giovedì 31 gennaio 2013
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Chi sa che la storia di The Impossible, il film che la Eagle distribuisce giovedì 31 gennaio nelle sale, è tratto dalla storia vera di una famiglia spagnola, fortunata nel poter raccontare il dramma vissuto, sa anche che ci sarà un lieto fine. Almeno per i protagonisti. Diretta da J. A. Bayona, regista di Barcellona, che ha ben imparato la lezione spielberghiana, la pellicola, il più grande successo della storia del cinema spagnolo (6 milioni di spettatori), racconta con impressionante realismo l’abbattesi dello tsunami del dicembre 2004 sulla Thailandia, dove tra i tanti turisti c’erano anche i Bennett (Alvarez-Belon nella realtà): padre, madre e tre figli, in cerca di relax nel paradiso tropicale. Ma il 26 dicembre, dopo aver trascorso il Natale sulla spiaggia, Henry, un uomo d’affari, Maria, un medico e i loro ragazzi si trovano ad affrontare una delle catastrofi naturali più spaventose della Storia. L’abbattersi del muro d’acqua sulla costa thailandese era già stato ricostruito in maniera molto credibile nei primi minuti del film di Clint Eastwood, Hereafter, dove però la tragedia funge solo da prologo. Poi è arrivato il bellissimo romanzo di Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia, che dedica tutta la prima parte del libro al dramma vissuto da una coppia sopravvissuta al disastro. The Impossible, interpretato dai bravissimi Ewan McGregor e Naomi Watts, si abbatte proprio come uno tsunami sullo spettatore che per quasi due ore partecipa senza tregua alle sofferenze fisiche e morali di una famiglia che in pochi secondi si ritrova divisa. Maria, sopravvissuta alla violenza dell’onda, ma gravemente ferita, ritrova il figlio più grande e con lui inizia un viaggio alla ricerca del marito e dei due figli più piccoli. Nel frattempo Henry e i due bambini cercano disperatamente il resto della famiglia in tutti gli affollatissimi ospedali.Per girare la terribile, spaventosa sequenza di dieci minuti in cui l’acqua inghiotte la costa, ci sono voluti più di un anno e sei società di effetti speciali, anche se le tonnellate d’acqua sul set erano tutte vere. Per la prima volta il pubblico è trascinato sott’acqua, rischia di affogare colpito violentemente da tutto ciò che l’onda trascina con sé: alberi, automobili, case, detriti, cadaveri. Poi il regista si affida alla straordinaria intensità dei suoi attori che danno corpo a personaggi capaci di imporre una tensione e partecipazione emotiva assoluta. Si soffre insomma per il dramma epocale che ha travolto la vita di tante persone e si soffre per il calvario di una madre coraggio risoluta nel proteggere suo figlio, sicura che il marito e gli altri due bambini siano ancora in vita. Rischia di morire, sopravvive per poterli riabbracciare. E commuove il percorso di maturazione del figlio quasi adolescente che, da ragazzino annoiato e strafottente, si trasforma in un piccolo eroe disposto a prestare tutto l’aiuto necessario a coloro che soffrono. E senza anticipare troppo il percorso narrativo che porterà al lieto fine, diciamo però che se il cuore è sollevato nel vedere la famiglia finalmente riunita, resta il profondo sconforto per la distruzione, la disperazione, il dolore e la morte che i protagonisti si lasciano dietro quando lasciano la Thailandia per tornare al sicuro nelle loro case. Come a dire che, nel rispetto di tante vittime, un happy end non è davvero possibile se allargando lo sguardo abbiamo la forza di guardare in faccia l’inferno nel quale sembra precipitata l’intera umanità.​
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