Arrigo Petacco in una vecchia foto d'archivio. Si è molto occupato di fascismo e Seconda guerra mondiale
Con Arrigo Petacco, spentosi oggi, scompare il decano dei giornalisti imprestati alla narrazione storica. Appena pochi mesi fa, era venuto a mancare, quasi centenario, un altro principe della divulgazione storiografica, Silvio Bertoldi.
Benché gli accademici – che considerano i giornalisti autori di saggi sul nostro passato, alla stregua di usurpatori, del tutto privi di metodo e di rigore – storcano il naso, la dinastia dei “cronisti della storia”, che ha trovato in Montanelli un capostipite, ha prodotto in Italia un genere anche letterario che ha permesso di accostare il grande pubblico a tematiche prima di allora esclusivo appannaggio dei baroni delle università e dei loro lettori specialisti.
Petacco, nato a Castelnuovo Magra il 7 agosto 1929, è sempre rimasto legato alla sua terra d’origine, tanto da vivere stabilmente a Portovenere. Prolifico autore di testi di storia contemporanea, in prevalenza legati al fascismo e alla Seconda guerra mondiale (ma con incursioni nel Risorgimento e nell’Ottocento), aveva una solida preparazione culturale e un altrettanto solido ancoraggio alla professione del cronista. Aveva esordito nella redazione del Lavoro di Genova, giornale socialista allora diretto dal futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini, pure egli ligure.
Dalla metà degli anni Sessanta del Novecento, Petacco aveva cominciato a lavorare anche per la Rai, firmando programmi di grande successo, sempre rivolti a scandagliare il nostro passato.
Commentatore del Tg1, il giornalista spezzino ha continuato a sfornare libri praticamente fino a oggi, grazie alla sua fama di infaticabile “sommozzatore di archivi” (la definizione è di Indro Montanelli).
Sempre sostanzialmente equilibrato nei giudizi, Petacco non mancò di sottolineare, ad esempio, come il fascismo si fosse retto, fino agli anni della guerra, sul largo consenso delle masse. Sua, ad esempio, è stata l’affermazione, secondo la quale, se in Italia si fosse votato, in libere elezioni, subito la fondazione dell’impero, nel 1936, il regime avrebbe potuto contare sull’80% dei suffragi popolari.
Dal romanzo biografico di Petacco dedicato alla figura di Joe Petrosino, l’ufficiale della polizia americana ucciso dalla mafia a Palermo nel 1909, la Rai trasse nel 1972 uno sceneggiato televisivo che incontrò il favore dei telespettatori. E, nel 1977, il regista Pasquale Squitieri, girò Il prefetto di ferro, film ispirato all’opera del giornalista dedicata alla figura di Cesare Mori, antesignano della lotta alle cosche in Sicilia.
L’intensa attività di scrittura, e l’impegno in televisione quale autore di programmi, non impedirono peraltro a Petacco di ritornare al suo “primo amore”: la carta stampata. Diresse infatti il mensile mondadoriano Storia Illustrata, e, nel biennio 1986-87, il quotidiano La Nazione di Firenze.
Chi scrive può testimoniare la gentilezza ed estrema disponibilità di Petacco, un grande professionista, ma anche, sul piano umano, un galantuomo. D’estate, amava la vita all’aria aperta, nella sua Liguria, facendo bagni di sole e di mare, e frequentando località come Levanto, dove si recava, in casa di amici, ad animare conversazioni anche accese con il discendente di un grande protagonista della “sua” storia: lo scomparso Pietro Mola, nipote del ras di Cremona, Roberto Farinacci.