mercoledì 9 novembre 2022
Colloquio con il poeta siciliano: da sempre i “vocaboli” scritti, dipinti o cancellati sono il fulcro della sua testimonianza in favore «di ciò che conta davvero»
L’artista Emilio Isgrò ha appena dato alle stampe la raccolta poetica “Sì alla notte”, edita da Guanda

L’artista Emilio Isgrò ha appena dato alle stampe la raccolta poetica “Sì alla notte”, edita da Guanda - archivio Emilio Isgrò

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«Spesso l’amore è un soffio che rimane / a mezz’aria, sospeso nel pulviscolo / delle cose pensate ma non dette / per timore che siano voglie insane». Sono versi tratti da Primo amore, uno dei 265 sonetti dell’ultima raccolta poetica di Emilio Isgrò: Sì alla notte. Il volume edito da Guanda (pagine 276, euro 19,00) viene presentato oggi a Palazzo Reale a Milano in occasione del premio “Montale fuori di casa”, sezione letteratura, che la presidente Adriana Beverini consegnerà al poeta, artista e scrittore siciliano. Ottantacinque primavere e il sorriso della giovinezza che illumina lo sguardo: da oltre sessant’anni la parola è al centro del suo percorso creativo, la parola detta, scritta e la parola cancellata.

Sì alla notte nasce durante la pandemia. Quale messaggio affida a queste pagine?

Ciò che ho voluto dire, alla fine lo deve dire il lettore. Altrimenti l’autore parlerebbe solo a se stesso. Un artista, un poeta non sa mai fino in fondo ciò che vuole dire, come affermava il fin troppo citato Borges. Perché la poesia è una sorta di responsabilità sociale, e a lei la comunità ricorre per attingere a una trascendenza o a beni spirituali di cui oggi si sente la mancanza. A partire dall’amore, amor sacro e amor profano, che attraversa questi versi. Volevo costruire un libro in cui, con il recupero del sonetto, la parola tornasse in primo piano.

Eppure la sua arte è nel segno del-la cancellatura, ha a che fare con la negazione della parola. Certo, non come annichilimento, ma nel tentativo radicale di cogliere l’essenziale, di cercare un centro, una domanda, un senso autentico, un disvelamento... Perché quelle linee nere, stese su migliaia e migliaia di vocaboli e di fogli, centinaia di tele e di tavole, non sono piccole tombe di un cimitero infinito, ma invito all’avventura. Una ricerca che porta dove?

Non ho mai cancellato la parola per un gusto iconoclasta, ma per segnalarne l’importanza. Del resto il mistico medievale Meister Eckhart ha scritto che solo la mano che cancella può scrivere il vero. Pensiamo poi a Dio che davanti a Mosè si nasconde, in qualche modo si cancella, dietro il roveto ardente. Tutto ciò che conta deve essere almeno parzialmente invisibile perché solo così è possibile coglierlo con il cuore e non con l’epidermide.

Il discorso poetico si pone all’inizio del suo percorso creativo e lo alimenta: è del 1956 Fiere del sud, a cui seguiranno otto raccolte e la stagione feconda della “Poesia visiva”, nel dialogo sorprendente, gioioso e a volte provocatorio tra parola e immagine. In lei la poesia ha a che fare da una parte con il mistero, qualcosa che si fa presente, che ci interroga, ma che non si rivela mai pienamente, e dall’altra con l’amore (i doni che lei offre a Scilla, la sua sposa, sono sempre versi). Perché la poesia è così centrale nel suo percorso creativo?

Perché nella mia vita è centrale la parola. Non per caso ho cominciato come poeta. E quando, agli inizi degli anni Sessanta, ho portato le parole nei quadri o le ho cancellaamericani te volevo trascinare le istanze della parola nel mondo delle arti, dove non si era mai vista in queste dimensioni e in queste misure. Oggi opere di artisti europei, americani e cinesi sono zeppe di parole più dell’Ulisse di Joyce. Ci sarà una ragione per tutto questo. La verità è che l’arte visiva rischiava di diventare, specialmente se gestita con i criteri della Pop Art, una forma di omologazione universale. Quando incontrai la Pop Art, che pure ho ammirato molto per la sua forza espressiva, capii che per la parola sarebbe stata la fine. E nacque in me spontanea una domanda: i leader che hanno saputo trasformare gli emigranti europei, di lingue e culture diversissime, in un nuovo grande popolo, grazie al fumetto e al cinema, non è che vogliono allargare questo esperimento di omologazione a tutto il mondo?

Ed è proprio così se guardiamo alla prima grande globalizzazione, che è nel segno non delle merci, ma delle arti: attraverso la Pop Art (con altre finalità anche attraverso l’arte concettuale) l’America cerca di imporre il proprio modello culturale. Andy Warhol fa degli oggetti di consumo delle vere e proprie icone e alla fine di questo processo i grandi simboli religiosi, che rimandavano all’Oltre, sono soppiantati dai loghi delle grandi multinazionali. Tutto diventa piatto nell’orizzonte del nuovo dio: il dio profitto celebrato dal rito del consumo…

Sì, ma rispetto alla prima globalizzazione oggi avvertiamo il bisogno di una spiritualità che ci liberi da una visione che riduce l’uomo a puro strumento di profitto. Il consumo deve essere fatto per l’uomo, non l’uomo per il consumo, per parafrasare Gesù. La Chiesa ha saputo sempre valorizzare la differenza delle culture e dei popoli, in particolare a partire dal Concilio Vaticano II. Perché non deve farlo la società laica? Perché tutto deve essere omologato alla società dei consumi? Dicono gli ebrei che dove c’è conflitto c’è Dio: conflitto di emozioni, di idee, di valori, non certo di guerra guerreggiata. Non bisogna avere paura della differenza.

In Sì alla notte lei scrive: «Solo ai poeti bestemmiare è lecito». Cosa vuol dire?

Solo un mondo che accetta anche gli artisti scomodi è un mondo che si salva. Perché accetta la pazzia del mondo, e la pazzia del mondo coincide a volte con il misticismo. E se non ci fosse stato chi, anche all’interno della Chiesa, avesse rasentato l’eresia probabilmente non sarebbe stato possibile un linguaggio nuovo per dire le verità di sempre. Francesco è un papa che osa, e proprio questo suo osare fa venire a chi non crede il dubbio che Dio esista, mentre un tempo erano i laici a far venire dubbi ai religiosi.

Lei ha abbracciato tutti i campi dell’arte. Cos’è l’arte, e come è possibile oggi esprimere bellezza?

“L’arte è un modo per rimettere in moto le ruote del mondo quando sono affondate nel fango, e in questo senso, pur su altri piani, non è diversa dalle religioni. Nei momenti difficili l’arte è una forma di educazione al bello, non tanto inteso in senso tradizionale, ma come affermazione dei valori umani: la bellezza della giustizia e della libertà. La bellezza è vedere cose che ti stupiscono sempre, è la possibilità di attingere all’autenticità del mondo e dell’uomo. Una bellezza che tocca soltanto l’occhio non serve a nessuno. La vera bellezza è quella che colpisce il cuore degli uomini per liberarli dai loro pregiudizi”.

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