Sant'Angela da Foligno - archivio
L’intero corpus dei testi attribuiti alla santa è ora riproposto in Il libro di sant’Angela da Foligno (Ancora, pagine 240, euro 20,00) di cui proponiamo una sintesi della prefazione del cardinale Raniero Cantalamessa.
Il domenicano padre Innocenzo Colosio, fondatore della 'Rivista di Ascetica e Mistica', ha scritto una parola ardita che condivido in pieno: «Angela da Foligno sta alla mistica come Dante Alighieri alla poesia». L’esperienza di Angela da Foligno è una “divina commedia” vissuta (non solo immaginata!), ed è una coincidenza singolare che il poema di Dante sia stato scritto negli stessi anni in cui si svolgeva l’avventura mistica di Angela, cioè all’inizio del Trecento. Ambedue le avventure partono dall’Inferno, attraversano il Purgatorio e terminano con la visione abbagliante di Dio nel Paradiso. Leggiamo alcuni brani che ci trasportano al vertice dell’itinerario mistico di Angela: «In seguito, lo vidi (Dio) nella tenebra […]. E in quel bene che si vede nella tenebra mi raccolsi tutta, e divenni così sicura di Dio, che non posso più dubitare di lui o che non lo abbia in modo certissimo». A questo punto il frate che raccoglie e trascrive le confidenze di Angela, dice di non comprendere, e lei, per spiegarsi, aggiunge: «Era un bene certissimo e tanto superava di molto ogni cosa, quanto più si vedeva nella tenebra, ed era segretissimo; perciò vedo con la tenebra, poiché supera ogni bene e tutte le cose, e tutto il resto è tenebra, e dovunque l’anima o il cuore si possano estendere è meno di quel bene». Al punto in cui è giunta, Angela ha attraversato l’inferno (in esso, prima della conversione, è stata davvero spiritualmente!); ha attraversato il purgatorio ed è giunta alle soglie del paradiso. Anche questo paradiso mistico, come quello di Dante, ha dei “cerchi”. Angela ne ha attraversati alcuni, non tutti. Quello in cui si trova, nelle parole riportate, è il penultimo: la fase della visione di Dio “nella tenebra”. Diciamo qualcosa di questo paradosso di un vedere al buio, di un vedere tutto, senza scorgere nulla. Tra gli autori cristiani, il tema compare per la prima volta in san Gregorio di Nissa nel IV secolo. Angela non conosceva né Gregorio di Nissa, né lo Pseudo Dionigi Areopagita che tratta lo stesso tema dopo di lui. Con ogni probabilità non li conosceva neppure l’anonimo confidente che raccolse le sue rivelazioni. Ella non ha appreso l’idea della visione di Dio nella tenebra dai libri, ma per esperienza personale. Anche per gli altri mistici che l’hanno vissuta, è una tappa del cammino che ognuno impara a riconoscere a proprie spese quando vi arriva. Ascoltiamo di nuovo lei, giunta all’ultimo cerchio della sua salita: «Nella Quaresima trascorsa mi trovai impercettibilmente tutta in Dio […]. Vedo colui che è l’essere e come è l’essere di tutte le creature. E vedo in che modo mi ha resa capace di comprendere le cose meglio di quanto è avvenuto in precedenza, quando lo vedevo in quella tenebra in cui tanto ero solita trovare delizia. Mi vedo sola con Dio, tutta pura, tutta santificata, tutta vera, tutta retta, tutta resa certa e tutta celeste in lui». Angela afferma continuamente che quello che riesce a dire le sembra un bestemmiare, tanto è inadeguato a esprimere ciò che ha contemplato. Vicina alla morte, intorno al Natale del 1308, esclamò: «Oh! Ogni creatura viene meno! Oh! Tutto l’intelletto degli angeli non è sufficiente! ». E alla domanda dei discepoli presenti: «A che cosa viene meno ogni creatura e a che cosa l’intelletto degli angeli non è sufficiente?», rispose: «A comprendere». L’insistenza sull’impossibilità di esprimere in concetti e parole umane le cose da lei viste, richiama l’analoga conclusione del viaggio di Dante. Anche per lui, all’apparire improvviso del fulgore della Trinità, «all’alta fantasia mancò la possa» e gli restò solo il desiderio e la volontà (il disio e il velle) di possedere quel bene ( Paradiso XXXIII). Il poco tuttavia che Angela riesce a dire, ha scritto Evelyn Underhill, una nota studiosa di mistica, «ha una sorprendente forza di suggestione, possiede una valenza metafisica e desta in chi legge risonanze segrete e profonde: cose, queste, che la collocano al livello dei più grandi mistici». Ci si potrebbe domandare se quella di Angela è una mistica tipicamente femminile e se è una mistica francescana. La prima domanda aprirebbe un fronte troppo vasto, bisognoso di una trattazione a parte. Mi soffermo sulla domanda se quella di Angela sia una mistica francescana o meno. Condivido, a questo proposito, il giudizio della stessa Underhill. Se guardiamo i caratteri secondari del francescanesimo (il sentimento gioioso della presenza di Dio nel creato, l’afflato poetico, il particolare fascino associato al nome di Francesco) dobbiamo rispondere che non c’è molto in Angela che ricordi questi tratti. Se invece guardiamo i caratteri primari del francescanesimo, il suo radicalismo evangelico, l’amore appassionato per Cristo Crocifisso e per la povertà, la risposta è senz’altro sì, pur tenendo conto degli sviluppi che l’idea francescana ha subito nel passaggio dalla prima alla seconda generazione. Non si deve dimenticare che durante il suo pellegrinaggio da Foligno ad Assisi fu a Francesco che ella si rivolse in preghiera, perché le facesse incontrare un buon confessore e fu il santo che la indirizzò al frate francescano (secondo la tradizione un certo frate Arnaldo) che sarebbe diventato il suo direttore e confidente. Francesco è una presenza costante nell’esperienza di Angela. È il modello per eccellenza che ha davanti nelle sue Istruzioni ai discepoli. Angela infatti non fu solo una mistica, ma anche una insuperabile maestra di spirito i cui insegnamenti si leggono anche oggi con grande profitto. La sua vita, dopo la conversione, si svolge tutta nella temperie francescana, grazie anche alla frequentazione dell’ardente schiera degli “spirituali”. Il teologo Karl Rahner ha affermato: «Il cristiano di domani, o sarà un mistico, o non sarà». Intendeva dire che, in futuro, a tener viva la fede sarà la testimonianza di persone che hanno una profonda esperienza di Dio, più che la dimostrazione della sua plausibilità razionale. San Paolo VI affermava nell’Evangelii nuntiandi (n. 41): «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni ». Tali sono, per eccellenza, i mistici. Essi sono, per il resto dell’umanità, come gli esploratori che entrarono per primi nella Terra Promessa e tornarono per riferire ciò che avevano veduto, «una terra dove scorre latte e miele», esortando ad attraversare il Giordano (Nm 14,6-9). Sono coloro che hanno scoperto che Dio “esiste”; anzi, che lui solo esiste davvero e che è infinitamente più reale di ciò che di solito chiamiamo realtà.