i grandi misteri del corpo femminile, celebrati nelle vecchie società contadine».
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