lunedì 27 novembre 2017
Il padre Stefano ha dato l'annuncio della sua morte, aveva 40 anni: "Era la gioia, ci coinvolgeva e travolgeva, ma era anche il lavoro fatto bene, analitico e profondo tutto alla ricerca della verità"
Morto il giornalista scrittore Alessandro Leogrande
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È morto il giornalista e scrittore Alessandro Leogrande. Probabilmente un infarto (è stata disposta l’autopsia) lo ha stroncato domenica intorno alle 23.00 e ieri il padre Stefano ne ha dato pubblica notizia attraverso un commosso comunicato.

Ecco, potrei parlare di questo ragazzo di quarant’anni come di uno degli intellettuali più lucidi del suo tempo o come di una persona che in sé riusciva a coniugare al meglio una profonda fede cattolica con un impegno civile che lo aveva portato in Argentina a studiare il fenomeno dei desaparecidos o nell’Est Europa. Potrei anche elencarvi le sue opere, opere fondamentali che sono destinate a rimanere un punto di riferimento culturale, dove Leogrande ha trattato temi della nostra epoca: la marginalità e il fenomeno dello sfruttamento del caporalato in Puglia; la denuncia delle imbarcazioni che grondano esseri umani abbandonati nel Mediterraneo; il contrabbando e le connivenze tra politica e multinazionali; la macabra parabola del siderurgico di Taranto con tutte le sue declinazioni di morti bianche e di avvelenamento di un intero territorio.

Forse però è il caso di ricordare questo ragazzo paffuto e dallo sguardo buono nelle occasioni in cui ci siamo ritrovati a parlare, uno accanto all’altro, di amore: amore per la nostra città, Taranto, amore per il calcio, amore per un’umanità che è sempre più strattonata e vilipesa da un meccanismo sociale che non ammette soste né fermate. E Alessandro Leogrande lo ha fatto utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione. Tra le pagine de “Lo straniero”, rivista culturale dove era stato portato da Goffredo Fofi e dove pian piano era stato talmente apprezzato da diventarne il vicedirettore. Oppure da siti divenuti di riferimento per il mondo intellettuale italiano come “Minima & Moralia”.

Lo ha fatto dai microfoni delle radio come gli approfondimenti di cui parlava ciclicamente su Rai Radio 3. E lo ha fatto soprattutto sulle testate giornalistiche dove le sue inchieste assolvevano all’importante compito di scuotere la coscienza civile su questioni di primaria importanza come la distruzione dell’ecosistema, i macabri protocolli delle dittature e gli inquietanti meccanismi con cui la malavita si appropria dei tessuti del mondo del lavoro e della finanza. Uomo di grande fede in Dio, ha sempre pensato fosse dovere di un intellettuale formatosi sugli studi filosofici gettare luce sulle distorsioni del mondo.

In particolare ricordo un episodio dell’estate del 2011. Eravamo stati invitati a una conferenza organizzata sul lungomare di Taranto. Si parlava di Ilva e di una città in ginocchio da un punto di vista ambientale e sociale. Alle nostre spalle ruggivano i fuochi e i fumi dell’acciaieria più grande d’Europa e mentre si dialogava di tanto in tanto ci volgevamo verso il quartiere Tamburi e ci guardavamo come a dire che al di là delle nostre parole le nuvole rosse di scarti di minerale erano lì a testimoniare la mostruosità della situazione. E scuotendo la testa entrambi cercavamo di trovare i termini più appropriati per non rendere quel momento una semplice didascalia a ciò che tutti avevano di fronte.

A differenza di molti scrittori, compreso il sottoscritto, Alessandro Leogrande aveva in sé l’animo del narratore, ma anche il modus operandi del grande giornalista. Le sue inchieste erano puntuali e ricche di dettagli, dati, informazioni, specifici approfondimenti. Non gli bastava conoscere la notizia di seconda mano, doveva verificarla, toccarla con mano, capirne i perché e cercare di inquadrare il fenomeno in una cornice più ampia.

Di animo mite, sapeva trasformarsi in un guerriero della penna che non le mandava a dire e ne sa qualcosa l’ex sindaco di Taranto Giancarlo Cito. Inoltre i suoi lavori sono stati realizzati per resistere nel tempo. Voglio dire che quando qualcuno scrive al meglio delle proprie possibilità e lo fa con grande acume e professionalità non fermandosi su un dato dell’immediato, ma operando sulla storicizzazione di un evento ebbene, quel lavoro resta. Invecchia migliorando. Resta attuale anche dopo anni.

Il modo di scrivere di Alessandro Leogrande aveva questo tasso tecnico, cioè rendere universale il caporalato in Puglia; trasformare il fenomeno dello sfruttamento migratorio come il paradigma di un mondo che procede nella sua corsa in maniera dissennata; stigmatizzare l’assenza di libertà di un singolo Paese rendendolo un vessillo per tutte le libertà costituzionali della terra. Insomma quello che ci ha lasciati all’età di quarant’anni era ed è un intellettuale vero. Un uomo di cultura dove per una volta questo termine non è abusato, ma è la chiara fotografia di chi, fin dagli anni del liceo classico, ha saputo stare dalla parte di chi voleva sapere e con la conoscenza provare a cambiare le cose. Uno con cui era piacevole parlare di sequestri di matasse di acciaio nel siderurgico e di un gol di Ibrahimovic con la palla messa lì, all’incrocio dei pali. E per me è la morte improvvisa di una persona che ho imparato ad apprezzare, pagina dopo pagina, sorriso dopo sorriso.

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