Alessandro Barbero - Ansa
Questa sera alle 19 una lectio in streaming dello storico Alessandro Barbero, in collegamento dalla Mole Antonelliana, aprirà l’edizione Extra del Salone del libro di Torino, che per la prima volta non si potrà svolgere a maggio nella sua forma abituale a causa dell’emergenza Covid–19. In attesa di tornare nella sua veste abituale, probabilmente in autunno, il Salone ha però maturato l’idea di un’edizione straordinaria della manifestazione lunga quattro giorni, costruita attorno a eventi gratuiti in live streaming, con ospiti italiani e internazionali. Potrebbe essere un cambiamento epocale? «Gli uomini – dice Barbero – sono animali sociali da branco, e questa è la ragione per cui abbiamo vissuto così male questa lunga fase di chiusura, perché siamo fatti per stare con gli altri. Immaginare festival, eventi, lo stesso Salone, solo online, è un buon compromesso in questo momento ma i surrogati sono importanti in un momento di emergenza, guai a credere che in fondo ci si possa adattare, perché il Salone deve essere anche folla che si incontra, altrimenti sarebbe un’altra cosa e insieme al Salone allora vorrebbe dire che avremo perso un altro milione di cose fondamentali per la nostra vita e sarebbe davvero drammatico».
La scelta del Salone di realizzare questa edizione extra, nasce quindi da una reazione alla situazione. E la reazione sarà al centro anche della lezione di Barbero, intitolata “Conseguenze inattese”, su come l’umanità reagisce alle catastrofi, perché la storia è fatta spesso di momenti di discontinuità. Guerre, epidemie, momenti di turbolenze, che si alternano ciclicamente a momenti di stabilità. Eppure, di volta in volta, l’umanità ha saputo reagire alle catastrofi, e la lezione della storia è venuta in soccorso al presente: «In passato sono accadute cose simili a quella che stiamo vivendo e da qui nasce l’idea e il desiderio di un messaggio di speranza, anche se gli storici non sono fatti per trasmettere speranza; di solito danno cattive notizie, ma è indubbio che l’umanità abbia una grandissima capacità di risorgere dopo una catastrofe. Prima di tutto, però, bisogna liberarsi dallo shock di messaggi catastrofici. Quando l’intellettuale e antifascista Gaetano Salvemini, esule in America, tornò in Italia appena finita la guerra, rimase sbalordito da ciò che era stato raso al suolo, ma non fu colpito solo dalle macerie, quanto dal fatto che tutti stessero lavorando e che il Paese fosse pronto a risollevarsi. Siamo un popolo di formiche e peggio vanno le cose, più rapidamente la società umana sa riprendersi». I numeri, tuttavia, non sono dalla nostra parte, ma un altro degli insegnamenti della storia è quello di guardare alle cose in prospettiva: «Il mondo di oggi – continua Barbero – si porta dietro una tara, che è la nostra ossessione: il conteggio di numeri, bilanci e grafici. Se nel 1945 qualcuno avesse detto “vediamo a che punto è il Pil”, si sarebbero tutti paralizzati dalla paura, invece si sono rimboccati le maniche e si sono rimessi a lavorare, perché in fondo non ci vuole molto per ritrovare il benessere, mentre il più delle volte oggi siamo avvezzi a pensare che un’incidenza dello 0,1% faccia andare tutto male».
Negli ultimi mesi la pandemia ha portato anche a riflettere sulle responsabilità dell’uomo in questa crisi, sia in termini ambientali che di risorse, con numerose discussioni aperte sul futuro. Per provare a immaginare il domani, si può imparare da un episodio della nostra storia? «La storia – spiega Barbero – è cambiamento. Tutto cambia continuamente, ma da sempre tutte le epidemie hanno scatenato trasformazioni profonde nella società; penso ad esempio a un’epidemia di cui si parla poco, la Peste antonina (165–180; nota anche come peste di Galeno, dal medico che per primo la descrisse), che devastò l’Impero Romano (fu propagata dai soldati di ritorno dalle campagne contro i Parti), e quasi certamente si trattava di vaiolo. L’epidemia ridusse significativamente la popolazione e ciò ebbe drastici effetti sociali e politici, perché l’Impero si trovò di colpo senza manodopera e fu costretto a imparare a gestire l’immigrazione come risorsa. Questa lezione può essere importante, considerando che nella storia, in molte situazioni, la non gestione dell’immigrazione ha spesso destabilizzato situazioni da cui molti hanno poi imparato a loro spese».
Tra le tante pandemie della storia di cui si è parlato in questi mesi, una delle più citate è stata l’influenza Spagnola: «In base ai numeri – continua Barbero – è stata più grave di questa e in nessun modo paragonabile ad altre epidemie, ma è passata quasi inosservata perché il mondo era travolto da cose più gravi: c’era la Guerra Mondiale e si era appena conclusa la Rivoluzione d’ottobre. Spesso il rischio, nello studio della storia e del passato, è quello di separare i pezzi di grandi avvenimenti e non contestualizzare. Ad esempio le notizie relative all’influenza erano sottoposte a censura per non spaventare le persone, per cui questo cambia decisamente l’intero impatto che poteva avere sulla mentalità collettiva dell’epoca rispetto a quanto può averlo sulla nostra». Quando mesi fa è stato scelto il titolo della 33ª edizione del Salone, “Altre forme di vita”, l’obiettivo era evocare il futuro prossimo, ma oggi questo titolo si dimostra quasi profetico: «È un titolo azzeccato – conclude Barbero – ma chiaramente si può sorridere se speriamo che questa cosa sia una parentesi, perché altrimenti sarebbe molto grave. Pensare che tutto si possa fare a distanza senza danni sarebbe un errore, per questo è necessario capire come curare», e tornare a immaginare nuove normalità.