undefined - Web
«La fraternità non è omologazione, non è un mettersi assieme in nome di una comune identità. Al contrario, è la scoperta della propria identità nell’incontro con un altro, che ci riconduce al senso stesso della nostra esistenza. Perché non si può essere veri amici degli altri senza esserlo innanzitutto verso se stessi». Costantino Esposito, ordinario di Storia della filosofia a Bari, studioso di storia della metafisica e del nichilismo (oggetto del suo ultimo libro Il nichilismo del nostro tempo. Una cronaca, edito da Carocci) sarà uno dei protagonisti del prossimo Meeting di Rimini dedicato al tema della «amicizia inesauribile». “Guardare la realtà, accogliere il senso” è il titolo di un confronto che avrà luogo lunedì 21 agosto con Vincent Carraud, storico della filosofia alla Sorbona.
L’amicizia, non come sentimento che addolcisce la vita, quindi, ma fondamento dell’esistenza stessa. Amicizia “inesauribile”, perché?
È una scoperta vertiginosa e per nulla scontata quella dell’amicizia come dimensione costitutiva del nostro essere. Il più delle volte, infatti, la intendiamo come legame sociale che serva a riempire il vuoto della nostra solitudine. L’amicizia è anche questo: la dolcezza di una compagnia in cui la vita possa trovare un appoggio, una condivisione, un conforto. Ma prima ancora di un farmaco contro la solitudine, prima ancora di tradursi in impegno a entrare in relazione con gli altri, può rappresentare una scoperta inedita. Che non siamo soli al mondo, e per il fatto stesso di essere nati siamo dono a noi stessi. Che nel nostro stesso venire al mondo siamo voluti. Come scrive don Luigi Giussani in un testo da cui è tratto il titolo del Meeting, «l’esistenza è un dialogo profondo, la solitudine è abolita alle radici stesse di ogni momento della vita. Esistere è essere amati, definitivamente».
Diversi autori, a partire da Aristotele, hanno affrontato il tema. Ma come parlare di amicizia al tempo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale?
L’amicizia è stato un tema costante del pensiero filosofico. Penso proprio ad Aristotele, quando nell’Etica Nicomachea afferma che «nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni». Ma non ogni forma di amicizia è vera. Si è un buon amico, per Aristotele, quando «i sentimenti di amicizia verso gli altri» derivano dal «senso di amicizia verso se stesso». Essere amici di se stessi significa che v’è accoglienza e stima del proprio esserci, e immedesimazione con il senso del vivere. Con una locuzione potente, Aristotele arriva a dire che «per l’uomo virtuoso è bello l’esistere». Un giudizio affilatissimo, che coglie il punto anche per il nostro tempo di nichilismo ormai tutto socializzato.
La vera amicizia però ci appare come qualcosa di raro, in un mondo che va di fretta e sembra aver smarrito il senso della gratuità.
L’amicizia è forse uno dei segni più evidenti che gli esseri umani sono sempre capaci dell’impossibile, un’esperienza ogni volta sorprendente, che ognuno di noi almeno qualche volta ha fatto o che vediamo accadere in altre persone attorno a noi. L’esperienza di amare una persona per il solo motivo che essa c’è e ci corrisponde pienamente (in reciprocità), non dunque per secondi fini, ma solo perché in essa noi troviamo «un altro noi stesso», come diceva Cicerone. Ma anche per Tommaso d’Aquino o per Montaigne l’amico vero è amato «semplicemente per se stesso»: ed è proprio questa gratuita alterità a farci essere veramente noi stessi. È dentro la routine quotidiana dei rapporti di interesse e di potere, non fuori o al di là di essi, che nasce in noi l’esigenza insopprimibile di un senso umano nei nostri rapporti con il mondo e con gli altri come promessa di felicità. Per questo l’amicizia “inesauribile” è un’inesausta apertura, un’irriducibile attesa che venga a noi, che accada, ciò che dà senso al vivere.
Nel giorno iniziale del Meeting il cardinale Zuppi si addentrerà nell’idea di amicizia nella Fratelli tutti. Come si passa dall’amicizia interpersonale all’amicizia sociale e alla politica?
Già Aristotele diceva che per essere giusti si ha bisogno di essere amici. Il che, viceversa, sta a significare che l’amicizia è la più politica delle virtù. Non sarebbe possibile infatti costruire, o anche solo tentare di costruire, una società umana fondata sull’uguaglianza, cioè sulla giustizia sociale, e sulla libertà, cioè sui diritti individuali, senza che essa sia innervata profondamente da un senso di fraternità. Posso collaborare con te, e costruire insieme una casa comune, perché sono originariamente con te, e reciprocamente tu con me. Se l’inclusione e la solidarietà sociale vengono intese invece come obiettivi da produrre politicamente nascono già falliti.
L’amicizia, politicamente, punta a mettere insieme persone simili.
Bisogna fare attenzione. Jacques Derrida, ad esempio, ha sganciato l’amicizia dalla sua matrice antico-cristiano-illuminista di fraternità, che ai suoi occhi appare condannata alla logica dell’omologazione identitaria e ha prospettato un’altra ipotesi di amicizia come rapporto tra diversi, cioè coloro che vengono riconosciuti non come simili a sé ma come del tutto altri da sé. Ma questo piuttosto che smantellare l’amicizia sociale nata dalla fraternità, ci induce a chiederci se sia adeguato intendere la fraternità come comunanza dell’identico o non proprio come accoglienza dell’altro in quanto altro. Ed è molto interessante che il senso non “identitario” ma “alternativo” di amicizia sociale sia oggi richiamato da un soggetto la cui identità è così forte, come la Chiesa. Il fatto è che la sua identità consiste proprio nel riconoscimento di un irriducibile Altro.
L’ultimo giorno invece ci sarà Mattarella che spesso richiama tutti a riscoprire quel “senso di comunità” che ci rende popolo, oltre lo spirito di parte.
Idealmente sarà il compimento di una sfida che segna tutta la settimana: confrontarsi su come quest’amicizia inesauribile rimandi, operativamente, all’idea di un bene che abbiamo in comune, e che interroga tutti gli àmbiti della vita e dell’agire politico.