venerdì 11 giugno 2021
Il cantante pubblica il nuovo album “Ghettolimpo” e racconta la sua vita dopo la vittoria di Sanremo nel 2019. «Ho rischiato di essere travolto. Ma ho tenuto i piedi per terra grazie a mia madre»
Il canta te Mahmood pubblica il suo nuovo album Ghettolimpo

Il canta te Mahmood pubblica il suo nuovo album Ghettolimpo

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«Questo disco è molto personale, ho voluto mettervi dentro tante mie radici. Ho dato giusta forma alla mia radice sarda, che m’ha cresciuto e bene. Ed anche recuperare le origini egiziane. Perché il successo può essere pericoloso se non lo sai gestire». Il milanesissimo Alessandro Mahmood a 29 anni fa il punto, nel nuovo disco Ghettolimpo in uscita oggi per Universal, di due anni passati sull’ottovolante: «E’ successo tutto in modo inaspettato». Dal lavoro come barista nella sua Gratosoglio, periferia Sud di Milano, alle lezioni di canto al Cpm di Franco Mussida, da Sanremo Giovani alla vittoria a sorpresa al Festival 2019 con quella Soldi dedicata al difficile rapporto col padre, arrivata seconda all’Eurovision Song Contest, che con 100 milioni di streaming è la canzone italiana più ascoltata di sempre su Spotify e Apple music.

La pandemia non ha fermato però un successo travolgente per Mahmood che ha azzeccato una hit dopo l’altra ( Calipso, Barrio – 80 milioni di visualizzazioni su Youtube –, e poi Dorado, Inuyasha, Rapide contenuti nel nuovo album, senza contare i brani scritti per altri) grazie ai suoi testi e alle collaborazioni con i più lanciati produttori del momento. Facendo due conti il cantautore ha collezionato nel giro di un paio d’anni 15 dischi di platino, 6 dischi d’oro e oltre 400 milioni di streaming. Ma Mahmood, nonostante gli studiatissimi video che ne propongono l’immagine da duro del ghetto, è rimasto il simpatico ragazzo della porta accanto, cosa non scontata. «Dopo Eurovision la percezione di me è stesso cambiata – spiega il cantante e autore –. Ho passato momenti difficili dopo il successo di Sanremo: c’era di che destabilizzarsi, ma sono cose che mi fortificano, sai che devi lavorare su te stesso. Il successo può dare alla testa, ma come esempio ho sempre guardato a mia madre».

Mahmood per mettere a fuoco la sua vita ha deciso da ripartire dalla sua infanzia e dalla sua passione per la mitologia greco-romana, aprendo il disco con la filastocca Dei che cita Poseidone, Atena, Zeus e Venere. «Passavo le ore a sfogliare l’enciclopedia per bambini che avevo da piccolo, fra quelle pagine ho scoperto un mondo fatto di miti e storie favolose che amo ancora oggi ». Da qui il titolo dell’album e dell’omonimo brano Ghettolimpo che sulla copertina riporta Mahmood che si specchia nell’acqua come un moderno Narciso, vedendo riflesso però un altro sé quasi demoniaco. «Ciò è legato al periodo in cui mi guardavo allo specchio e non mi piacevo» racconta svelando le proprie insicurezze. Un disco che racconta vite sospese tra il ghetto e l’Olimpo, appunto «come stessero nell’Ade, un mondo di persone che sono una via di mezzo tra l’alto e il basso, ma cercano di dare un senso alla propria vita. Anche io sto nel mezzo. Quando scrivo mi sento immortale, mentre nella vita normale mi sento più attaccabile, vivo paure e paranoie». Anticipato dal singolo Inuyasha( Disco di platino), Klan e la significativa Zero, colonna sonora della serie di Netflix sugli italiani di seconda generazione, Ghettolimpo ospita un duetto con Elisa e con Woodkind, e coinvolge produttori di grido come Muut, Dardust, Francesco Fugazza Francesco Catitti e autori quali Davide Petrella, Salvatore Sini e Cheope.

Dal punto di vista musicale, Mahmood presenta un mix stilistico originale, che tenta una innovazione mescolando sonorità internazionali, hip hop, urban, rap e melodia italiana. E se scivola su qualche brano che usa termini forti cedendo ai canoni di moda della trap, si apre nella maggior parte dei brani in momenti poetici e a melodie di pieno respiro dove la voce dell’artista incanta per il suo timbro unico, come nel brano Rapide. Sonorità orientali spuntano in Ghettolimpo, una sorta di «preghiera libera dedicata a tutti coloro che si rivolgono al cielo, indipendentemente dalla religione o se siano o no credenti» spiega Mahmood, di educazione cattolica, facendo iniziare il brano con un canto che riprende un muezzin arabo. «Io in Egitto sono stato due volte, a 8 e 12 anni, e udivo quella melodia potente che scandiva le cinque preghiere della giornata. Ho cercato una sonorità che mi ricordasse quei momenti». E se in Icaro è libero il giovane del mito è paragonato a un carcerato di oggi, simboleggiando anche l’oppressione della società, Mahmood guarda al se stesso adolescente, ai primi amori, ma anche al disagio che provava in quegli anni in Rubini in cui duetta con Elisa, e alle delusioni di Kobra. «Ho un problema, che non mi fido di nessuno. Mi sono fidato tantissimo, ma ho imparato che anche le fregature aiutano a crescere. Come quando io davo i pezzi alle case discografiche e questi venivano pubblicati all’estero a mia insaputa e non vedevo un euro mentre lavoravo al bar» ci racconta ancora scottato l’artista.

«Non è stato facile da sola crescere / chi per metà ti ricorda l’uomo che ti ha lasciato / Famiglia significa stare qua / in 2 anche se difficile». La famiglia è e rimane un punto solido nella vita di Alessandro, soprattutto l’adorata madre a cui dedica il pezzo più bello dell’album, T’amo, con una citazione da pelle d’oca di Non potho reposare «che mia madre mi faceva ascoltare da piccolo e che per me è la canzone che più rappresenta la Sardegna. Sono fan di Maria Carta e di Andrea Parodi e per interpretare questo brano ho scelto il coro femminile sardo di Orosei, paese di origine di mia mamma, 'Intrempas', di cui fa parte mia cugina Antonellina». E la mamma come ha reagito? «La prima volta che l’ha sentita si è messa a piangere. Non aveva mai pianto prima… – sorride il cantante –. Io e mia madre abbiamo passato insieme dei momenti difficili, anni in cui gli unici soldi che guadagnavo poi li spendevo con il 'car sharing' necessario per andare a lavorare, in un continuo circolo vizioso. Questa situazione mi ha insegnato che non serve litigare per farti realizzare che una persona ti sta a cuore, è il tempo che ti fa capire tutto ciò che è importante». Per ascoltare Mahmood dal vivo si dovrà aspettare novembre per la parten zadel tour Dei rimandato. «Questa quarantena mi ha fatto crescere paure che prima non avevo –ammette Mahmood –. Con la ripresa dei concerti passerà. Io questo lavoro lo faccio perché voglio avere contatto con la gente».

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