venerdì 1 maggio 2020
La cittadina mineraria tra Belgio, Olanda e Germania per un secolo visse in apolide neutralità: tale «meraviglioso errore della storia» mostra l’illusorietà di ogni confine
Il “Moresnet Neutrale” in una cartolina del 1900

Il “Moresnet Neutrale” in una cartolina del 1900 - WikiCommons

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Metti una miniera di un materiale ancora poco conosciuto (lo zinco), ma che si rivela con il passare degli anni sempre più importante per l’economia europea, e non solo. Metti il periodo post–napoleonico, con le potenze europee impegnate a disegnare nuovi confini sulla mappa del Continente, a tracciare nuove influenze geopolitiche e a distanziare popoli l’uno dall’altro. Metti un triangolino di terra boschiva tra quelli che un tempo erano i Paesi Bassi (poi diventato territorio belga) e la Prussia, una zona che vien «dimenticata» nelle trattative del Congresso di Vienna. Metti tutti questi, e altri, ingredienti, mescolali insieme, e ti salta fuori la storia incredibile, Moresnet, al confine delle attuali Germania, Olanda e Belgio, uno Stato–non Stato che tale è rimasto dalla sua nascita (1816) fino al congresso di Versailles (1920), quando – dopo la prima guerra mondiale – il fazzoletto di terra (3,4 chilometri quadrati) passa al Belgio. A raccontare questa curiosissima vicenda, appoggiandosi su una monumentale ricerca storica fatta di documenti dell’epoca, archivi di comuni, aziende e Stati, testi specialistici ma anche memorie di semplici cittadini, è il saggista olandese Philip Dröge in un libro godibilissimo, che intreccia la grande storia europea e la piccola vicenda di questo borgo centro–europeo, per un secolo oggetto di un esperimento socio–politico particolarissimo. E che è giustamente definibile come recita il titolo, Terra di nessuno (Keller, pagine 286, euro 17,50; in libreria da inizio maggio).

Con sagacia narrativa, Dröge parte da Vienna, 1815, quando i Grandi della storia «tracciano i confini con delle matite dalla punta grossa, così grossa che interi paesi scompaiono sotto le linee». E si dimenticano di una miniera di zinco tra Prussia e Olanda, un angolo di mondo che compare già nelle memorie di Plinio il Vecchio: nel 49 c.C. in un suo scritto c’è citato il nome di Kelmis, il centro abitato più rilevante (sponda prussiana) nei pressi di Moresnet. Il soldato romano e scrittore «giunge nei pressi della miniera – annota Dröge –. Vede degli abitanti che scavano il terreno in cerca di pietre. Le sue note sulla miniera costituiscono il primo documento che indica il Paese come luogo di ritrovamento della preziosa calamina», dal quale si ricava lo zinco e da cui il nome della città. Quando nasce concretamente Moresnet? La data clou è il 26 giugno 1816 quando vien firmato l’accordo tra Paesi Bassi e Prussia: «Fino a quando il confine non sarà stabilito, i due Paesi amministreranno congiuntamente il territorio conteso e si divideranno i proventi della miniera – scrive Dröge –. Prenderanno una decisione solo quando si troveranno d’accordo tra loro. Concordano di non inviare milita- ri in questa zona di frontiera. Il territorio diventa neutrale».

Il lettore si farà tante domande, Dröge le verga a nome di tutti: «Ci sarà una dogana? Quale legge si applica al territorio? Cosa succede se un ladro si rifugia al di là della frontiera del Moresnet neutrale? Chi si occuperà dell’amministrazione pubblica e in che modo? Chi riscuote le imposte e a quanto devono ammontare? Gli abitanti di sesso maschile devono prestare il servizio militare? E se sì, in quale esercito, quello prussiano o quello olandese?». Ecco dunque sorgere quello che Camille Piccioni, docente della facoltà di diritto della Sorbona, definisce con parole quanto mai chiare, e al contempo indefinite: «Il Paese è unico nel suo genere, un meraviglioso errore della storia». Né Olanda né Germania. Gli abitanti di Moresnet – nel 1816 sono 250; nel 1853, sono quintuplicati, nel 1859 si sale a 695 – non appartengono a nessuno stato. Oh sì, hanno una loro nazionalità: nel 1853 852 di loro sono belgi, 807 prussiani, 204 olandesi, ma ben «695 sono neutrali, ovvero discendenti di coloro che abitavano nel territorio neutrale al momento della sua nascita nel 1816». Come fa a reggersi uno Stato–non Stato così? Prussia e Paesi Bassi (e poi Belgio, quando questo si stacca dall’Olanda e Moresnet farebbe «parte» del Belgio) decidono non decidendo: ovvero, che su quel territorio un tempo napoleonico debba restare in vigore la legge di Bonaparte, pre–Congresso di Vienna. Moresnet deve la sua fortuna appunto alla cava di miniera di proprietà della Veille Montaigne, una società belga. Ma attorno agli scavi e alla lavorazione della calamina si accatastano i problemi delle città della prima rivoluzione industriale: mancanza di sanità, di istruzione, l’epidemia del gioco d’azzardo, la piaga della prostituzione.

Tutto, senza un’autorità pubblica riconosciuta (solo un gendarme in azione). Dunque, Moresnet – dove si può pagare in moneta prussiana, belga, olandese e francese – è uno Stato o no? «Non vi è dunque una vera identità nazionale, si tratta di una società multiculturale avant la lettre – afferma Dröge –. Ogni confine è arbitrario, a seguito di una spartizione ci sarebbe sempre qualcuno che finirebbe nel Paese “sbagliato” ». Tanto che sarà oggetto di un tentativo linguistico molto noto: i fautori dell’esperanto cercano di renderlo «il» territorio in cui si parla quella lingua che si voleva franca per un’Europa priva di nazionalismi. E che invece soccombe alla furia delle armi dal 1914 al 1918: dopo la Grande Guerra anche l’esperimento apolide di Moresnet finisce. Curiosità, a pochi chilometri dal «meraviglioso errore della storia » c’è Maastricht, la città olandese dove venne firmato il celebre Trattato, inizio dell’Europa unita. Ma questa è, evidentemente, un’altra storia.

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