Anzitutto non chiamiamola più «strage di Marzabotto», bensì «eccidio di Monte Sole». Per chi si addentri nella geografia dell’Appennino bolognese, potrà sembrare una quisquilia: il comune di Marzabotto sta giusto all’ombra del Monte Sole... Ma per quanti invece sanno di storia dell’ultima guerra, la distinzione suonerà quasi una provocazione: si tratta infatti dei luoghi consacrati alla memoria della peggior strage nazista in Italia, anzi addirittura la maggiore in tutta l’Europa occidentale. Eppure la proposta viene da un libro nient’affatto «revisionista», una ricostruzione storica che si offre anzi come la prima (a 65 anni di distanza!) davvero «scientifica» sui fatti avvenuti tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 in una ventina di borgate intorno a Marzabotto. E in effetti almeno per mole (614 pagine, 33 euro) e per l’autorevolezza accademica degli autori (Luca Baldissara e Paolo Pezzino, ambedue docenti di storia contemporanea all’Università di Pisa) Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole (Il Mulino) ha certamente i crismi per candidarsi a proporre una luce più definitiva su un episodio del quale – peraltro – gli autori medesimi precisano che ormai «una narrazione esaustiva appare quasi impossibile». «Massacro di Monte Sole», dunque: per uscire finalmente dall’«eccesso di retorica» che, sempre secondo Pezzino e Baldissara, ha finora sommerso la « strage di Marzabotto». Con effetti perniciosi sulla conoscenza storica, come dimostra il fatto che abbiamo dovuto attendere il 1995 solo per conoscere il numero esatto delle vittime: non le 1830 accreditate all’inizio, bensì 770, tra cui 216 minori di 12 anni. Ma c’è di peggio: secondo gli autori, infatti, la storia di Marzabotto ha subìto i rimpalli di opposte interpretazioni ideologiche, da quella «eroica » e santificatrice della Resistenza (con conseguente demonizzazione del nazista, in questo caso personificato nel maggiore Walter Reder), alla più recente che colpevolizza invece i partigiani, responsabili di aver aizzato la belva hitleriana lasciando che si sfogasse sui civili. Questo lavoro vuole sganciarsi da ambedue le tendenze e per farlo segue la stessa linea che Paolo Pezzino da solo aveva già individuato in un recente lavoro dedicato a un’altra (di poco precedente) celebre strage nazista: quella di Sant’Anna di Stazzema, in Versilia. I due massacri non sarebbero pura espressione di ferocia gratuita, e nemmeno frutto dell’irresponsabilità delle bande resistenziali; costituiscono bensì pianificati capitoli «della guerra partigiana in Italia, strategicamente condotta dagli alti comandi tedeschi » con «un coerente sistema di ordini teso alla devastazione del territorio e dell’habitat della guerriglia». Insomma, dopo un ordine emanato il 17 giugno 1944 dal feldmaresciallo Kesserling, capo supremo dei nazisti in Italia, si può dire che esistesse un piano preciso dei tedeschi per fare «terra bruciata» nelle zone partigiane, anche uccidendo i civili, in modo da impedire del tutto la sussistenza in loco dei ribelli. In questo quadro, vari altri «miti» o comunque vulgate storiche intorno a Marzabotto sono sottoposti a revisione dal nuovo saggio. Ad esempio la circostanza che, almeno il primo giorno del rastrellamento su Monte Sole, i partigiani della brigata locale «Stella Rossa » abbiano opposto strenua resistenza: una versione che i gerarchi nazisti sostennero in tutte le deposizioni post-belliche, anche amplificando a dismisura le perdite subìte, per «giustificare» la loro reazione sui civili. Baldissara e Pezzino sostengono infatti che solo per caso i tedeschi si imbatterono fin dal primo mattino nel comandante partigiano Mario Musolesi «Lupo», che infatti rimase ucciso nello scontro, ma che «è difficile credere che in quei due giorni si siano svolti accaniti combattimenti», anche perché – contrariamente a quanto si crede – le truppe di Reder «non cercavano mai lo scontro diretto», anzi «si limitarono a rispondere al fuoco partigiano, senza cercare in alcun modo di conquistare le postazioni» avversarie. Infatti la brigata ribelle ebbe una ventina di perdite soltanto, forse meno, perché quasi subito riuscì a sganciarsi e ad allontanarsi dal luogo. Spuntano peraltro responsabilità diverse a fianco di quella di Reder, sorta di «capro espiatorio » dell’eccidio; spiccano i nomi del tenente colonnello Ekkehard Albert «personaggio chiave di queste vicende, che incredibilmente è riuscito a passare indenne attraverso i processi del dopoguerra», e del maggiore Helmut Loos, la cui figura fu stranamente occultata dai suoi colleghi durante i vari interrogatori giudiziari successivi; il primo fu l’autore di dettagliate cartine su cui condurre l’assalto, il secondo era il responsabile dell’intelligence che coordinava la lotta ai partigiani e dunque il coordinatore dell’intera operazione. Reder invece – benché «ovunque fosse passato, la popolazione civile era stata investita da un’ondata di terrore » – comandava 'soltanto' un battaglione di SS, molto autonomo e spietato sì ma tuttavia sottoposto al comando di divisione e quindi al tenente generale Max Simon (tra l’altro, non si è ancora stabilito se a Marzabotto Reder fosse responsabile solo dei suoi uomini, oppure di tutte le forze in campo).Novità di non poco conto, come si vede; ma tutto lo svolgersi dell’azione viene sistematicamente riveduto nel corposo saggio, soprattutto in riferimento al più importante lavoro finora disponibile: Marzabotto e dintorni 1944 del parroco di Sasso Marconi don Dario Zanini (Ponte Nuovo editrice 1996, pp. 720). Ancora qualche particolare: ad esempio il ruolo delle truppe russe – prigionieri aggregati all’esercito tedesco –, che sarebbe da ridimensionare, così come «la leggenda della presunta uccisione del comandante Lupo da parte di alcuni partigiani» comunisti. Si vorrebbe sapere di più invece sui motivi – che gli autori non documentano oltre – per cui «si possono avanzare fondati dubbi » sul fatto che don Giovanni Fornasini, uno dei 5 sacerdoti trucidati a Marzabotto, «sia stato effettivamente ucciso da tedeschi». Baldissara e Pezzino non accettano soprattutto l’impianto «anti-partigiano» di don Zanini, incline ad attribuire ai ribelli – prima – la responsabilità di aver attirato la rappresaglia e – poi – un mancato intervento a difesa delle popolazioni civili; «I partigiani si possono giudicare impreparati a misurarsi con la strategia distruttiva dei tedeschi – scrivono i due storici pisani –, e certamente mostrarono di esserlo. Ma che la stessa inadeguatezza riguardasse i civili (infatti solo gli uomini si nascosero, donne e bambini restarono invece ad attendere il rastrellamento, convinti di non correre rischi, ndr) rappresenta il sintomo evidente che il massacro di Monte Sole fino al 29 settembre 1944 era ancora un evento inimmaginabile. Di fronte al quale, dunque, in nessun caso era facile stabilire quale fosse il giusto comportamento umano e individuale, prima ancora che militare e collettivo».