giovedì 3 novembre 2022
L’allievo ricorda il grande “Maestro” Gigi e parla della sua malattia: «Le medicine contro la sclerosi multipla sono l’amore per mio figlio e la fede in Dio»
L’attore Rodolfo Laganà, 65 anni, allievo di Gigi Proietti

L’attore Rodolfo Laganà, 65 anni, allievo di Gigi Proietti

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Con Rodolfo Laganà ci parliamo il 2 novembre. il giorno dei morti. Il giorno in cui, due anni fa, volò via da Roma sua, la grande anima di Gigi Proietti: nato il 2 novembre del 1940, morto il 2 novembre 2020. Cose che solo Shakespeare si è potuto permettere, nascere e morire lo stesso giorno, il 23 aprile. «Roba da geni, come Gigi, che è stato un Maestro, un padre, un fratello maggiore, l’uomo che mi ha insegnato tutto...», dice con un sorriso emozionato uno degli allievi prediletti del Laboratorio. «Con Gigi ho condiviso tanto, anche la malattia. Quando una decina d’anni fa mi diagnosticarono la Sclerosi multipla lui mi è stato sempre vicino, mi consigliava, mi esortava a non mollare mai il teatro, che assieme a mio figlio Filippo, è la mia vera ragione di vita». Rodolfo Laganà, classe 1957, è figlio di quella Roma trasteverina, verace, belliana-trilussiana, «mejo Trilussa, un poeta più vicino al popolo, più del Belli. E poi io so stato amico suo, ero Rapiselli nell film tv con Michele Placido». Insomma, Laganà è l’erede di quella vis comica che comincia con Aldo Fabrizi («un po’ gli somiglio per fisicità, e poi spesso mi hanno detto che c’ho la “pausata” de Fabrizi. Ma le pause me l’ha insegnate sempre Gigi») in mezzo l’eterno faccione di Alberto Sordi («un gigante inarrivabile»), e arriva al « Maestro», Proietti che lo accolse nella sua bottega attoriale, il Laboratorio, alla metà degli anni ’70, quando insieme ai compagni di corso, Massimo Wertmüller, Silvio Vannucci, Paola Tiziana Cruciani, Patrizia Loreti e Shereen Sabet, misero in piedi il gruppo cabarettistico “La Zavorra”. Un giorno al Laboratorio venne quell’altro genio di Antonello Falqui, si mise seduto, vide un paio di sketch nostri e ci prese al volo per una trasmissione nuova di Rai 1 che si chiamava Al Paradise.
Un botto, un successo travolgente, nazionalpopolare.
Una sbornia improvvisa e infatti “La Zavorra” durò poco. Eravamo troppo ragazzini, litigammo subito e ognuno prese la sua strada. Ma siamo ancora legati dopo quarant’anni, con Massimino Wertmuller siamo Amici per la pelle, come il titolo dello spettacolo che abbiamo fatto l’anno scorso (scritto e diretto da Stefano Reali), ma anche con Paola Tiziana Cruciani lavoriamo spesso insieme.
L’amicizia nata sui “banchi di scuola” del Maestro. Qual ’è l’insegnamento maggiore che gli ha lasciato Proietti?
Gigi mi ha insegnato la serietà, la professionalità, il saper riconoscere i propri limiti e al tempo stesso la capacità di osare, confrontarsi con testi e autori sempre più difficili. Mi ripeteva: «Quando pensi che quella cosa non la puoi fare, è lì che allora devi lavorare di più e sforzarti di farla a tutti i costi».
Quando ripensa a Proietti che ricordi riaffiorano?
Tante immagini di studio intenso ma sempre pieno di entusiasmo. Un aneddoto? Ne ho mille, ma ce n’è uno che mi fa sempre ridere, come quella volta che Gigi disse «ora facciamo Romeo e Giulietta, chi di voi vorrebbe fare Romeo?». Io che non sembra ma sono sempre stato un timidone, alzai lentamente la mano e mentre lo facevo già mi sentivo inadeguato... Allora Gigi mi fissò con quel suo sguardo magnetico e mi disse: « A Laganà, ma tu sei na “cozza”, mo’ voi fà Romeo? E annamo su!». E giù tutti a ridere...
L’aveva distrutto, umiliato...
Macché, un altro al posto miosi sarebbe offeso e ritirato dal corso, la mia reazione invece fu talmente scanzonata che da quel momento iniziò un rapporto di stima e d’affetto reciproco che è durato fino alla fine... C’è voluto il suo funerale per farmi riapparire in pubblico dopo la pandemia... Mi manca tanto Gigi,ma sento che è sempre qui con me e che si diverte a vedere che non smetto di andare in scena con lo spirito da teatro tenda del mio “Raccordo Anulare World Tour”.
In tanti attendono il suo nuovo spettacolo, dal titolo esilarante - per uno che deve muoversi in carrozzina o con il deambulatore a causa della Sclerosi multipla, Fermo restando.
Purtroppo non è ancora pronto, Fermo restando andrà in scena la prossima stagione. Per quest’anno, a febbraio al Teatro Sette riprendo Nudo proprietario, lo spettacolo con cui ho reso pubblica la malattia. E poi in aprile al Teatro Ghione quattro repliche de I sorrisi del portiere, un monologo in cui si ride e si piange, un “fritto misto” con un commissario che deve scoprire il mistero di una morte e lo fa attraverso il racconto del portiere di un palazzo che con le sue descrizioni colorite dipinge il carattere dei singoli condomini che lo abitano.
Per molti, anche grazie a spettacoli come Toro sedato e la canzone Carrozzella romana lei è diventato un simbolo di “resistenza” alla Sclerosi multipla.
Penso che per non farsi limitare dalla malattia, specie quelle invalidanti come la S.M., bisogna giocare d’ironia, sdrammatizzare. Io l’ho fatto con il videoclip di Carrozzella romana in cui provo a sorridere dei disagi della disabilità in una città difficile, piena di buche, anche ideologiche, come Roma mia di oggi... E poi serve continuare a fare con passione quello che si faceva prima che la malattia venisse diagnosticata e rompesse di colpo la normalità quotidiana. Sono sincero, la Sclerosi multipla è una malattia del “c...o” (bip), ma ho imparato ad accettarla e la combatto, oltre che con il teatro, con due medicine fondamentali: l’amore per mio figlio Filippo che seguo passo dopo passo nella sua crescita di uomo e di bravissimo attore, e la fede in Dio che non mi abbandona mai e che chiude un occhio anche se non vado mai a messa alla domenica.
A teatro ha fatto di tutto, Moliere compreso, ma il cinema non le manca?
Il mio primo film risale al 1983, Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada. Ho debuttato con una signora da Oscar, Lina Wertmüller che mi assegnò la parte del signor Diotiaiuti. Sul set c’erano due mostri, Ugo Tognazzi e Enzo Jannacci, me la feci addosso dal primo all’ultimo ciak... Lina è stata una grande donna oltre che un genio della regia. Mi piacerebbe fare cinema certo, magari una commedia, un’altra Mandrakata come quella con Gigi, ma quel genere lì lo sapevano fare solo i fratelli Vanzina, e ora Carlo non c’è più... Resta comunque la grande classe e la creatività di Enrico Vanzina, e io con gente così tornerei a fare cinema a occhi chiusi.
Un progetto chiuso nel cassetto di casa Laganà...
Un disco pronto per Natale con canzoni che mi appartengono, prodotto da Marco Rinalducci. Non c’è un mio spettacolo che non parta da una musica che mi accarezzi il cuore e la mente. Ho lavorato in Alleluja brava gente di Garinei e Giovannini e da sempre adoro il musical, perciò ho un’idea forte e ambiziosa che mi frulla da tempo: raccontare Roma, come ho sempre fatto a teatro, con musica e parole... Certo, dentro ci metterei anche l’indiano romano di Toro sedato, quello che invece di dire «haug» dice «ahooo» – sorride – . Questo purtroppo è un tempo pieno di italiani che fanno gli “indiani”, quelli che fanno finta di non capire perché gli fa più comodo: vedi una certa classe politica che conosce solo un’arte, quella di prendere in giro «quer popolo cojone», parola di Trilussa.

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