I tifosi dell’Universitario de Deportes campione del Perù
Tutto il mondo è paese, il derby è derby ovunque, “dagli Appennini alle Ande”. Certo non è stato affatto un epilogo da libro “ Cuore” quello del campionato peruviano. Almeno se parliamo del gesto antisportivo che ha fatto il giro del globo al triplice fischio della finale scudetto tra le due squadre di Lima, l’Universitario de Deportes e l’Alianza. I primi hanno vinto in casa dei secondi per 2-0 (grazie alle reti di Edison Flores e Horacio Calcaterra), ma per tutta risposta al 90esimo allo stadio Villanueva sono state spente tutte le luci per sabotare la festa degli ospiti. Un buio pesto che ha reso impossibile anche la cerimonia di premiazione. E tuttavia i giocatori dell’Universitario non si sono scoraggiati e hanno sfruttato le luci dei loro smartphone per fare il giro di campo. Una scorrettezza clamorosa per un club che invece merita di stare sotto i riflettori. Parliamo delle “ merengues” del Perù, la società più vincente del paese andino. Con lo “scudetto” tornano al successo dopo dieci anni, mettendo in bacheca il 27° titolo contro i 25 degli acerrimi rivali cittadini che mancano così l’aggancio nell’albo d’oro.
Un trionfo che apre di fatto le celebrazioni del centenario del prossimo anno. Il club fu fondato nell’agosto del 1924 da alcuni studenti dell’Universidad Nacional Mayor de San Marcos. Un ateneo storico, che porta la firma dell’imperatore Carlo V il 12 maggio 1551. Dopo aver ottenuto il titolo «pontificio» concesso da papa Pio V, fu ribattezzata «Università Reale e Pontificia della Città dei Re di Lima». È di fatto la più antica università delle Americhe. Decisivo fu l’apporto dell’ordine domenicano, tant’è che tutto cominciò nei chiostri del Convento del Rosario (l’attuale Santo Domingo) grazie all’impulso di padre Tomás de San Martín. Il suo successore, frate Domingo de Santo Tomás Navarrete, fu anche il primo laureato, ricordato anche per aver scritto la più antica grammatica di una lingua “quechua”. Sfruttando un passato così prestigioso, l’ateneo pur diventando autonomo e laico nel corso dei secoli, ha recitato un ruolo importante nella storia del Perù. Un’istituzione finita poi anche nel pallone grazie a José Rubio Galindo e Luis Málaga Arenas i primi studenti sognatori che diedero vita all’Universitario de Deportes.
Un club riconosciuto oggi subito anche per la “U” rossa, l’iconico simbolo tra i più amati dagli appassionati di calcio sudamericano. Singolare come il colore crema delle maglie ufficiali, le cui origini si perdono nella leggenda. La prima divisa era bianca (da qui il soprannome di “merengues”) con la “U” appesa al petto con una spilla. Ma si narra che una volta, prima di una partita importante le divise erano ancora in lavanderia. I dirigenti del club allora misero fretta alla lavanderia che mischiò le magliette con le “U” rosse solitamente lavate separatamente. Il risultato fu il color crema che piace tanto ai tifosi perché vincente sin dalla prima partita in cui vestirono quella “camiseta” per mancanza di tempo e di alternative.
Da allora ne ha fatta di strada l’Universitario che dal 2000 ha anche una “casa” maestosa: l’imponente Monumental, uno degli stadi più grandi al mondo, capace di accogliere più di 80 mila spettatori. Davanti campeggia la statua di una bandiera del club, quel Lolo Fernández che bucava le reti delle porte. Bomber leggendario, trascinò pure la nazionale peruviana al primo trionfo in Coppa America nel 1939. Al Monumental si è svolta anche la festa dello scudetto prima di consegnare il trofeo ai piedi del Signore dei Miracoli nel Santuario di Las Nazarenas, uno dei luoghi più cari al popolo peruviano per una devozione che risale al XVII secolo. Alla Messa di ringraziamento erano presenti tutti, dai dirigenti ai calciatori con l’allenatore. Il club rivendica con orgoglio di essere stato il primo a compiere questo gesto, pensando bene di affidarsi a chi illumina il cammino della vita, ben oltre il buio all’improvviso su un campo di calcio.