mercoledì 4 ottobre 2017
Parla Stefano Roncoroni, attento studioso della vicenda e pronipote del fisico siciliano sparito nel nulla il 27 marzo 1938: «È tempo di liberarci di ogni ipotesi di fantapolitica»
Nuove luci sui mistero Majorana
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Verrà il giorno, e forse non è neppure così distante, in cui parlando di Ettore Majorana non si parlerà più di “mistero”, ma di quel “pasticciaccio” intorno alla scomparsa del fisico siciliano. Di certo fino a oggi c’è soltanto la data della sparizione del trentunenne Majorana, avvenuta a Napoli il 27 marzo 1938. Per il resto si continua a brancolare nella stanza delle ombre, la più affollata nel Paese dei misteri e dei casi irrisolti. Centinaia di inchieste, tavole rotonde, trasmissioni televisive (siamo passati dal Chi l’ha visto? della “Domenica del Corriere” agli speciali dell’omonimo programma di Rai 3), pubblicazioni, saggi, docufilm e opere liriche (come quella di Como che presentiamo qui a lato) non hanno mai sgombrato quella stanza dai tanti, troppi punti interrogativi. Chi invece sembra possedere una bussola logica con cui orientarsi nella fitta nebbia delle supposizioni, è il pronipote di Ettore Majorana, Stefano Roncoroni. Il settantasettenne autore e regista televisivo discende dai Majorana per via materna: «Mia nonna Elvira era la sorella del padre di Ettore. E il nonno, Oliviero Savini Nicci, assieme a mio padre Fausto ha preso parte attivamente alle ricerche per rintracciare Ettore». Il più grande “giallo” del Novecento sarebbe a un passo dalla soluzione, se solo si riuscisse ad abbattere le ultime pareti omertose.

Roncoroni sta provando da tempo a picconarle e l’ultimo tentativo è stato il saggio documentatissimo, in attesa di ristampa, Ettore Majorana lo scomparso e la decisione irrevocabile. Un titolo sibillino con quel “e la decisione irrevocabile”. «Ma è ciò che è accaduto – sostiene fermamente Roncoroni –. Majorana aveva deciso di sparire e di non fare più ritorno in società. E questo lo so per aver studiato a fondo il “caso” ma soprattutto per le testimonianze raccolte, in oltre mezzo secolo, all’interno della mia famiglia e tra i parenti più o meno stretti. Mio nonno Oliviero ha ripetuto fino alla fine una frase che sa di sentenza: “La vicenda di Ettore non è finita in modo consono”». Ma per Roncoroni è tempo di liberare il campo da ogni congettura di tipo politico e da suggestioni di spionaggio internazionale. «Quando Majorana decide di sparire era il marzo del 1938 e non c’erano ancora le condizioni per collegare la sua scomparsa a questioni di ipotetiche “conoscenze atomiche” o di choccanti viaggi in Germania, nella Lipsia del suo stimatissimo Heisenberg... Né le sue posizioni ideologiche – qualora ne avesse – potevano arrecare disturbo al regime fascista». La si- tuazione mondiale cambia rapidamente, sin dall’inizio della sua scomparsa con il precipitare degli eventi verso la guerra. I ragazzi di via Panisperna, a cominciare dal loro “leader scientifico” Enrico Fermi, vanno in America. E più volte a Chicago orecchie attente sentirono proferire a Fermi l’invocazione: «Qui ora ci vorrebbe Ettore per risolvere il problema...». «Majorana era un genio assoluto e questo lo sapevano tutti nell’ambiente scientifico. E del genio aveva anche quella sindrome di Asperger [una forma di autismo, nota anche come disturbo pervasivo dello sviluppo, ndr] come denotano certi suoi atteggiamenti istintivi: tipo correggere pubblicamente i calcoli di Fermi... Comunque, nel periodo in cui Majorana si era reso introvabile – per motivi drammaticamente personali – le future nazioni belligeranti – Stati Uniti tra i primi – avevano cominciato una massiccia e selettiva cooptazione dei migliori scienziati atomici. Certamente qualcuno dei suoi vecchi compagni s è ricordato di Ettore Majorana e l’avranno chiamato, ma lui rimase fermo sulla sua decisione irrevocabile di non tornare mai più indietro».

Non avrebbe fatto neppure ritorno a casa, dai suoi a Roma, né all’Università di Napoli dove insegnava e aveva consegnato a una allieva le “ultime lezioni” prima di salutare e salpare per Palermo; e tanto meno avrebbe viaggiato oltreoceano per raggiungere Fermi. «Non lasciò mai l’Italia, al massimo arrivò a Merano», puntualizza Roncoroni. «Il fisico assoluto», come l’ha chiamato Etienne Klein, non era rimasto alla macchia né aveva raggiunto il Sudamerica sotto la nuova identità del “signor Bini”, come si legge in La seconda vita di Majorana (Chiarelettere) di Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini. «Nessuna seconda vita in Venezuela. Ed è assolutamente da scartare la storia che piace tanto a chi ama cavalcare l’ipotesi fascinosa del Majorana depositario di “segreti atomici” che facevano gola tanto alla Germania nazista quanto agli americani. Le ragioni della sua decisione di scomparire sono semplicemente di carattere personale. Mentre invece le cause della sua morte, che avvenne prima del settembre 1939, vanno ricercate esclusivamente al di fuori della sua sfera privata. Tutto il contrario di quanto è stato fatto sinora». Roncoroni ha la certezza del decesso di Majorana assai prima di quel “dopo il 1959” vagheggiato da più fonti. «Tutti in famiglia sapevano della sua fine avvenuta nel ’39 e che non è stata naturale ma violenta. Le prove? Forse è tempo che si indaghi la pista del “fuoco amico” piuttosto che appassionarsi a seducenti scenari di fantapolitica... Anche sulla omosessualità di Ettore Majorana non si può più tacere né negare le evidenze. Non ha mai avuto nessuno dei flirt che gli sono stati attribuiti con delle donne. E non è un caso che mio nonno Oliviero, quando si trattò di chiedere aiuto alle autorità investigative, non si rivolse al capo della polizia fascista Arturo Bocchini, bensì al suo vice Carmine Senise, le cui inclinazioni erano note anche al Duce il quale sapeva della convivenza con il compagno di vita, Leopoldo Zurlo, il capo della censura cinematografica e teatrale».

Stando alla meticolosa ricostruzione di Roncoroni, quando Majorana lascia Napoli e si imbarca per Palermo fa poi ritorno a Napoli e a quel punto approfitta dell’ospitalità del professor Antonio Carelli che gli offre la sua casa cilentana a Perdifumo (Salerno). «Qui, in questo paesino fuori dal mondo, per un mese soggiornarono anche i fratelli di Ettore, Luciano e Salvatore, con tanto di fattore arrivato da Monte Porzio Catone, e questi fecero di tutto per convincerlo a tornare a casa. Ma non ci riuscirono». Dei tentativi vani, Roncoroni seppe dal padre Fausto che in qualità di architetto responsabile dei restauri delle diocesi di Calabria fece un avventuroso viaggio in auto assieme a Salvatore Majorana. «Un giorno intero, tanto durava allora un viaggio da Roma fino a quei villaggi calabresi terremotati, a parlare con Salvatore che confidò a mio padre tutti i problemi che avevano con Ettore e probabilmente lo informò anche di come erano riusciti a nasconderlo per tutto quel tempo». La polizia fascista secondo Roncoroni «non poteva non averlo ritrovato. Chiuse semplicemente un occhio dinanzi a quella famiglia influente, che si poteva permettere una ricompensa di trentamila lire a chiunque avesse ritrovato Ettore, e archiviò il caso in fretta e furia». Lo scienziato, «il genio immaturo» come si autodefinì a ventun anni lo stesso Majorana, doveva essere rintracciato a ogni costo per volere di Benito Mussolini in persona e alla fine, secondo Roncoroni, così fu.

La sparizione rimase tale per Leonardo Sciascia e tutta la nutrita schiera che, oggi come allora, insistono sulla “misteriosa scomparsa di Majorana”. «Si è sempre detto che Ettore poteva essersi ritirato in convento e forse per un periodo in Calabria soggiornò in quello dei certosini di Serra San Bruno, come è quasi certo che venne ricoverato nel sanatorio di Chiaravalle Centrale. Il gesuita padre Ettore Caselli, nella lettera del 22 settembre 1939, che è in mio possesso, parla di Ettore appellandolo come “il compianto ... il caro estinto”. Sciascia sapeva, come tutti in seno alla mia famiglia, che Ettore era morto e che aveva avuto degna sepoltura. Quello che manca ancora all’appello è il “tesoretto”: i suoi scritti scientifici e personali». De La scomparsa di Majorana di Sciascia, Pier Paolo Pasolini disse: «Non è un’indagine ma la contemplazione di una cosa che non si potrà mai chiarire». Ma invece, forse il mistero è a un passo dalla soluzione.

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