giovedì 22 agosto 2024
Né romanticismo né materialismo. Teso tra le ragioni dell’anima e della scienza, il percorso dell’autrice spagnola incrocia diverse discipline nel tentativo di indagare la vita
Maria Zambrano

Maria Zambrano - Illustrazione di Massimo Dezzani

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Pubblichiamo alcune pagine della postfazione di Massimo Cacciari al volume Poesia e filosofia (Morcelliana, pagine 358, euro 30,00) che riunisce per la prima volta insieme due capisaldi del pensiero di Maria Zambrano, entrambi del 1939: Filosofia e poesia e Pensiero e poesia nella vita spagnola.

Di un saber sobre el alma (sapere che è sàpere, sapere sapidus, sapere che nutre e che ha sapore) è alla ricerca la filosofia di María Zambrano. Come è possibile sapere l’anima? Anima, psychè, indica il principio che rende animato un essente. Vi è però un essente inanimato? Come potremmo affermarlo dal momento che constatiamo che ognuno è dotato di movimento? Vi sarà dunque un’anima universale. Generata o ingenerata? Se ingenerata essa finisce con l’identificarsi a physis: physis è “ciò” che perennemente genera e rigenera, non l’insieme dato degli essenti, ma, appunto, il Principio che dà loro la vita e mantiene in vita il Tutto. Se generata, sarà Natura naturans a generarla, come suo primo nato. Daremo il nome di anima soltanto a quella specifica facoltà dell’ente animato che consiste nel logos? Inanimato sostanzialmente tutto - animato soltanto l’ente dotato di logos. Questo l’errore o il peccato originale in cui è incorsa e potrebbe sempre tornare a incorrere la metafisica. Ma errore complementare e opposto è quello di confondere i due piani o, peggio, di subordinare al semplice essere animato, ai meccanismi che ne spiegano i movimenti, quella facoltà che caratterizza esclusivamente la nostra specie.

La dimensione della psychè è irriducibile a quella biologica, insiste ovunque la Zambrano. Ma, a un tempo, essa neppure è trattabile in una chiave semplicemente “sentimentale”. Né materialismo, né Romantik. Occorre cercare le ragioni dell’anima. È la linea pascaliana: il cuore sente e parla, è pathos e logos. Ciò che esso sente può essere espresso in forme coerenti, dotate di una propria esattezza. Un esempio? De l’amour di Stendhal (noi aggiungeremmo: la Terza parte dell’Uomo senza qualità). Quale dogma impone di separare astrattamente nella psychè la dimensione dell’intelletto calcolante, come la sola capace di dire con precisione, da un’altra che sarebbe invece il dominio di un cuore capace soltanto di un vago intuire, di un balbettante far segno, di un confuso immaginare?

La filosofia, il linguaggio cioè con cui l’Occidente ha affrontato il problema della relazione interna all’unità della physis tra conoscente e conosciuto, e che si esprime essenzialmente proprio intorno al problema della psychè, è però in grado di intendere queste ragioni del cuore? La potenza della filosofia, in quanto episteme, non presuppone proprio una sorta di rinuncia - dolorosa magari, addirittura eroica, sembra a volte definirla la Zambrano - a volerle affrontare? Un oceano tempestoso - per riprendere l’immagine kantiana - abbraccia l’isola dell’intelletto, la sua capacità di giungere a giudizi determinanti. L’esercizio del logos costringe a tenersene lontano. Ma quell’oceano è anche la stessa vita, la stessa indefinibile molteplicità di esperienze che il soggetto compie nel cercare se stesso in uno con il suo indagare l’essenza dell’ente in quanto tale. Che significa questo? Che la filosofia non riesce a giustificarsi di fronte alla vita.

Non soltanto le correnti positivistiche, lo stesso idealismo tedesco avevano sollevato il problema complementare e opposto: la filosofia non sa giustificarsi di fronte alla scienza, al vero sapere. La filosofia contemporanea - se ancora così vogliamo chiamarla - trova origine da questo dubbio radicale, nella sua duplice espressione: essa sembra non trovare giustificazione né presso il “tribunale” dall’intelletto scientifico, né presso quello del cuore pulsante della vita. La filosofia è così chiamata a oltrepassarsi. Il pensiero della Zambrano appartiene al drammatico contesto di una Philosophie am Ende, che, con accenti e fini anche opposti, accomuna diverse e decisive correnti del pensiero contemporaneo. La filosofia - sembra affermare la Zambrano - segue dalle origini una via, quella della comprensione sistematica dell’essente, per definirne la ragione sufficiente, così da poterlo comprehendere, misurare nei suoi aspetti e, alla fine, disporne interamente secondo le finalità che l’intelletto stesso ha progettato e vuole realizzare. Anche la dimensione dell’anima viene affrontata secondo questa prospettiva. Occorre astrarre dalla complessità delle sue espressioni individuali se vogliamo conoscerne il reale funzionamento, così come occorre astrarre dai sensi per giungere alla definizione di leggi della natura. È questo il compito della psicologia scientifica, cui si potrebbe associare quello di una filosofia “pedagogica”, che si offre come guida per vincere quegli affetti o passioni che rendono arduo o impediscono il lavoro del concetto.

Su questa tradizione in cui interrogazione sui fondamenti della conoscenza, psicologia scientifica, etica si compongono i grandi sistemi, si impianta l’intera civiltà europeo-occidentale. Nessuno lo riconosce quanto la Zambrano. Ma ciò comporta l’indiscusso primato dell’Ego cogito, della coscienza. Qui sta l’errore - poiché l’Ego cosciente non potrà mai superare l’in-conscio vivente e profondo. L’Io reale è sempre quello di un pòlemos tra la volontà di “trascendersi” verso una integrale comprensione del Sé e il permanere del proprio fondo abissale, o s-fondo, da cui pure proviene, ma che nessun kategorèuein, nessun giudizio apofantico potrebbero “risolvere”. La Zambrano condivide il dubbio radicale sulla autonomia della coscienza che percorre l’intero pensiero contemporaneo dopo la crisi dei grandi sistemi dell’idealismo segnata da opere come quelle di Nietzsche o di Freud, ma l’angoscia che da questo dubbio scaturisce si orienta in un senso opposto a quello di una filosofia risolta in ermeneutica o in de-costruzione della propria storia o, ancora, nell’affermazione di un compiuto nihilismo. La crisi può trovare risposta, non soluzione, in un pensiero che positivamente esprima l’analogia profonda, essenziale tra filosofia, poesia e religione.

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