venerdì 12 gennaio 2024
Il regista, racconta il suo ultimo film, "Il punto di rugiada" (nelle sale il 18 gennaio): un confronto generazionale tra due giovani e gli ospiti di una casa di riposo
L'attore Gigi Diberti, uno dei protagonisti del film "Il punto di rugiada" di Marco Risi, nelle sale dal 18 gennaio

L'attore Gigi Diberti, uno dei protagonisti del film "Il punto di rugiada" di Marco Risi, nelle sale dal 18 gennaio

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Marco Risi più invecchia e più somiglia a suo padre Dino, compresa la stessa folta chioma candida, come una nevicata al Sestriere, che ne fa entrambi i sosia dell’Avvocato. « Non sa quante volte a mio padre l’hanno scambiato per Gianni Agnelli, e lui si divertiva tanto a reggere la parte», dice Marco. L’ultima volta che c’eravamo sentiti con Risi junior erano i giorni cupi e prigionieri della pandemia, in cui, chiuso nella sua casa romana ricordava il padre Dino (1916-2008), il maestro della commedia all’italiana, dalle pagine della biografia Forte respiro rapido (Mondadori). Titolo tratto dalle ultime parole annotate da Risi senior nel suo taccuino. Erano anche i giorni in cui Marco stava progettando il nuovo film che il 18 gennaio esce nelle sale, Il Punto di rugiada. «E stavolta il titolo me lo ha suggerito Pierluigi, un avventore del ristorante Al Padovano che frequento. Se ne è uscito con “sono preoccupato per il punto di rugiada”» alludendo al tempo atmosferico. Metafora esistenziale che in fisica indica la temperatura a cui deve essere portata l’aria per far condensare in rugiada il vapore d’acqua in essa presente, senza alcun cambiamento di pressione. La citazione scientifica non tragga in inganno, Il punto di rugiada non è un film alla Oppenheimer, ma un racconto tenero e “melancomico”, secondo la cifra stilistica della nobile stirpe cinematografica dei Risi. Una riflessione di profonda leggerezza sul senso del percorso umano e sulla terza età che, senza giri di parole, Marco Risi evita, «per principio», di indicare con il termine anziano rispolverando il più scorretto e desueto aggettivo di “vecchio”. «Sì perché vecchio presuppone che quell’uomo andando avanti con l’età diventerà anche il “saggio” della famiglia». Questa storia, allora, è ambientata in una casa di riposo elegante: « Ma ho visitato diversi istituti e ho scelto questa residenza confortevole che somiglia a una vista ad sulla Colombo (a Roma, ndr), mentre ad Aprilia ne ho visitata una con i vecchi sloggiati dai figli, vengono abbandonati a se stessi », precisa Marco che 11 mesi fa, è diventato anche nonno, per la prima volta, di Matilda. E così, la ripresa del nostro dialogo porta su altri possibili set e infiniti scenari dalle atmosfere, forse, irripetibili.

Perciò per non perdere il filo conviene partire dall’ultimo set, quello de Il punto di rugiada.

È una storia sul tempo che passa e quello che resta da vivere, e anche sul tempo meteorologico. A un certo punto nevica e allora tutti i vecchi della casa tornano bambini. Uno di loro si apparta per provare quel gusto infantile dimenticato: fare pipì sulla neve per rivedere i buchini gialli e il fumo che sale su, con tutti i ricordi della sua infanzia.

È la scena di Eros Pagni, il colonnello Pietro, uno dei protagonisti maschili del film, in cui c’è anche Dino.

Li ho chiamati tutti con i nomi dei geni del nostro cinema. Massimo De Francovich è Dino. Somiglia molto a mio padre, è un uomo caustico, sarcastico, severo, di quelli che capiscono sempre le persone come sono, perché sanno pesarle, senza sbagliare di un grammo. Molte delle cose della sua stanza stavano in quella del residence Aldrovandi, dove mio padre ha vissuto fino alla fine. Come gli album delle foto. Ogni Natale papà ci regalava le sue opere d’arte. Faceva dei collage incollando le nostre facce ai busti di personaggi famosi, tipo Gheddafi, il generale Schwarzkopf o il Presidente Sandro Pertini, mettendoci didascalie scritte a mano, sempre molto divertenti. A Pierluigi gli avevo proposto il ruolo di Mario, come Monicelli, ma le sua mani da pianista hanno cominciato a deformarsi e non ha potuto accettare e così il ruolo è passato a un altro attore non professionista. Gigi Diberti è Federico, omaggio a Fellini: ha l’Alzheimer, è un poeta e per ricordarglielo gli leggono le sue poesie. Ma Sotto i colpi e I lupi sono poesie scritte da mio zio, Nelo Risi.

Il fratello di suo padre e marito della scrittrice ebrea ungherese scam-pata ad Auschwitz, Edith Bruck. Sua zia è anche autrice del bel libro scritto sul Papa, Sono Francesco (La Nave di Teseo).

Lo zio Nelo è stato uomo di cinema, io ho esordito come suo aiuto regista nel 1971 in Una stagione all’inferno, ed è stato un grande poeta, anche se mio padre se ne accorse solo verso la fine. Un giorno se ne uscì quasi commosso: «Ma lo sapete che ho letto le poesie di Nelo... sono davvero belle». A mio zio quel complimento lo emozionò al punto da confessarci: «Ma lo sapete che Dino per la prima volta mi ha detto bravo...». Zia Edith è una donna straordinaria, quel giorno dell’incontro con il Papa a casa sua, in via del Babuino, c’ero anch’io, e non ho potuto fare a meno di chiedere a sua Santità: ma lei conosce il film Il sorpasso? ». E lui ridendo mi fa: «Come no, tutte quelle curve!». Pensavo a una risposta di circostanza, poi però ho riflettuto, in effetti in Argentina le strade sono tutte dritte e quei tornanti in cui sfreccia la Lancia Aurelia di Gassman a papa Francesco lo avevano colpito molto…Mia zia poi, che da anni con monsignor Vincenzo Paglia si occupa degli anziani indigenti, gli disse che stavo preparando un film sui vecchi in un ospizio e congedandosi, dopo aver detto «mi sono sentito come in famiglia», mi ha salutato dicendo: «Quando è pronto il suo film lo vedrò volentieri».

E allora la prossima settimana una copia de Il punto di rugiada potrebbe arrivare in Vaticano. Ma come nasce l’idea di questo film che rimanda a Primo amore , girato da suo padre nel 1978, e ambientato anch’esso in una casa di riposo per attori in pensione?

Sì ma lì tutto è incentrato sulla storia di Picchio (Ugo Tognazzi) che si innamora della giovane inserviente (Ornella Muti). Il punto di rugiada me lo ha ispirato lo scrittore Enrico Galiano che aveva fatto il servizio civile in una casa di riposo e allora ecco che ho messo i due giovani volontari, Carlo (Alessandro Fella) e Manuel (Roberto Gudese), i quali per i reati commessi (uno ha sfregiato una ragazza in un incidente stradale) sono stati affidati dai servizi sociali all’assistenza di questo gruppo di vecchi…

Due generazioni a confronto, cosa esce fuori da questo incontro?

Nella scena del Natale nell’ospizio, c’è un salto tra il colore e il calore umano del tavolo dei vecchi, rispetto al grigiore e la freddezza che pervade la tavolata della famiglia allargata di uno dei due ragazzi. Sono due mondi paralleli e dai dialoghi emerge che il tavolo dei più giovani non ha più memoria, mentre i vecchi la memoria non solo la custodiscono come il bene più prezioso che ancora possiedono, ma sanno raccontarla. La cosa interessante è proprio il confronto e la prospettiva tra chi è vecchio e ha pochi anni ancora da vivere e chi invece pur avendo tanto tempo davanti lo spreca. Ma questo incontro ai due giovani offre l’opportunità di capire meglio certe sfumature della vita e di apprezzare la schiettezza di chi, in quanto vecchio, non ha paura di dire le cose come stanno.

Un inno alla verità, alle relazioni reali e non virtuali.

I due giovani appena finiscono il turno non vedono l’ora di riaccendere i cellulari, è la loro dipendenza. I vecchi, specie quelli di una volta, così come quelli del film, ti spiattellano la verità e lo fanno anche a muso duro. Oggi la verità è filtrata da questo patetico politicamente corretto che sta falsando i rapporti, anche in famiglia… Così spesso un giovane si sente già vecchio e spento e nel confronto generazionale o scappa nella cameretta isolandosi con il suo cellulare, oppure si fa sedurre dal vitalismo del vecchio Pasquale.

Pasquale è il personaggio interpretato da quel talentaccio di Maurizio Micheli, forse non sempre valorizzato a dovere dal nostro cinema…

Concordo e infatti per Maurizio Micheli ho fatto anche l’unica regia teatrale: Il contrabbasso di Patrick Süskind che presentammo al Festival di Spoleto. Non gli ho dato il nome di un regista, ma quello del papà di Monica Bellucci, Pasquale, un umbro molto simpatico che ha l’aurea dell’eterno seduttore. Un grande attore Micheli, così come eccezionali sono le mie attrici: Erika Blanc che recita la parte di una signora elegante, con e senza dentiera, affascinata dalla lettura delle carte, Ariella Reggio che interpreta la moglie di un disperato perché lei non ricorda che sono sposati e quindi le chiede di risposarla. E poi c’è Elena Cotta, 92enne alla quale quando in una scena ho chiesto se se la sentiva di salire degli scalini con una valigia, neanche vuota, mi ha risposto seccata: «Ma tu mi offendi, io devo saper fare tutto!».

Teatranti straordinari, ma che al cinema sono arrivati inseguendo la scia gloriosa dei “mattatori”: Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi. Ma come sono state le loro vecchiaie?

Io ho avuto la fortuna di viverli tutti intensamente e di vederli invecchiare da vicino. A 14 anni preferivo tornare a casa per ascoltare i loro discorsi in salotto con mio padre, piuttosto che stare con gli amici, perché anche quando parlavano, di qualsiasi argomento, rimanevo affascinato dal loro modo di raccontare, che era unico. Forse solo Sordi si è spento serenamente. Gassman se l’è portato via la depressione: Vittorio gli ultimi tempi era come un uccello che fissava la parete della stanza da letto… Tognazzi non amava Nino Manfredi e allora mio padre quando giravano un film gli faceva spesso lo scherzo dell’autografo: chiedeva alle comparse di domandare l’autografo a Ugo e poi una volta ottenuto lo dovevano salutare con un «grazie signor Manfredi». Come si arrabbiava... – sorride divertito - . Ironia della sorte, Tognazzi ha smesso di vivere quando dopo un “colpetto” il medico gli disse: «Caro Tognazzi è finita la bella vita eh? Le donne, le cene, i viaggi…». Quel medico si chiamava dottor Manfredi.

Una scena degna dei film dei mostri sacri della regia: Dino Risi, Mario Monicelli, Ettore Scola. La loro vecchiaia invece come è stata?

Papà se l’è vissuta bene, ma come tutti gli uomini di cinema iniziano a crollare nel momento in cui non fanno più film. Quando Monicelli a 90 anni va a girare Le rose del deserto, beh papà provò una certa invidia... Scola era meno cinico e più pacato rispetto a loro due, e anche per questo motivo quando mio padre mi sentiva ragionare in una certa maniera non mancava di sottolineare: «Marco per favore, non “scoleggiare”».

Sintesi perfetta del proverbiale “cinismo” risiano.

Sì ma era anche quell’attenzione alla vita tipica degli uomini della sua generazione, nati agli inizi del ‘900, e che adesso manca nei genitori e nei nonni. Quando tornavo a casa e avevo visto un film, mio padre subito incalzava: «Dai racconta». E io sapevo che dovevo raccontarlo bene in modo da appassionarlo… Se nei primi 10 secondi lo colpivo, allora potevo andare avanti. Poi chiosava: Marco ricorda, un bel film è solo quello che riesci a raccontare su una cartolina».

Proviamo allora a chiudere la cartolina de Il punto di rugiada.

Proprio oggi, mia zia Edith (Bruck) mi ha raccontato che dopo aver visto il mio film Fortàpasch con lo zio Nelo stavano andando al residence a portare da mangiare a Dino, quando il portiere li accoglie turbato: «Il dottor Risi oggi non è sceso, non si sente bene». Allora salgono di corsa, trovano la porta socchiusa e mio padre sdraiato sul divano. Teneva ancora in mano un libro di poesie di Nelo… la mano era fredda. Tre giorni prima era venuto sul mio set a Castelvoturno e la sera avevamo mangiato insieme alla troupe, poi, tornato a Roma aveva smesso di mangiare, era stanco di vivere. Allora io lo spronavo e mi comportavo come il giovane del film che dice a Dino (De Francovich): «Se non vuoi farlo per te, fallo per me!». Quella è stata l’unica volta in cui il suo pensiero rapido ci ha pensato un minuto di più, poi mi ha risposto: «Tu pensa al tuo film». Il Dino de Il punto di rugiada risponde al ragazzo: «Tu pensa alla tua vita». In quella risposta c’è la firma della mia cartolina e credo anche quella delle più belle cartoline ricevute, e che ricevo ancora idealmente, dalle persone più care.

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