martedì 20 novembre 2018
Il presidente della Cei: «La coscienza del legame tra la Chiesa e gli ebrei è oggi per noi cattolici un fatto di popolo. Ma nel 1938 in pochi capirono». La testimonianza forte di Pio XI
Bassetti: «Le leggi razziali e la triste indifferenza dei cattolici»
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Sono molto lieto di portare il mio saluto e quello della Chiesa italiana a questo convegno [organizzato dalla Società Dante Alighieri, in collaborazione con l'Università Cattolica di Milano e l'Università per Stranieri di Perugia, ndr] su un passaggio molto delicato della storia italiana, quel 1938, in cui il regime fascista consolidò il suo volto totalitario. In quell’anno vennero prese misure discriminatorie contro la comunità ebraica italiana con un complesso di leggi razziste e antisemite. È un convegno che indaga sull’atteggiamento della Chiesa e dei cattolici in quel doloroso frangente.

Nella mia prolusione al consiglio permanente della Cei, all’inizio del 2018, ho voluto ricordare quei tristi eventi che, purtroppo, si svolsero - dicevo - in «un clima di pavida indifferenza collettiva», anche di una parte dei cattolici, su cui è giusto riflettere. Non ho voluto dimenticare che allora risuonò alta la voce di papa Pio XI che dichiarava l’antisemitismo come inammissibile per i cristiani.

Nel corso del 2018, si sono sviluppate parecchie iniziative per chiarire quanto è avvenuto in quel triste 1938. Fu l’inizio della vicenda che avrebbe portato, col 1943 e l’occupazione tedesca, alla Shoah in Italia. Si cominciò con l’isolamento della comunità ebraica nel 1938, i cui bambini furono scacciati dalle scuole, i cui adulti allontanati dai posti di lavoro, le cui famiglie furono isolate, i cui membri furono discriminati.

In quel 1938, quale fu l’atteggiamento degli italiani di fronte a quei provvedimenti? Quale fu il comportamento di una parte dei cattolici del nostro Paese? Non sono uno storico e non ho ricerche o interpretazioni particolari da proporre. Ci sono ricordi di episodi di dolorosa indifferenza. Altri evidenziano come taluni italiani non condividessero quella politica. Ma, lo ripeto, non sono uno storico, ma un vescovo. Sono però un vescovo di origine fiorentina, cresciuto alla scuola del cardinal Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze che, nel momento più drammatico per gli ebrei si prodigò per la loro salvaguardia e insegnò ai cattolici una particolare attenzione al mondo ebraico. A Firenze sorse la prima Amicizia ebraico-cristiana con Giorgio La Pira. Fu Dalla Costa che, nel 1938, durante la visita di Hitler a Firenze chiuse le imposte del palazzo arcivescovile e rifiutò che vi fosse affisso ogni segno di festa e benvenuto.

Anche a partire da questa sensibilità, come vescovo, sento il dolore per il fatto che i cattolici italiani avrebbero potuto fare di più, quando gli ebrei venivano discriminati con leggi razziste. Le parole di Pio XI il 6 settembre 1938 ci mostrano che si poteva dire e fare di più: «Ma l’antisemitismo è inammissibile - disse Pio XI -. Spiritualmente siamo tutti semiti».

«Spiritualmente siamo tutti semiti»: c’è in germe quel pensiero che il Concilio e Giovanni Paolo II avrebbero sviluppato successivamente. Pio XI così confidava a padre Tacchi Venturi nel 1938: «Io non come Papa, ma come italiano mi vergogno! Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide. Io parlerò, non avrò paura. Mi preme il Concordato, ma più mi preme la coscienza».

Per questo, colgo l’occasione, come presidente della Conferenza episcopale italiana, guardando a quel triste 1938, di fare mio il pensiero di san Giovanni Paolo II che disse a proposito della persecuzione degli ebrei: la resistenza dei cristiani «non è stata quella che l’umanità era in diritto di aspettarsi». Ma, soprattutto, faccio mia l’invocazione di perdono e di speranza che Papa Wojtyla depose a Gerusalemme nelle fessure del Muro del Pianto nel 2000, durante il suo viaggio in Terra Santa: «Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome fosse portato alle genti: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità col popolo dell’alleanza».

Basterebbe concludere con questo. Aggiungo solo, per confermare la svolta avvenuta, che oggi c’è un clima diverso da ieri, da quello degli anni Trenta. La coscienza del legame tra la Chiesa e gli ebrei è divenuta, per noi cattolici, un fatto di popolo, diffuso e radicato in profondità. Si fonda sulle grandi arcate della Dichiarazione conciliare, Nostra Aetate, che ricorda il profondo vincolo tra cristiani ed ebrei. Giovanni Paolo II espresse questo con grande efficacia durante la sua visita al Tempio maggiore degli ebrei di Roma nel 1986, riconoscendo negli ebrei i «fratelli maggiori» con un’espressione dell’epica polacca, e considerandoli sempre «chiamati con una "vocazione irrevocabile"».

Questo legame è qualcosa di intrinseco, di cui negli anni Trenta solo pochi ebbero coscienza, mentre sopravvivevano vecchi pregiudizi. Ma, al di là del legame, c’è l’impegno contro ogni forma di antisemitismo. La Nostra Aetate afferma: «La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque».

È con questi sentimenti che viviamo la nostra amicizia con gli ebrei e la nostra responsabilità civile. Con questo atteggiamento siamo interessati a conoscere meglio la storia di quegli anni difficili, consapevoli del valore della memoria.

Pubblichiamo in versione integrale l'intervento con cui il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha introdotto ieri i lavori del convegno "Chiesa, fasciscmo ed ebrei: la svolta del 1938", organizzato a Roma a Palazzo Firenze, dalla Società Dante Alighieri in collaborazione con l'Università Cattolica e l'Università per Stranieri di Perugia.

Il presidente della Dante Alighieri Andrea Riccardi nella sua introduzione ha ricordato che «la Chiesa aveva una posizione particolare nell'Italia fascista, nonostante la privazione della libertà e la pressione propagandistica, perché era un corpo autonomo, garantito dal Patto del Laterano e dall'affezione del popolo. Il 1938 è un anno difficile. Per la Chiesa, si registra l'allontanamento del fascismo dal modello di Stato cattolico, mentre si consolida un'altra personalità del regime, totalitaria e statolatrica, come De Felice ha notato. E il razzismo e l'antisemitismo fanno parte dell'inveramento del regime nella costruzione dell'uomo nuovo».

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