sabato 7 settembre 2024
Tre anni fa, esordiente appena diciottenne, era stato scelto da Pancalli come portabandiera alla chiusura: «Appena tornato da Tokyo sono tornato in palestra: volevo arrivare fino a qui»
Matteo Parenzan in azione ai Giochi di Parigi: sua la medaglia d’oro MS6

Matteo Parenzan in azione ai Giochi di Parigi: sua la medaglia d’oro MS6 - Cip/Ferraro

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Ha vinto l’oro del tennistavolo senza lasciare per strada alcun game, nonostante fosse appesantito da un’ernia. Matteo Parenzan è il nuovo che avanza in una squadra italiana dove il ricambio generazionale è continuo. Il ventunenne è il presente e il futuro del movimento paralimpico azzurro, confermando l’intuizione di Luca Pancalli che lo volle come alfiere nella cerimonia di chiusura di Tokyo. Quello che ai tempi sembrò il regalo per il diciottesimo compleanno oggi appare come un’investitura anticipata.

Mai prima di lui un pongista italiano aveva calpestato il gradino più alto nella rassegna dei tre agitos: Parenzan ci è riuscito nel singolare maschile MS6, approcciando le gare «come un bambino che va al parco a giocare con gli amici». Serenità, lucidità e tanta voglia di divertirsi: «Presentarsi davanti a cinque mila persone festanti e non emozionarsi, ma giocare solidamente è tanta roba». Quattro incontri, altrettante vittorie per tre set a zero. Ha sconfitto il campione di Tokyo, lo statunitense Ian Seidenfeld in semifinale, ha trafitto il thailandese Rungroj Thainiyom nell’atto conclusivo per la quinta volta consecutiva in carriera. «Mi aspettavo una partita difficile, perché visto che lo avevo battute nelle ultime quattro volte che ci avevo giocato immaginavo che lui covasse grande rabbia dentro. Ma io ho avuto più voglia di giocare, di vincere e di cambiare rispetto a lui». È infatti il match dentro l’Arena Sud è filato liscio come l’olio: 11-6, 11-6, 11-5 in appena 22 minuti. «Ha provato a beffarmi, ma sono stato lesto nel rispondere. Quando un avversario cambia dal gioco lungo al gioco corto, per me è come essere a casa mia. Quando ho capito che voleva sfidarmi corto, ho pensato “Sarà difficile che ne venga fuori lui”, perché corto sono veramente molto bravo». Insomma un ragazzo spavaldo, che rende tutto molto semplice. Un ventunenne che ha sconfitto un trentasettenne in quello che gli addetti ai lavori hanno considerato un passaggio di testimone. «Nelle ultime quattro edizioni Thainiyom è sempre arrivato a medaglia, vincendo a Londra, il suo palmarès parla da solo. Potrei quasi essere suo figlio, pertanto batterlo è qualcosa di bellissimo». Non sta nella pelle l’azzurro quando ripensa al suo percorso, ma è bravo a trovare la giusta freddezza per analizzare una prestazione maiuscola, la migliore della sua fin qui breve carriera: «Essere un campione paralimpico è un onore enorme. Non sono stato solo bravo a fare il rovescio o il dritto, ma anche mentalmente sono stato una roccia». Un trionfo nato dalla delusione di Tokyo. «Ero tornato in palestra due giorni dopo il ritorno dal Giappone, sebbene avessi ancora l’effetto del jet lag nella testa, perché volevo riqualificarmi a Parigi e cercare di arrivare al podio. Il fatto che abbia vinto e dopo di me anche Giada Rossi abbia conquistato l’oro nel torneo femminile mi rende triplicemente felice».

Ad applaudirlo in tribuna c’era anche il ministro dello Sport, Andrea Abodi, oltre a uno spicchio di spalti interamente occupato da amici e parenti: «Vedere la mia famiglia che mi incoraggiava, gli amici, le amiche, tutti venuti da Trieste fin qui, è stato incredibile. Ma ci pensate? Hanno smesso di studiare o lavorare una settimana per me, l’oro era l’unico regalo che potevo fargli». Appena vinta la medaglia aveva tanta voglia di abbracciare Pancalli, che ha quasi smontato le transenne per corrergli incontro: «Luca per me è stato importante da subito, mi ha proclamato portabandiera a Tokyo, mi ha dato la possibilità di entrare nel gruppo sportivo paralimpico della Difesa, che ovviamente ringrazio, mi ha accolto nella sua famiglia». Per un ragazzo che entrato nel gotha dello sport mantenere i piedi per terra è la ricetta per continuare la striscia vincente: «Devo tutto al mio allenatore, Marino, che mi ha accolto a Udine dopo Tokyo, trattandomi come se fossi un figlio. A Massimo Pischiutti, che mi ha seguito dalla panchina, mio compagno di camera dalle prime convocazioni, ormai siamo come fratelli. E infine ad Alessandro Arcigli, il team leader, che mentalmente mi ha dato importanti consigli».

Affetto sin dalla nascita da miopatia nemalinica, una malattia neuromuscolare caratterizzata da debolezza muscolare e da ipotonia, Parenzan soltanto dopo essersi assicurato il metallo prezioso svela di aver disputato l’intero torneo con un’ernia: «Adesso che torno a casa dovrò operarmi. Sapevo già che avrei dovuto, ora però lo farò con il cuore molto leggero e starò fermo un paio di mesi». Il riposo forzato e meritato di un guerriero che nell’ultimo triennio si è fermato solo a Natale, Capodanno, Pasqua e Ferragosto. «Mi merito una pausa adesso che sono davvero felice. Ho bisogno di staccare, per ricaricare le batterie e fissare l’orologio sul fuso orario di Los Angeles». Nel 2028 in California avrà un titolo paralimpico da difendere e un sogno a latere da realizzare: «Mi piacerebbe incontrare LeBron James».

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