Piera Degli Esposti - Ansa
Un’altra assenza, immensa come la sua arte di attrice, regista, narratrice, sceneggiatrice, di artista inimitabile e al contempo esempio mirabile di ricchezza che scaturiva dalla sua inesauribile curiosità per il mondo, per la vita degli altri, un universo per lei tutto da approcciare con rispetto e amore, per poi esplorare e analizzare. La scena italiana è da ieri più povera, depauperata di un talento che si fondava sul rigore assoluto che tanto ricordava quello di un altro mito del teatro italiano, quell’Eduardo De Filippo che non a caso la definì «o verbo nuovo».
Nuova e unica era Piera Degli Esposti con la sua voce graffiante e il suo corpo che viveva i personaggi più disparati sul palco o sul set senza mai imitare perché lei studiava, tanto, sempre, rigorosamente ma senza quel “gelo” che caratterizzò la vita artistica di Eduardo, piuttosto con quel sorriso, calore e dolcezza coniugati alla fermezza e mai all’arrendevolezza.
“La regina scalza”, come veniva definita per il dono che possedeva della duttilità ed eclettismo che la faceva sentire sempre a suo agio in qualunque ruolo e in qualunque abito di scena, ci ha lasciati a 83 anni all’ospedale Santo Spirito di Roma dove era ricoverata dal 1° giugno per una malattia che affliggeva i suoi polmoni. Ma ha speso ogni suo respiro fino all’ultimo istante per prepararsi all’eternità pregando quotidianamente con il cappellano dell’ospedale.
«Una vera guerriera animata da un’autentica fede», così la vuole ricordare uno dei suoi più cari amici, Nicola Conticello, da 25 anni suo ufficio stampa. «Con lei era sempre una festa – confessa Conticello –. Aveva la capacità di creare bellezza intorno a lei perché era un’antidiva, sempre aperta ai bisogni degli altri, mai chiusa in se stessa, sapeva apprezzare le piccole cose e dava priorità alla verità dei sentimenti». Non a caso Piera amava ripetere che si era formata «con le donne e non con le accademie», attingendo al flusso vitale della realtà ed entrando in empatia sia con gli animi e le menti più raffinate che con quelle più veraci.
Alcuni numeri non bastano a far figurare la poliedricità e preziosità della sua arte: una cinquantina di film, una ventina di sceneggiati, protagonista a teatro per 50 anni buoni, vincitrice di due David di Donatello, due Premi Ubu, due Nastri d’argento, due Premi Flaiano e un Globo d’oro. Forse citare alcuni nomi con cui la vita artistica di Piera Degli Esposti si è intrecciata e rievocare alcune sue esperienze significative può far intuire la straordinaria ricchezza della sua carriera. L’iniziazione avviene con il teatro d’avanguardia degli anni ’60 e con maestri come Antonio Calenda, Aldo Trionfo, Giancarlo Cobelli a cui segue un fecondo sodalizio con Massimo Castri e con l’attore Tino Schirinzi.
È stata protagonista della felice stagione dei teatri indipendenti romani, a partire dal mitico Centouno fondato proprio con lo stesso Calenda e Gigi Proietti. Ha interpretato classici e moderni con una scioltezza e profondità lontane da superficialità e stereotipi, quindi grazie alla sua sensibilità, cultura e ironia emozionava con Shakespeare e D’Annunzio, struggeva gli animi con la sua “Mater dolorosa” nello Stabat Mater e nella Rappresentazione della Passione ed esilarava con gli aforismi di Achille Campanile.
Sempre negli anni 60 il suo vulcanico talento sbarca anche in tv con l’originale televisivo Il conte di Montecristo diretto del 1966 da Edmo Fenoglio. Quasi un anno dopo è Gianfranco Mingozzi a farla debuttare al cinema con Trio, mentre nel ’68 compone insieme a Tino Buazzelli, Wanda Osiris, Franco Parenti, Mario Pisu, il colorito cast del Circolo Pickwick che Ugo Gregoretti dirige in sei puntate per il piccolo schermo.
Al cinema viene valorizzata anche dai fratelli Taviani (Sotto il segno dello scorpione), Pier Paolo Pasolini (Medea), Lina Wertmuller, Giuseppe Tornatore (La sconosciuta), Marco Bellocchio (L’ora di religione, che le valse il primo dei due David di Donatello), fino a Nanni Moretti (Sogni d’oro) e Paolo Sorrentino che la volle ne Il divo in cui impersona la storica e impassibile segretaria di Giulio Andreotti in una delle sue caratterizzazioni più celebri. A tale proposito il suo ufficio stampa Nicola Conticello ci svela un retroscena emblematico sull’arte interpretativa di Piera Degli esposti: «Nonostante i reiterati inviti Piera non volle mai incontrare il figlio della segretaria dell’allora presidente del Consiglio che era disponibile a raccontare e illustrare le attitudini e le peculiarità della mamma-segretaria. In realtà Piera non voleva conoscere alcun dettaglio superficiale sulla personalità del personaggio che doveva interpretare. Non ha mai copiato in vita sua, ha sempre creato».
Una collaborazione creativa poi Piera l’ha instaurata con l’amica di sempre, Dacia Maraini. Un idillio artistico che produrrà due opere, la prima delle quali divenne un caso letterario: si tratta del famoso Storia di Piera del 1997 scritto appunto a quattro mani con la Maraini. Ne scaturì un vero e proprio evento editoriale perché la Degli Esposti, grazie anche alla precisione chirurgica con cui Dacia scandagliava la psiche, attinse al suo vissuto per raccontare del suo insolito e problematico rapporto con la madre, donna inquieta, irrefrenabile, perennemente instabile.
«Con Piera abbiamo fatto insieme tante, tantissime cose, due libri ma anche lavori per il cinema e il teatro – ricorda la Maraini –. Lei era grazia, ironia e intelligenza, dotata di un enorme talento. E come tutti i grandi agli inizi della sua carriera non era stata capita. All’inizio ha fatto anche tanta fatica, poi piano piano è venuta fuori. A mio avviso aveva un grande talento comico e lo dico pensando che il registro della comicità sia in realtà quello più difficile. Ha riempito la nostra immaginazione con la sua grazia, ironia e intelligenza».
Il libro-scandalo Storia di Piera divenne anche soggetto e sceneggiatura, con la complicità di Marco Ferreri che ne fece nel 1983 uno dei suoi film più personali e intensi, ma in cui la mano di Piera Degli Esposti guidò e indirizzò ogni gesto delle protagoniste Hanna Schygulla e Isabelle Huppert. In realtà, al di là degli aspetti più morbosi confessati in questa narrazione di vita, ci sono due stelle polari che hanno sempre conferito stabilità emotiva e certezza affettiva alla grande artista bolognese: la famiglia e il teatro, due punti di riferimento inalienabili, due porti sicuri o, come la stessa Piera senza remore definiva, due «case dei desideri» universali e siderali che, come la sua maestria, non scompariranno con l’ultimo soffio della sua esistenza.