Una scena della fiction di Rai 1 "Mameli - Il ragazzo che sognò l'Italia"
Mameli espugna la roccaforte televisiva del Grande Fratello. La prima puntata della miniserie di Rai1 Mameli - Il ragazzo che sognò l'Italia è stata vista ieri 4.247.000 spettatori e il 23.5% di share, ben quasi due milioni di spettatori in più del Grande Fratello su Canale 5, visto da 2.407.000 spettatori e il 18.3% di share. Questa sera la seconda ed ultima puntata in prima serata su Rai 1 con Riccardo De Rinaldis Santorelli nei panni dell’autore del testo del Canto degli Italiani, morto sulle barricate della Repubblica Romana a soli 21 anni.
Mameli cavalca l’onda alta di Sanremo, presentato dai registi Luca Lucini e Ago Panini come la popstar del Risorgimento a formare una coppia col musicista Mario Novaro che neanche Battisti-Mogol, con i fan che gli chiedono l’autografo sui volantini col testo del brano. A parte qualche scivolata oleografica, con tanto di giovane contessina che si accoltella per amore, la fiction prende corpo e interesse quando ricostruisce l’epoca esaltante degli anni dal ’47 al ’48 con giovani come Mameli, Bixio and friends che sognano un’Italia finalmente unita, perché, come recita il testo “noi fummo da secoli /Calpesti e derisi /Perché non siam popolo / perché siam divisi”. Il Canto degli Italiani divenne popolarissimo all’epoca, intonato su tutte le barricate del Risorgimento, fischiettato pure da Giuseppe Garibaldi, ma divenuto sorprendentemente inno ufficiale “de iure” della Repubblica Italiana solo nel 2017.
Ma qual è la vera storia del Canto degli Italiani? Il brano, una marcia popolare in si bemolle maggiore, conosciuto anche come Inno di Mameli e Inno d’Italia ma popolarmente detto Fratelli d’Italia ha conosciuto alterne fortune nel corso dei decenni.
Il genovese Goffredo Mameli fervente mazziniano dedicò la sua vita di poeta-soldato alla causa dell’Unione d’Italia. Compose quindi Il Canto degli Italiani nell’ottobre del 1847 quando è ancora uno studente ventenne. Mameli si ispira alla Marsigliese, l’inno francese: in particolare un passaggio, “stringiamoci a coorte” richiama il verso “Formez vos bataillon” della Marsigliese che significa “Formate i vostri battaglioni”. Un inno in sei strofe in cui molti sono i riferimenti storici e mitologici, di cui nelle ufficialmente oggi si eseguono solo le prime due strofe. Anche se la strofa più toccante forse è la terza: «Uniamoci, amiamoci, / l'unione e l'amore / rivelano ai popoli / le vie del Signore; / giuriamo far libero / il suolo natio: / uniti per Dio, / chi vincer ci può!?».
Goffredo Mameli inviò lo scritto a Torino a un altro genovese per musicarlo, il 29enne Mario Novaro che, come racconta egli stesso preso dall’entusiasmo si mise al clavicembalo e decise di comporre una marcia che possa essere cantata da tutti facendola ascoltare a casa sua a un circolo di giovani amici patrioti.
Il debutto pubblico de Il Canto degli Italiani avvenne il 10 dicembre del 1847 a Genova (come si vede anche nella fiction), quando sul piazzale del santuario di Nostra Signora di Loreto del quartiere di Oregina, venne presentato alla cittadinanza in occasione di una commemorazione del centenario della rivolta del quartiere genovese di Portoria contro gli occupanti asburgici durante la guerra di successione austriaca. A suonarlo per la prima volta in una cerimonia pubblica fu la Filarmonica Sestrese.
Essendo il suo autore notoriamente mazziniano, il brano venne proibito dalla polizia sabauda dal marzo1848: la sua esecuzione venne vietata anche dalla polizia austriaca, che perseguì pure la sua interpretazione canora – considerata reato politico - sino alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Con il passare del tempo, l'inno fu sempre più diffuso e venne cantato quasi in ogni manifestazione, diventando uno dei simboli del Risorgimento, grazie alla sua orecchiabilità. “Fratelli d’Italia” intonavano i rivoltosi delle 5 Giornate di Milano nel 1848, i volontari della Repubblica Romana nel 1849, i soldati durante la Prima (1848-49) e la Seconda Guerra di Indipendenza (1959) insieme al Va pensiero di Verdi ed era uno dei brani più cantati durante la spedizione dei Mille (1860).
Ma una volta raggiunta l’Unità d’Italia nel 1861 come inno del Regno d’Italia venne scelta la Marcia Reale, brano ufficiale di Casa Savoia. Il Canto degli Italiani, di chiara connotazione repubblicana e giacobina, mal si conciliava con l’esito del Risorgimento che fu di stampo monarchico.
Ma Il Canto degli Italiani resisteva come simbolo di unità nazionale anche durante la Terza Guerra di Indipendenza (1866) e pure intonato dalla fanfara dei bersaglieri durante la presa di Roma del 20 settembre 1870 insieme alla Bella Gigogin.
Con l’evolversi dei tempi all’Inno di Mameli vennero preferiti altri canti più legati alla quotidianità finché, grazie ai suoi riferimenti al patriottismo e alla lotta armata, tornò ad avere successo nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, anche se in seguito gli sarebbero stati preferiti, in ambito patriottico, brani di maggiore stampo militare come La leggenda del Piave.
Dopo la marcia su Roma del 1922 assunsero grande importanza i canti prettamente fascisti come Giovinezza, mentre i canti risorgimentali venivano tollerati. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo stato italiano adottò provvisoriamente come inno nazionale, in sostituzione della Marcia Reale, La canzone del Piave. In questo contesto Il Canto degli Italiani, insieme agli altri canti risorgimentali e alle canzoni partigiane, tornò a riecheggiare nell'Italia meridionale liberata agli alleati e nelle zone controllate dai partigiani, con un buon successo negli ambienti antifascisti.
Finita la guerra per la scelta dell'inno nazionale si aprì un dibattito che individuò, tra le opzioni possibili: il Va, pensiero dal Nabucco di Verdi, il Canto degli Italiani, l'Inno di Garibaldi, la conferma della Canzone del Piave oppure la stesura di un brano musicale completamente nuovo. La classe politica dell'epoca approvò poi la proposta del ministro della guerra Cipriano Facchinetti, che prevedeva l'adozione del Canto degli Italiani come inno provvisorio dello Stato il 12 ottobre 1946. La Costituzione, entrata in vigore nel 1948, sancì infatti, nell'articolo 12, l'uso del Tricolore come bandiera nazionale, ma non stabilì quale sarebbe stato l'inno. Negli anni ’50 iniziò il dibattito sull’Inno nazionale che nell’atmosfera del ’68 fu oggetto di vera avversione anche per il concetto di Patria e di lotta armata, bollato dalla sinistra anche negli anni 70 come retorico e a più riprese messo in discussione per cambiarlo.
Fu il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dal 1999 al 2006, a rimettere le cose nella giusta ottica e ad attivare un'opera di valorizzazione e di rilancio del Canto degli Italiani come uno dei simboli patri italiani. E fu lui a convincere i giocatori della Nazionale di calcio a cantarne le parole durante l'esecuzione degli inni nazionali prima degli incontri sportivi, a partire dal Mondiale 2002. Quindi dobbiamo a Ciampi se oggi ci commuoviamo intonando l’Inno di Mameli mano sul petto e occhi lucidi per ogni sportivo italiano su un podio. Opera di valorizzazione proseguita dal suo successore Napolitano.
Nei decenni si sono susseguite varie iniziative parlamentari per renderlo inno nazionale ufficiale, fino a giungere alla legge nº 181 del 4 dicembre 2017, che ha dato al Canto degli Italiani lo status di inno nazionale de iure.