Ogni volta che ripenseremo a
Cesare Maldini, prima che al calciatore, alla bandiera del Milan anni ’60, all’allenatore e al ct azzurro (e perfino del piccolo Paraguay), la prima cosa che ci verrà da dire sarà sempre: «È stato un galantuomo, una gran brava persona». A 84 anni infatti ci ha lasciati prima di tutto
una gran bella figura di uomo, di padre di famiglia e di nonno esemplare. In una domenica triste di primavera (ma qui dopo Cruijff continuano a cadere i fiori più belli del calcio) specie per il Milan, è stato un po’ come rivivere il giorno in cui ci ha salutati - precocemente, dieci anni fa -
Giacinto Facchetti. Ecco,
Cesare e Giacinto, due giganti della difesa, due esemplari di un’umanità che hanno fatto di Milano una capitale morale anche del pallone, almeno quello di ieri. Oggi, il vuoto che lascia il “Cesarone” nazionale, stimatissimo e amato da tutto il popolo degli stadi e “dileggiato” solo per copione comico oltre che per eccesso di affetto nelle sue imitazioni da Teo Teocoli, è proprio un
vuoto etico. Perché con Maldini senior se ne va la figura dell’educatore di campo e del buon padre dei calciatori, e non solo di «Paolino», ma di tutta una generazione di campioni come
Buffon, Cannavaro, Pippo Inzaghi, Bobo Vieri, Albertini, Nesta, Totti, ecc... che al momento oltre che inarrivabile sembra addirittura una stirpe di talenti irripetibile.
Cesare con il figlio PaoloFormidabili sono stati quegli anni in cui Cesare il gladiatore aveva portato il Milan sul tetto d’Europa. Lui, capitan Maldinone elegante e forte (con qualche «maldinata» ogni tanto, diventata letteraria nelle pagine della
Vita Agra di Luciano Bianciardi) il primo capitano italiano ad alzare al cielo di Wembley la Coppa dalle grandi orecchie.
Era il 22 maggio del 1963 e quel Milan lo allenava un triestino come lui, il “Paròn” Nereo Rocco. «Con Rocco non c’era bisogno di parlare, ci capivamo con uno sguardo», mi disse l’ultima volta che avevo incontrato Cesarone nel suo ufficietto di via Turati. Ultimo scampolo di riconoscenza milanista verso quel numero 5 leggendario che oltre a dare tutto in campo al Milan gli aveva donato un figlio fuoriclasse, «Paolino».
I nipoti, i valori dello sport: l'intervista ad Avvenire (Pdf, 2008)Paolo Maldini, il numero 3 per antonomasia, uno dei rarissimi figli d’arte che è stato in grado di superare il maestro.
«Quando vinsi la mia prima Champions mi scrisse un sms. “Paolo sono orgoglioso di te. Papà”. Non mi aveva mai fatto un complimento. Era fatto così lui. Pensai, se papà ha perso due minuti della sua vita per scrivermi questo, vuol dire che ho fatto veramente qualche cosa di importante». Cesare è stato un grande giocatore in campo, Paolo un campionissimo che avrebbe meritato di vincere quel Mondiale che suo padre conquistò da vice del “Vecio” Enzo Bearzot a Spagna ’82.
Paolo ha avuto anche l’onore di essere allenato da papà Cesare che è stato il suo ct al Mondiale di Francia ’98, il sogno infranto sulla traversa del rigore calciato da Gigi Di Biaggio. Un altro allievo di Maldini senior, Di Biagio, ora ct di quell’Under 21 con cui Cesarone vinse tre titoli Europei. Altro record forse irripetibile, portato a casa con il solito profilo basso e in rispettoso silenzio del ruolo. Ma dei tanti risultati raggiunti il vero capolavoro di una vita, il Cesare l’ha sempre detto, «è stata la mia famiglia».
Sei figli, tre maschi: Paolo, Piercesare e Alessandro e altrettante femmine, Donatella, Monica e Valentina. Una famiglia non solo nel sport, «Alessandro e Donatella giocavano a basket», oltre che nel pallone, dove si è vista a sentita la mano dell’allenatore. «A dire la verità io ero sempre in giro per il mondo e quindi il direttore tecnico in casa è stata mia moglie Marisa. Senza di lei lo spogliatoio di famiglia sarebbe saltato. E lo stesso ruolo adesso in casa di Paolo ce l’ha sua moglie Adriana», diceva divertito Cesarone,al quale se gli parlavi di successi e di Palloni d’Oro sfumati per il suo Paolo, lui ci pensava su un attimo e poi sbuffava sincero: «Il riconoscimento più importante... È quello che ti arriva dalla gente. E allora oggi non c’è stadio o paese del mondo in cui Paolo non venga accolto e rispettato come un vero ambasciatore dello sport italiano. E questo è un grande onore per tutti noi Maldini».
Onore a te caro “vecio” Cesare e che la terra ti sia davvero lieve.