«Dopo la scomparsa di Aroldo ho dovuto trovare la forza per andare avanti, da sola anche sulla scena. Ora, dopo 5 anni, so che sono riuscita a fare teatro di qualità e gli applausi, ogni sera, li dedico tutti a lui». Giuliana Lojodice è donna combattiva e artista di razza, ma nei suoi pensieri non manca mai l’amatissimo marito Aroldo Tieri, compagno di vita e di scena per 40 anni. La Lojodice ha appena terminato una tournée di successo con
Le conversazioni di Anna K e si prepara ad un recital sulle eroine del Risorgimento a Pinerolo. Poi un debutto importante, il 22 luglio alla Festa del Teatro di San Miniato, con la prima italiana assoluta di
Sarabanda l’ultima opera di Ingmar Bergman, che da film tv viene trasformato in dramma familiare dal regista Massimo Luconi.
Signora Lojodice, Bergman è una nuova sfida per lei.Vado a San Minato per la quinta volta con un testo difficile, il testamento spirituale di Bergman. I protagonisti sono gli stessi di
Scene da un matrimonio, più invecchiati e tormentati. Io interpreto il ruolo di Liv Ullman, la moglie che torna dopo anni a trovare l’ex marito. L’opera testimonia la lontananza di Bergman da una vera pacificazione interiore: lui non ha metabolizzato le crisi che possono avere i matrimonio e i figli. Qui tutti i legami si intrecciano in maniera molto conflittuale, ci sono temi terribili come il suicidio, la malattia di mente, osservati con distacco.
Temi forti in un festival di ispirazione cristiana.Tutto sembra negativo, invece alla fine non lo è. Marianna, la moglie, è il
deus ex machina spirituale, è lei che perdona, che aiuterà l’anziano e cinico marito terrorizzato dalla morte, verso la quale lo aiuterà ad avviarsi.
Qual è il rapporto di Giuliana Lojodice con la fede?Io ho iniziato il mio percorso spirituale ben prima della malattia di Aroldo. La mia fede non è legata a sensi di colpa o paure, a volte sono anche critica, ma ho sempre sentito una spinta interiore che mi ha portato a Lourdes tre volte. Mi sento molto vicino a queste realtà di sofferenza, ma anche di speranza. E ho un padre spirituale che seguiva me e Aroldo, qui a Roma.
Le è capitato di incontrare il sacro anche in scena?Ho letto in pubblico brani dal
Gesù di Nazareth di Ratzinger e il cardinal Ravasi mi ha chiamata a leggere San Paolo nell’anno paolino. Un sogno nel cassetto io ce l’ho. Vorrei tanto leggere la
Via Crucis al Colosseo.
Com’è la sua vita a distanza di 5 anni dalla scomparsa di suo marito?Lui è una presenza ancora forte per me. Oggi che ho una certa età, capisco sempre più il grande amore che mi ha donato, la fatica fisica che ha affrontato per starmi accanto in scena e in tournée sino a 84 anni. Poi, io ho smesso di lavorare per quattro anni, per stargli vicino: gli ultimi periodi per lui, reso cieco da un glaucoma, sono stati molto duri. Trovo però allucinante che dei grandi del teatro, come Tieri, Gassman, Lionello, Salerno, non si parli più.
Che ne pensa del ritorno del teatro in tv con l’Eduardo di Ranieri?Siamo sotterrati dall’infamia televisiviva, altroché ritorno del teatro in televisione. C’era bisogno di tradurre Eduardo in italiano? È solo una scusa, un prodotto preconfezionato che doveva funzionare per l’auditel, incentrato su volti popolari in tv, Ranieri in testa. Io la controprova vera del pubblico ce l’ho tutte le sere a teatro: anche le cose difficili funzionano, dipende da come le proponi e dal rispetto della gente: io, in 55 anni di teatro al pubblico non ho mai dato una fregatura».