Jorge Mario Bergoglio in metropolitana a Buenos Aires - Epa
Al netto degli insulti e dei rancori che caratterizzano e squalificano diversi interventi critici nei confronti dell’operato dell’attuale vescovo di Roma, meritano di essere prese in considerazione e adeguatamente falsificate le posizioni che rivelano una certa valenza culturale. In primo luogo, si tratta dell’accusa relativa a un presunto deficit teologico-filosofico del Papa. Tale obiezione sottende una concezione elitaria, snobistica e falsamente accademica della cultura, che, anche in relazione al nostro attuale contesto, si rivela decisamente anacronistica. E gli ambienti radical chic dovranno farsene una ragione. Una seconda obiezione tende di volta in volta a rilevare le antinomie, reali o presunte, dell’agire e delle dichiarazioni di Francesco, ritenendo contraddittorio il suo magistero e aggrappandosi ad una acritica assunzione idolatrica del principio di “non contraddizione”.
Entrambe queste posizioni critiche si possono annoverare nella lista delle obiezioni che Tommaso d’Aquino inseriva nel videtur quod (= sembra che), con cui dava inizio alla trattazione di ciascun articolo della sua Summa Theologiae e tali obiezioni vanno senz’altro attribuite alla diffusa tendenza, particolarmente frequentata nel nostro tempo, di fermarsi alle apparenze. Ma ogni videtur quod, non può non essere seguito da un sed contra, che consente di superare le apparenze per attingere la realtà viva che ad esse inesorabilmente sfugge. Un “tuttavia” rispetto alle obiezioni sopra descritte ci viene ora offerto dalla pubblicazione di un lavoro a più mani, curato dalla sociologa Monica Simeoni, dal titolo I gesti e la filigrana. La trama del pensiero teologico e sociale di Francesco (Gabrielli, pagine 194, euro 18,00). La lettura di questi saggi offre materiale documentato e convincente onde replicare alle suddette critiche.
Guardando in trasparenza alla filigrana culturale soggiacente ai gesti e all’insegnamento di papa Francesco, si incarica di disegnarne la trama filosofico-teologica, Massimo Borghesi, che già nel 2017 aveva pubblicato un volume dal titolo Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica (Jaca Book), in cui persegue lo stesso intento in maniera più diffusa. Tra le fonti del pensiero del Papa, egli individua innanzitutto il Gaston Fessard de La dialectique des Exercises spirituels de Saint Ignace de Loyola, conosciuto tramite il suo professore di filosofia Miguel Angel Fiorito nel percorso formativo presso il Colegio Máximo San José della città di san Miguel nei pressi di Buenos Aires. Il gesuita francese è noto come storico della filosofia per aver attivato un serrato confronto col pensiero hegeliano.
A parte le istanze critiche doverose nei confronti della rappresentazione sistematica e manualistica del pensiero di Hegel, in questa sede va tenuto presente proprio il superamento del principio di non contraddizione nella dialettica che ha la pretesa di pensare il tutto, come direbbe Franz Rosenzweig, espressa nella forma “il vero è l’intero” (Das Wahre ist das Ganze). E l’intero nella sua complessità non solo comprende A e non A, bensì si fa carico anche delle sfumature e di quelle che all’apparenza possono sembrare antinomie. Ed è proprio la dialettica hegeliana, ripresa e interpretata da Fessard ed applicata agli esercizi ignaziani a suggerire, ripetendola come un mantra, a papa Francesco la ripresa della massima Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est (“Non lasciarsi costringere da ciò che ci supera, ma farsi contenere dal più piccolo, questo è divino”).
L’intero, nella sua contraddittoria concretezza, ci conduce all’altra fonte del pensiero bergogliano: il Romano Guardini de L’opposizione polare, la cui prima edizione risale al 1925, che il futuro Papa studia in Germania, nel tentativo non concluso di scrivere un dottorato su questo autore. Sempre cercando di andare oltre le apparenze, dobbiamo rilevare che non sempre l’incompiutezza è un difetto, anzi essa può aprire ad ulteriori orizzonti di senso, come mostrano le Pietà, gli Schiavi e le Tombe medicee di Michelangelo e la Sinfonia n. 8 di Franz Schubert.
L’opposizione polare di guardiniana memoria può essere letta e interpretata alla luce di quella “logica del paradosso”, propria di un altro gesuita teologo francese caro al Papa, Henri-Marie de Lubac, e che caratterizza il cuore della prospettiva cristiana sul reale. E forse, proprio perché adotta tale logica, Francesco viene spesso accusato di essere luterano, ma più che del riformatore, che si fa carico della logica del simul, come nell’espressione simul peccator et iustus si tratta di Agostino e della sua tradizione e ricezione moderna e contemporanea. E a proposito della concezione cattolica del paradosso, sebbene non direttamente citata, fa capolino la coincidentia oppositorum del Cardinale Niccolò da Cusa, mentre l’esplicito riferimento a Blaise Pascal nella lettera apostolica Sublimitas et miseria hominis, pubblicata nel IV centenario della nascita del pensatore francese, suggerisce la “professione dei contrari”, da cui è percorsa la sua visione antropologica.
A questi fondamentali riferimenti va aggiunta l’infrastruttura filosofica dell’idea di popolo quale categoria “mitica”, così come l’ha espressa papa Francesco nell’intervista rilasciata a Dominique Wolton e riportata in un libro edito in Italia nel 2017: «C’è un pensatore che lei dovrebbe leggere: Rodolfo Kusch, un tedesco che viveva nel Nordovest dell’Argentina, un bravissimo filosofo e antropologo. Lui ha fatto capire una cosa: che la parola “popolo” non è una parola logica. È una parola mitica. Non si può parlare di popolo logicamente, perché sarebbe fare unicamente una descrizione. Per capire un popolo, capire quali sono i valori di questo popolo, bisogna entrare nello spirito, nel cuore, nel lavoro, nella storia e nel mito della sua tradizione. Questo punto è veramente alla base della teologia detta “del popolo”. Vale a dire andare con il popolo, vedere come si esprime. Questa distinzione è importante. Il popolo non è una categoria logica, è una categoria mitica».
Interessante potrebbe essere per noi rilevare che il fatto che il pensatore di riferimento del Papa si ispiri a sua volta al pensiero heideggeriano, criticamente assunto nella distinzione fra “essere” e “stare”, qualificando con la prima categoria la visione razionalista e dominatrice dell’uomo occidentale e con la seconda la visione degli indigeni latinoamericani, che vivrebbero in armonia con la natura che li circonda e animati, appunto, da un orizzonte mitologico. E il riferimento al “popolo” è ricorrente negli scritti di cui si nutre il volume di cui parliamo.
Il carattere concreto e “integrale” del pensiero bergogliano viene ulteriormente esplicitato nei saggi, contenuti nel volume curato dalla Simeoni, la quale tratta dello “straniero” in prospettiva sociologica, di Philippe Portier, che si dedica alla teologia politica del Papa, chiave tematica ripresa da Davide Guenzi e da Veronica Roldán, mentre il riferimento al “popolo” viene ripreso da Francisco Mele e la nozione di “persona” da Giulia Paola Di Nicola. Il tutto a ulteriore conferma del fatto che certamente non siamo al cospetto di un “papa incolto” e “incoerente”, piuttosto egli prende le distanze da una sterile erudizione, che si caratterizza per il suo intellettualismo, cui rischia di sfuggire il reale concreto. La necessità di un superamento del clericalismo, di cui indaga le origini, viene qui opportunamente evidenziata nella prefazione di Enzo Pace.
Chi avrà la pazienza di leggere queste pagine si ritroverà alla fine con un bagaglio di informazioni e riflessioni che consentiranno il superamento delle obiezioni riportate all’inizio, con notevole profitto innanzitutto per l’onestà intellettuale che dovrebbe segnare ogni dibattito e ogni interlocuzione soprattutto quando si rivolgono a chi rappresenta a pieno titolo una grande comunità credente come quella cattolica.