martedì 21 gennaio 2014
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C'è a Marsiglia una grande chiesa che anni fa doveva essere demolita, o trasformata in un museo, tanto era vuota, pure nella popolosa Canebière, la centrale arteria in cui si trova. Oggi chi va a Saint-Vincent-de-Paul la domenica mattina vede, già prima delle dieci, un accorrere di fedeli, alcuni perfino con un seggiolino sottobraccio tanto le panche sono gremite, da quando c’è padre Zanotti-Sorkine. Oggi di questo sacerdote arriva in Italia, tradotto da Mondadori, I tiepidi vanno all’inferno (pagine 190, euro 12,90): meditazioni e aforismi sulla fede dedicati, in primis, ai sacerdoti e dai quali traiamo i testi riportati sotto. A fronte della crisi della Chiesa in Occidente padre Zanotti-Sorkine scrive: «Siamo onesti, la verità è questa. Siamo noi, che non abbiamo più il sacro fuoco. L’immagine che diamo del sacerdozio è troppo insignificante. Non tocca più il cuore». Ma chi è questo prete che cammina per Marsiglia – dove una elevata percentuale della popolazione è di religione islamica e certe strade sembrano dei suk – con addosso la talare svolazzante, così inaspettata che la gente si volta a guardarlo? La storia di Michel-Marie Zanotti-Sorkine è singolare. Nato a Nizza nel ’59 da madre ebrea in una famiglia con origini italiane e corse e russe, il suo sangue è un groviglio di radici. Educato dai salesiani, orfano a tredici anni, fin da bambino ha il dono di una fede profonda; e insieme una grande passione per la musica, e una bellissima voce. Intorno ai vent’anni è la musica che ha la meglio, e il ragazzo va a Parigi e diventa uno chansonnier nei night-club. Uno chansonnier di successo, che però, in quel mondo notturno, è preda ancora di una insoddisfazione che rode come un tarlo: Dio, da lui, cosa vuole? Finché un giorno non decide, lascia Parigi e entra nell’ordine domenicano. Irrequieto, passerà poi, affascinato da padre Kolbe, a quello francescano. Infine, ed è la definitiva scelta, a quarant’anni diventa prete diocesano a Marsiglia.Oggi, a quindici anni dalla ordinazione, sulla Canebière padre Michel-Marie lo conoscono tutti. È il parroco della Grande Église, come la chiamano lì: la grande chiesa che doveva diventare un museo. Chi scrive è andato un anno fa a vedere chi è, questo prete. Già colpiti dalle navate gremite, lo abbiamo sentito predicare: parole dette con passione, riferimenti alla vita quotidiana ma anche citazioni di poeti e artisti. Come un dialogo teso fra lui e i fedeli: giovani, vecchi, benestanti, pensionati, poveretti, tutti muti e attenti. Messa esteticamente bella, canti antichi, e la voce di padre Michel-Marie che colma la chiesa. Poi all’uscita una lunghissima coda per salutare il parroco, per averne, tutti, una parola. «Teatro», sussurra qualcuno – forse con un po’ di invidia. Ma basta un’ora a parlare nella canonica spoglia per toccare in quest’uomo una gran fede, forse più grande perché non ereditata ma scelta, da bambino, in una casa in cui la mamma era ebrea. Madre amatissima, che con la sua morte precoce sembra stampare nel figlio la nostalgia di un amore infinitamente grande. Quello che padre Zanotti trova, alla fine, nel farsi sacerdote. Scotta qualcosa, in questo prete. Scotta una fede che brucia dal desiderio di dirsi, di contagiarsi. Infatti nelle mattine feriali lo incontri nei caffè del quartiere mentre fa colazione con gli studenti, o per strada, la tonaca al vento in mezzo alle islamiche della Canebière col velo sul viso. La sua ansia è di entrare in contatto con i lontani, con quelli che mai entrerebbero in chiesa. E ogni occasione è buona: uno gli chiede dov’è la Posta, lui risponde: «L’accompagno», si scambiano due parole, lo sconosciuto accenna ai suoi bambini, il prete sorride: me li porti, che li battezziamo. E poi magari accade davvero: «Non bisogna mai perdere nessuna piccola occasione per parlare di Cristo», dice padre Michel-Marie. E non bisogna mai mancare un giorno in confessionale: lui c’è sempre, puntuale, ogni sera, alle cinque. Il libro che esce in Italia è anteriore alla elezione di Bergoglio. Ma ci si avverte quasi una affinità con papa Francesco, nell’ansia di andare verso le periferie, di offrire tenerezza e misericordia e perdono ai più lontani. Di queste pagine alcune frasi pungeranno forse i sacerdoti. Provocazioni però amorevoli, incitazione tra fratelli a farsi più audaci e più veri: perché altrimenti, come scrive padre Michel-Marie, «è a noi, che manca il fuoco».
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