Bisognava ascoltarlo dal vivo, Fred Bongusto: per davvero coglierne carisma, eleganza, l’alta professionalità tipica di chi l’ha costruita nella gavetta. E bisognerebbe ascoltarne i dischi oltre le hit, per dare davvero a Bongusto quel ch’è suo: al di là d’una voce calda subito riconoscibile per l’eco nasale ch’egli lasciava sospesa, oltre un’icona da crooner confidenziale che -comunque - sapeva dire e mai urlava, era sensuale ma in modo mai esibito. L’arte di Bongusto stava in una cifra interpretativo-autorale nobile e garbata, ch’egli ha cesellato nel tempo e mai abbandonato compiacendosi dei cavalli di battaglia o svilendosi in revival: l’ha esercitata anzi quasi da artigiano finché ha potuto, spesso da autore con sensibilità, e da persona con un pudore ch’egli pure nascondeva bene, nel barocco della sua casa romana o nei poster da tennista-latin lover di certi Lp dei ’70. Ma certo il suo catalogo è esempio di discografia pensata e lavorata con musicisti notevoli (Intra, Mascolo, Toquinho) sino a un insieme ricco di picchi che non certo per retorica del bel canto, l’aveva reso famoso in Giappone o a Hong Kong. Nonché negli Usa dove lo volle Don Costa, produttore di Sinatra e mente di Lp di Tony Bennett o Barbra Streisand, o in quel Sudamerica dove addirittura il Vinicius iniziatore della Bossanova, riteneva Fred Bongusto un gigante della musica.
Alfredo Antonio Carlo Bongusto detto Fred, scomparso a Roma dopo una disabilitante malattia aggiuntasi alla dolorosa sordità che l’aveva afflitto dai ‘90, era nato a Campobasso il 6 aprile 1935. E fu papà Giuseppe, “cantante-chitarrista” pei colleghi di marina, a passargli il sacro fuoco: nonché a segnarlo bambino per la sua scomparsa in guerra. Poi al liceo tale professor Vitone gli fece capire quanto non fosse peccato, seguire le inclinazioni; e Fred, recando in moto chitarra e masserizie alla stazione di Campobasso, emigrò. A imparare sul campo basso e chitarra fra Germania e Libano sinché nel ’61 incise coi 4 Loris e firmò per Ghigo Agosti, rocker d’antan, Bella bellissima e Doce doce. Una canzone d’amore e una d’autore in napoletano, sì, la firma di Bongusto da subito: come diceva lui “il mio destino, che mi fece apprezzare da Gorni Kramer tanto che mi volle per la sigla di Leggerissimo”. Era gennaio ’63, il brano Amore fermati e… fu Bongusto: ovvero nelle chart 15 singoli fra ’63 e ’86 e album altrettanti fra ’71 e ’88. Certo fu subito anche Una rotonda sul mare e cantar Napoli, che fattesi però etichette assieme a quella del “cantante da night” lo spinsero a inizio ‘70 a dedicarsi a colonne sonore, vergando peraltro arie notissime per Matrimonio all’italiana o Malizia. Però Bongusto emerse dalla sua presunta crisi rendendo Balliamo hit in Spagna e volando oltreoceano: in Uruguay dove aveva debuttato nel ’63 i giornali lo reclamavano quale “ispirato, vario, carismatico, internazionale”. Così ai suoi ’60 di Frida, Tre settimane da raccontare e Spaghetti a Detroit aggiunse riletture degne del suo mito Nat King Cole per Stardust o Core n’grato, giungendo da autore a Molise, Se me sient’ cantà qualche vecchia canzone so io cà nun me ne so iute mai. Cuore in patria e arte nel mondo, colui che si definì “Professionista di notte” in modo malandrino (e mai però scivolando nella volgarità) iniziò di lì a licenziare Lp alti: Fred&Bongusto, Il giorno e la notte, Lunedì, Freddissimo nonché Brasil, inciso fra Rio e San Paolo da interprete sommo della musica di lì. Poi, prima della dignità del ritiro, fu ottavo a Sanremo ’86 e incise dischi d’autore negli anni Novanta (quando in tour con di Capri ebbe modo pure di vedersi rivalutare): e diede l’addio definitivo alle scene con un ultimo giro del Sudamerica nel 2007, mentre l’ultima sua incisione fu nel ’13, duettando con la Zanicchi.
Nel ’95, mettendo liriche proprie su musica di Jobim per Campobasso e il gabbiano, Fred Bongusto l’aveva già tratteggiato il giorno del commiato. “Prendo l’autostrada del passato, tornare è tardi ma i ricordi non li cancelli”. E oggi che ha preso il volo non resta che auspicare accada per una volta come in Francia e davvero non si cancellino né banalizzino repertorio e lezione, eleganti e sorridenti, del nostro Nat King Cole: quel galantuomo di nome Fred Bongusto.