L'ingresso della "Mostra di Leonardo Da Vinci e delle invenzioni italiane" a Milano, nel 1939
Leonardo il più grande genio di tutti i tempi, il campione dell’eccellenza italiana, l’immaginifico inventore-profeta che nel mezzo del Rinascimento anticipa il trionfo tecnologico della modernità. Un vero e proprio mito: modellato dal regime fascista. La cui nascita ha una data e un luogo: 1939, Milano, Palazzo dell’Arte.
Nella sede della Triennale, infatti, dal 9 maggio al 30 settembre di quell’anno veniva allestita la “Mostra di Leonardo da Vinci e delle invenzioni italiane”, il più grande evento espositivo vinciano mai realizzato, in cui vennero presentati molti dipinti, disegni, codici e, costruiti per l’occasione, una grande quantità di modelli di macchine accuratamente tratti dai suoi disegni. In parallelo, i risultati della scienza e della tecnologia italiana.
In piena autarchia, Leonardo assurge a capostipite e campione di una tradizione italica che, dal Rinascimento a Marconi, è destinata a svettare eroicamente su tutti gli altri popoli in veri e propri primati scientifici e tecnologici. Una lettura dall’effetto determinante, al punto da fissare fino a oggi l’immagine di Leonardo. Si tratta di una vera e propria “Costruzione di un mito” come si intitola il convegno organizzato giovedì prossimo a Milano dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci in collaborazione con il Centro internazionale per la Storia delle Università e della Scienza dell’Università di Bologna. Accanto, fino al 6 maggio, la mostra “Leonardo 39” dove, attraverso documenti, volumi, fotografie e oggetti, si ripercorrono genesi e contesto di quell’evento fino alla nascita del museo stesso nel 1953. Il progetto si configura come avvio del percorso che porterà il Museo della Scienza e Tecnologia per il 2019, quinto centenario della morte, alla realizzazione delle Nuove Gallerie Leonardo.
La propaganda fascista non partì da zero ma si innestò in un fenomeno iniziato tempo prima. Come spiega lo storico della scienza Marco Beretta dell’Università di Bologna, «la scoperta del Leonardo scienziato avviene in un momento preciso, quando Napoleone porta in Francia tutti i codici dell’Ambrosiana. Mentre a Milano erano rimasti sostanzialmente sepolti e dimenticati, a Parigi questi entrano in biblioteche facilmente accessibili e divengono oggetto di attenzione». Il primo a studiarli è Giovanni Battista Venturi che nel 1797 pubblica l’Essai sur les ouvrages physicomathématiques de Léonard de Vinci. «Un testo in francese, in cui però già si rimarca il ruolo dell’Italia nelle scienze, individuando in Leonardo un primato italiano. Il secondo momento fondamentale è l’opera di Guglielmo Libri che intorno al 1840 pubblica, ancora in francese, la Storia delle Scienze Matematiche in Italia dal Rinascimento al XVII secolo. Libri ristudia i codici francesi e l’Atlantico, nel frattempo restituito all’Ambrosiana. Anche lui ne resta stupito e pubblica in appendice ampi estratti delle carte leonardesche. È inoltre il primo a sollecitare un’edizione di tutti i manoscritti. Anch’egli però non rinuncia a individuare anticipazioni che fanno di Leonardo un divinatore del metodo sperimentale».
Rispetto a quanto accadrà nel Ventennio, però, «l’obiettivo di questi primi scienziati è privo di caratteri ideologici. Rilevare che un artista e umanista come Leonardo avesse preconizzato tutta una serie di scoperte consentiva loro di dimostrare e difendere il valore culturale delle scienze naturali, allora del tutto trascurato in Italia». L’accelerazione definitiva è impressa quando dagli anni ’80 in Francia vengono pubblicati gli scritti leonardeschi in riproduzione fotografica, trascrizione e traduzione (uno smacco per gli italiani, che riusciranno a “recuperare” più tardi pubblicando il Codice Atlantico con Hoepli). «In tutta Europa ci si concentra su Leonardo scienziato, ingegnere, tecnologo – prosegue Beretta – Con l’accumularsi dei risultati del progresso ciò che era considerato chimera e sogno viene guardato à rebours. Leonardo diventa il divinatore di aeroplano, automobile, elicottero...». Fino a un completo ribaltamento: «La Treccani nel 1933 dedica a Leonardo una voce molto articolata, ampia e rigorosa: c’è il pittore, il fisico, l’anatomista... Ma ormai Leonardo è diventato lo scienziato- ingegnere che si è “anche” occupato di arte e ha trasferito le sue intuizioni in campo scientifico nella pittura».
È il clima culturale su cui si innesta il particolare rapporto del fascismo con la scienza: «Inteso come via alternativa alla modernità contraddistinta da una forma di nazionalismo rivoluzionario palingenetico – spiega Francesco Cassata, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Genova – il fascismo, lungi dall’essere un’ideologia meramente reazionaria e irrazionalista, si è nutrito di esaltazione della tecnologia e fiducia nella scienza. Connessa alla costruzione mitica del genio italico e alla retorica nazionalista della Grande Italia, la scienza è stata innanzitutto funzionale all’autorappresentazione del regime, alla legittimazione del potere e dell’immagine di Mussolini, e alla proiezione del fascismo su scala internazionale». Ecco allora che scienziati e inventori, da Volta a Marconi, «vennero utilizzati dal regime per esaltare il “genio latino”, le qualità superiori della stirpe, la creatività del popolo italiano, in una sorta di vero e proprio nazionalismo scientifico».
Se dunque Leonardo eroe della scienza italiana è già in nuce dal Settecento, con il regime fascista avviene un vero e proprio salto di scala. Con la propaganda la lettura, che circola solo in ambito accademico, tracima e dilaga nell’immaginario popolare. «Nel 1939 avviene la consacrazione di un mito – spiega Claudio Giorgione, curatore del dipartimento Leonardo Arte e Scienza del museo milanese – che si era andato costruendo nel tempo. Accade anche perché il regime adotta strumenti museologici e museografici molto avanzati e spettacolari, anche a costo della filologia, tipico delle grandi mostre di propaganda. Al di là della mostra della storia della scienza del 1929, che a Firenze avrebbe poi dato origine al Museo Galileo, il primo grande esempio di esposizione di propaganda è l’Expo di Chicago del 1933, in cui il governo italiano attraverso il Cnr mette in atto una strategia di comunicazione ben precisa per costruire il mito dei primati scientifici italiani, spesso pure “usurpati” dalle potenze straniere come nel caso dell’invenzione del telefono. Il Cnr elabora addirittura un grande archivio, la “Raccolta documentaria dei primati scientifici italiani”, che mirava a giustificare come l’Italia, fin dalle civiltà preromane, fosse stata sempre all’avanguardia su questo fronte».
La seconda tappa è, nel 1934 a Milano, la grande e spettacolare mostra dell’aeronautica allestita, come poi quella di Leonardo, da Giuseppe Pagano insieme al meglio dell’architettura e dell’arte italiana di allora (e poi): Franco Albini, Luciano Baldessari, Figini e Pollini, Arturo Martini, Bruno Munari, Edoardo Persico, Giò Ponti, Mario Sironi... «Queste mostre vedevano il regime impegnato con finanziamenti importanti. Ma se nel ’33’34 la propaganda è declinata in chiave storica, con la mostra di Leonardo il “genio rinascimentale” viene strumentalizzato per esaltare la tecnologia contemporanea. Non a caso la mostra viene organizzata insieme a una di carattere parafieristico che culminava nella frase di Mussolini “Noi non siamo imbalsamatori di un passato, siamo gli anticipatori di un avvenire”».
I modelli di Leonardo nel 1940 vengono portati a New York e nel 1942 a Tokyo, disseminando il mito a livello mondiale. Dove oggi è esploso a ogni livello. Ma anche sotto il profilo dell’italianità è cambiato poco: «Toccare la vecchia immagine di Leonardo – prosegue Giorgione – spesso da noi è ancora percepito come un tentativo di sminuire l’immagine dell’Italia stessa. Ma rileggere Leonardo alla luce del contesto storico, in dialogo e persino in debito con la sua epoca, non significa ridimensionarne la genialità ma comprenderla in profondità. Il mondo accademico ha ben chiaro tutto questo, ma comunicarlo è difficile: perché il grande pubblico lo percepisce come una delusione e un defraudamento». È tempo allora di ricomporre l’icona pop e la verità storica: «In sé l’icona pop non è un male, ma va riempita di contenuti. La contemporaneità di Leonardo non sta nella premonizione del futuro ma nel fatto di essere oggi un insegnamento per la sua capacità di sguardo sulla realtà: di Leonardo sono premonitori il metodo e l’approccio, non i risultati».