Rafael Leão, 24 anni attaccante del Milan e della nazionale portoghese - ANSA
«E, alla fine, arrivano sempre i ricordi, con le loro nostalgie e la loro speranza, e un sorriso di magia alla finestra del mondo, quello che vorremmo, bussando alla porta di quello che siamo». Le parole dello scrittore portoghese Fernando Pessoa (1888-1935) sono il migliore assist per entrare nel mondo di un suo connazionale di oggi che esprime tutto il suo talento “con i piedi”. Parliamo di Rafael Leão, calciatore del Milan e del Portogallo, che ha deciso di aprire il proprio album di memorie dando alle stampe una curiosa autobiografia Smile. La mia vita tra calcio, musica e moda (Piemme, pagine 176, euro 20). «L’idea di scrivere un libro mi è piaciuta soprattutto perché mi ha permesso di fermarmi e guardare indietro a quello che è successo nella mia pur giovane vita». Non parla tanto, rilascia poche interviste, sta sempre attento a confidare poco di sé per paura che venga travisato. Ecco perché queste pagine svelano lati sconosciuti dell’attaccante che continua a dividere gli stessi suoi tifosi.
Rafael Alexandre da Conceição Leão è nato ad Almada, il 10 giugno del 1999. Presto però si è trasferito a Lisbona: «I miei genitori si sono separati quando avevo solo 4 anni e io sono andato a vivere con mia madre al bairro». Qui, in questo quartiere periferico della capitale portoghese (il Bairro da Jamaica), è cresciuto il piccolo Rafa, la cui famiglia è in parte angolana da parte di padre, mentre quella materna è originaria dell’isola di São Tomé. Tra i caseggiati di questo rione abitato per lo più da immigrati africani ha iniziato a tirare i primi calci a un pallone. Già allora dribblava e saltava tutti: «Mi sembrava estremamente facile, i miei piedi funzionavano da soli, e gli altri non mi stavano dietro». Gli spazi erano quelli che erano, ma si giocava ovunque anche davanti a un supermercato: «Passavamo interi pomeriggi fuori al parcheggio del Carrefour». E tutto poteva diventare una palla: «Qualche volta erano delle carte appallottolate, oppure una lattina o una bottiglia… Mentre le due ruote di un’auto assomigliano immediatamente ai pali della porta». Un posto dove il calcio può essere davvero l’unica via di fuga, come lo è stato per lui, anche se: «Conosco tanti ragazzi che non ce l’hanno fatta, la maggior parte non ce la fa». Un genitore del quartiere aveva notato quel ragazzino imprendibile e da lì la sua vita non è stata più la stessa. Tutta la trafila delle giovanili nello Sporting Lisbona fino a un addio traumatico i cui strascichi sono arrivati fino a oggi. La stagione 2018 si concluse in malo modo con l’irruzione al centro sportivo degli ultras inferociti che colpirono tutti i giocatori che si trovavano a tiro con cinture e spranghe di ferro.
Rafa riconobbe sotto i passamontagna anche alcuni dei suoi ex compagni di scuola e del quartiere. Inevitabile dopo la denuncia, cambiare squadra e città, ma la rescissione del contratto ha comportato un lungo contenzioso internazionale e ancora adesso le minacce dei tifosi. «Sono certo che se dovessi incontrare quelle persone in giro farebbero di tutto per rendermi la vita un inferno». Un periodo durissimo in cui a salvarlo, spiega, sono stati decisivi ancora una volta i suoi genitori, in particolare il padre, per lui un vero “supereroe”: «Se sono oggi quello che sono il merito è soprattutto di una persona: mio padre, Antonio Leão». Una sola stagione in Francia al Lille, dove ha fatto fatica ad ambientarsi, poi l’approdo al Milan con sponsor Paolo Maldini («Senza di lui non sarei chi sono, è stato unico, fondamentale») e l’esplosione in rossonero culminata con la conquista dello scudetto nel 2022. Spesso gli viene rimproverata la mancanza di continuità, ma è vero che in questa stagione dopo alcuni mesi in chiaroscuro in linea con tutta la squadra, Leão ha contribuito a realizzare 13 gol in 17 partite in tutte le competizioni nel 2024, il giocatore più decisivo della Serie A quest’anno. Con il Milan, dice lui, ha firmato non un patto economico ma un «patto d’amore» e il club ha appena celebrato le sue 200 presenze in rossonero, con 55 gol e 48 assist. E tuttavia la critica è sempre dietro l’angolo: confessa che a volte l’hanno fatto star male, ma riconosce di essere un privilegiato e di essere in una squadra grande in cui è normale venga tutto amplificato.
Non cambia però il suo approccio al calcio, col sorriso, come l’idolo che ha sempre tentato di imitare Ronaldinho. Ridere anche in campo è sempre stato il suo “tic”: «Le persone pensano che sia leggero, che io voglia prendere in giro gli avversari, ma non è così… Sorrido perché Dio mi ha dato un dono incredibile e fino a questo momento il lavoro che ho fatto è stato ripagato da questo successo». La fede lo aiuta tanto. «Sono credente, cattolico... Credo in Dio, lo faccio fortemente. Prego ogni notte prima di andare a letto… prima di ogni partita e prima di ogni accadimento importante della mia vita». C’è soltanto una cosa che lo ha segnato davvero dentro: la separazione dei suoi genitori. «Pur rispettandosi, non ho mai visto i miei genitori amarsi… Credo che sia in parte per quello che oggi faccio molta fatica a fidarmi delle persone… Non riesco ad aprire il mio cuore al 100% a nessuno, perché ho una tremenda paura che mi possano ferire... Eppure sono certo di volere una famiglia, dei bambini, e di volerli prima dei 30 anni…Mi piacerebbe essere padre». Il desiderio più grande insieme con i sogni (Champions e Mondiale) e le passioni da assecondare al termine della carriera: la musica (si diletta a comporre rap) e la moda.
Ma di strada ne ha ancora da fare “il bambino del bairro” che esulta mimando i surfisti. Lui poi che, come ammette candidamente, non ha mai surfato, ma ama le onde: «Sono un po’ come gli avversari: puoi utilizzarli a tuo vantaggio o farti travolgere da loro, sta tutto a te e a come le approcci». Ma non è l’unica somiglianza. «I surfisti qualche volta sbagliano onda ma dopo tornano sulla tavola e fanno bene. Credo sia il modo giusto di pensare: puoi provare e sbagliare ma devi continuare a imparare». Senza però mai snaturarsi: «Io non smetto mai di andare dritto per la mia strada e così come quando avevo otto anni non smetterò mai di tentare un dribbling solo perché quello di prima non mi è riuscito… L’essenza del mio gioco non cambia, non può cambiare. Perché non sono cambiato io da quei pomeriggi al Carrefour e non ho permesso che il successo cambiasse me».