La signora Maria Pia cura con affetto infinito la preparazione della festa che celebrerà gli ottant’anni del marito Carlo Mazzone: l’evento è domani, festa di san Giuseppe: «Il compleanno nel giorno giusto - dice - come il padre di Gesù. Gli amici sono in movimento da giorni, festeggeremo qui a Ascoli, a San Benedetto, a Roma, senza eccessi, solo tanta serenità». Maria Pia è innamorata come il primo giorno del suo Carlo, stanno insieme da cinquantasette anni ed è sua moglie da cinquantaquattro, sua segretaria da sempre.
È lei che ci fa da ufficio stampa del mister Mazzone per scambiare due chiacchiere dopo oltre dieci anni di silenzio, e dire che ci si sentiva spesso fin dai Settanta, quand’era il “Profeta” di Ascoli Piceno. Si prepara all’evento, Mazzone, ma senza anticipate celebrazioni, né io insisto sulla data facendo auguri anticipati, l’ha detto anche papa Francesco che non portano bene. L’occasione va colta per riparlare di calcio e di vita col “Maestro”, definizione che preferisco a “Sor Magara” o “Sor Carletto”, richiami che vorrebbero consegnare alla storia un allenatore ruspante, tipo Oronzo Canà, personaggio da commedia all’italiana, ora bonario con un bel sorriso da papà comprensivo, ora serioso quando istruisce i pupi, o inferocito come Youtube lo conserva per quella corsa forsennata che il 30 settembre del 2001 lo portò a contestare i tifosi dell’Atalanta che l’avevano offeso. Appena tornato in sè ebbe la grande idea: «Non ero io ma il mio gemello». Carlo, si ricorda quando venni a trovarla a Ascoli con Bernardini «Una vita fa...Il Dottore mi stimava... Che soddisfazione quando a Coverciano citò il mio lavoro, le mie idee».
Era il ’72, Bernardini era rimasto disoccupato dopo la Sampdoria e l’avevo ingaggiato come giornalista al Resto del Carlino, dove riesibí la sua classe di narratore di calcio fino a quando me lo portò via nel ’74 Artemio Franchi per ricostruire la Nazionale. Fulvio mi presentò prima a Bogliasco un calciatore- bandiera che si chiamava Lippi, Marcello Lippi, dicendo «questo diventerà un ottimo allenatore», poi mi chiese di portarlo a Ascoli per incontrare Carlo Mazzone, «il migliore degli italiani, tecnico e tattico intelligente, uno che studia calcio, un sottovalutato».
«Grazie ancora, vorrei dire... Diciamo che mi sono... sviluppato. Io non ho avuto maestri, la mia maestra è stata la sfortuna che mi ha troncato la carriera di calciatore dell’Ascoli facendomi fratturare la tibia e cambiare mestiere restando nel mondo che amavo. Il male fisico mi ha insegnato tanto, da uomo e da calciatore. Ma la mia fortuna fu Rozzi, il presidente bravo, serio, intelligente e buono che fermò la mia disperazione dicendo: «Carlo, non ti preoccupare, guarito o no starai sempre con me e mi dette la guida della squadra in C, con piena responsabilità, “Fai tu”, e io feci C,B,A, che bella avventura, che soddisfazione... ». Non sembra colpito dalla nostalgia anche se il ricordo lo intenerisce, un momento di commozione l’ha solo «per la buon’anima di Costantino Rozzi» (come tempo fa dettò ai cronisti un commosso ricordo di Gino Corioni, l’altro presidente della sua vita).
Una carriera intensa, quella di Mazzone, che viene spesso ricordata per le gesta di due allievi fenomenali, Roby Baggio e Francesco Totti (ne parleremo), e a lungo ignorata dalle Grandi Firme; solo noi, cronisti di provincia, capimmo che a Ascoli c’era qualcuno che mascherava sapienza tecnica e tattica fingendosi imbonitore: «Ma come pensare che si interessassero di noi i Brera se eravamo nella piccola provincia, venuti su senza campo, si giocava allo Squarcia e sembrava impossibile che fossimo cosí bravi.... Il segreto? Ovviamente ho sempre curato l’aspetto tecnico e tattico, ma la cura più intensa l’ho dedicata alla fisicità dei miei giocatori: è inutile avere le prime due doti se poi ti spegni sul campo per stanchezza». Ma valeva per tutti, questa regola? Anche per Baggio e Totti?
«No, loro due avevano già tutto, grande tecnica, saggezza tattica, logica, fantasia, mi dedicai soprattutto a curarne il fisico, a controllargli l’alimentazione, a dargli responsabilità dirette e a fargli vivere anche una sana vita famigliare. Loro i più grandi, e non voglio dire chi sia stato “er più”, ma ricordo anche il grande Campanini a Ascoli, e il bravissimo Beppe Signori a Bologna». Verrebbe voglia di continuare, per ore: la vita di Carlo Mazzone è un romanzo, con pagine di gioia e di dolore che il vostro cronista ha sfogliato nei quarant’anni della sua onesta e pur felice carriera, ispirando anche chi un bel giorno decise di affidargli la sua squadra del cuore, la Roma con dentro il Pupone appena svezzato da Boskov che poi se n’era andato.
Mi chiese aiuto Ciarrapico - presidente di fortuna mandato dal “divo” della nostra storia politica, il senatore Giulio Andreotti a salvare la Magica senza avere alcuna esperienza di calcio - prima confessando di voler ingaggiare un grande portiere che gli avevano raccomandato, tale Dino Zoff, poi sollecitando il nome di un tecnico di valore. Gli rivelai che Zoff era diventato presidente della Lazio, poi un nome per la panchina: Mazzone. Finalmente Roma-Amor. Carlo, si ricorda Ciarrapico? “Chi?”. Buon compleanno Mazzone.