martedì 5 agosto 2014
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Lampedusa, Isola dei Conigli, sabato 6 agosto 1994, ore 20.30. A seguito di un infarto si spegne a soli 66 anni Domenico Modugno. Per gli amici Mimmo, per tutto il mondo Mister Volare. Nonché il primo cantautore italiano e il rivoluzionario più grande della nostra canzone. Ingredienti della nascita di 'Mister Volare' nel ’58, malgrado il brano cui ci si riferisce (giova scriverlo) si intitolasse Nel blu dipinto di blu, furono quattro. Primo, braccia spalancate per cantare gioia di vivere fra vecchi scarponi e polverosi amori nel Casino di un giovane Sanremo; secondo, un sorriso malandrino e un carisma da attore (del resto attore Modugno avrebbe voluto essere, e in fondo attore a teatro fu: coi trionfi di 'Rinaldo in campo' e non solo); terzo, una voce splendida, pastosa, usata con misura e intelligenza (ogni paragone con l’odierna versione di Volare fatta da Emma è impietoso); quarto, il canto del calore di un’italianità melodica e solare, non più greve di retorica ma finalmente e poeticamente attenta (bravissimo Migliacci, coautore delle liriche del brano) alla voglia di rinascere del mondo intero.Un mondo che a fatica stava superando i postumi di un conflitto dolorosissimo: ma dentro la musica mancava ancora lo facessimo noi. In America c’era Elvis, in Inghilterra si stava arrivando ai Beatles, la Francia aveva creato la prima grande canzone d’autore fra i poeti che scrivevano per la Piaf e Brel che debuttò nel ’54. In Italia fu Modugno, a far nascere quel cantautorato che avrebbe nobilitato anche nella penisola il senso del far canzoni. Anche se il termine cantautore fu, in realtà, coniato nei primi anni Sessanta: per lanciare faccende tipo Il pullover di Meccia. Però Modugno cantautore era a tutti gli effetti, anche se non sempre i testi erano suoi: ma è capitato anche a Dalla, Baglioni, Battisti. E De André spesso non scriveva le musiche. Il cantautorato però non è mera coincidenza con la definizione di artista che canta canzoni da lui scritte e composte. È adesione fisica ed emotiva del brano a un vissuto, di quel vissuto a una realtà (o a un ideale), e del cantautore, quando interpreta, a tale realtà. E Modugno cantava la vita mettendoci tutto se stesso: con consapevolezza d’attore, malizia da istrione nonché, agli esordi, da cantautore tout-court. Con cose di alto profilo tipo U pisci spada (egli era pugliese, ma il suo dialetto veniva preso per il più vendibile siculo e lui ne approfittò…) e capolavori quali Resta cu ’mme o Strada ’nfosa. Poi, Nel blu dipinto di blu: i critici scomodano Ungaretti e Montale a spiegarla, Modugno va in tour in Usa, vende 23 milioni di copie, è in classifica in 52 Stati. E nasce un cantautore che, a parte talune parentesi retoriche dei primi anni 70, sa cantare sentimenti alti e vicende quotidiane, Brecht e Pasolini, mafia e miniera, ironia e dramma, la cronaca di un suicidio (Vecchio frack) e l’incitamento a non arrendersi (Meraviglioso), l’emigrazione (Amara terra mia) e la vedovanza (Come stai), la morte (Stasera pago io) e la vecchiaia (Io vivo qui). E anche per questi temi, cantautore. Il primo cantautore.Il punto, semmai, è cosa rimanga di Modugno vent’anni dopo la sua scomparsa, tristemente anticipata da un ictus che lo colse durante programmi registrati a catena di montaggio sulle tv private, e lo ridusse al silenzio dieci anni prima della morte. Silenzio, insomma… Se è vero (come è vero) che l’esigenza di Modugno di cantare l’Italia e se stesso lo portò nel ’91, a sette anni dall’ictus, a trionfare alla Carnegie Hall di New York. Oggi, vent’anni dopo, di Modugno osiamo sperare rimanga tutto. Perché era personaggio spontaneo, vero, non maschera creata dal marketing fra talent e tv. Era un artista nato, discontinuo in quanto geniale, grandissimo autore e voce immensa, vero e primo cantautore. Grazie a lui, hanno trovato pubblico attento e spazi tv aperti i vari De André, Paoli, Jannacci, Endrigo. E poi De Gregori, Finardi, Zero, Branduardi. E poi Concato, Mango, Carboni. E poi… basta. Poi è diventato difficilissimo trovare in un unico artista, declinate all’italiana e non nel rock, vena poetica, capacità compositive, tecnica vocale, verità del porsi e personalità. Dal ’94 ad oggi molti bei testi vanno su brutte musiche, molto impegno è di facciata, begli spartiti accompagnano deliri pseudopoetici, qualcuno non sa cantare, pochi hanno fatto gavetta, nessuno ha carisma. Certo, ci sono le donne: la Consoli è brava, per dire, però guarda l’America come Celentano faceva con Elvis (e non è musica nostra). E qualche autrice di classe, in quanto tale, sembra ormai poter aspirare solo a nicchie di mercato (Andrea Mirò, Patrizia Laquidara). Poi gli epigoni: di Dalla, di Gaber, di tutti. Ma non c’è un mondo, nei presunti cantautori prodotti dall’Italia dopo Bersani, che guarda caso debuttò nel 1992, a ridosso dell’addio a Modugno.  Molti ci dicono che il nuovo cantautorato sono rap e hip hop. Sarà. Ma la rima baciata non porta alle altezze poetiche del cantautorato storico, e l’adesione alla realtà - in alcuni casi vera e concreta - è comunque cantata all’americana. Rap e hip hop non sono nostri. Forse manca la fame, di realtà e di cantarla, che per primo ebbe Modugno. E manca, nei nuovi suoni, l’Italia: un’Italia non retorica, capace di rinnovarsi, analizzarsi, anche imporsi sui mercati. Di Modugno, lo ripetiamo, osiamo sperare rimanga tutto. Ma forse vent’anni fa a Lampedusa, alle 20.30 del 6 agosto, con la morte di Mister Volare ha iniziato a spegnersi anche la vera canzone d’autore italiana.
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